Smart work e telelavoro ovvero: come conciliare i tempi di vita e di lavoro dei dipendenti pubblici.

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Tra tutte le riforme varate negli ultimi anni rispetto alle attività e all’organizzazione della Pubblica Amministrazione, quella relativa alla definizione di un modello organizzativo che possa conciliare i tempi di vita e di lavoro dei dipendenti può essere inclusa tra quelle più ambiziose. Al tempo stesso proprio per la portata fortemente innovativa delle intenzioni del legislatore nazionale ed europeo deve essere posta molta attenzione sin dalla fase di prima applicazione.

Diverse sono state le produzioni normative e regolamentari del legislatore nazionale ed europeo volti a conciliare i tempi di vita e di lavoro dei dipendenti pubblici, tra tutte quelle più importanti:

  • la legge 16 giugno 1998, n. 191, recante “Modifiche ed integrazioni alle L. 15 marzo 1997, n. 59, e L. 15 maggio 1997, n. 127, nonché norme in materia di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni. Disposizioni in materia di edilizia scolastica” che introduce per la prima volta il concetto di telelavoro nella Pubblica Amministrazione;
  • il decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 70, recante “Regolamento recante disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, a norma dell’articolo 4, comma 3, della legge 16 giugno 1998, n. 191”;
  • il decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, recante “Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”;
  • la Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016 sulla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale;
  • l’Accordo quadro nazionale sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, in attuazione delle disposizioni contenute nell’articolo 4, comma 3, della legge 16 giugno 1998, n. 191;
  • legge 7 agosto 2015, n. 124, recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.

Il comma 3 dell’art. 14 del D.lgs. 124/2015 prevede che “Con direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definiti indirizzi per l’attuazione dei commi 1 e 2 del presente articolo e linee guida contenenti regole inerenti l’organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti”, da qui il varo della Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri definita anche “Direttiva in materia di lavoro agile”.

La disposizione de quo prevede la sperimentazione e il potenziamento dell’utilizzo di due strumenti organizzativi innovativi:

  1. fissazione di obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro; per la prima volta vengono resi obbligatori la definizione di target annuali per l’attuazione del telelavoro;
  2. sperimentazione, anche al fine di tutelare le cure parentali, di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa c.d. lavoro agile o smart working.

Il telelavoro è stato ben definito dall’art. 4 legge 191/1998, in virtù del quale “Il telelavoro rappresenta una forma di lavoro a distanza per cui le amministrazioni, con l’obiettivo di razionalizzare l’organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione attraverso l’impiego flessibile delle risorse umane, possono installare, nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio, apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici, necessari e possono autorizzare i propri dipendenti ad effettuare, a parità di salario, la prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede di lavoro, previa determinazione delle modalità per la verifica dell’adempimento della prestazione lavorativa”.

Lo smart working si presenta quale misura alternativa al telelavoro e può essere definito come un accordo scritto tra l’Amministrazione pubblica e il lavoratore, a tempo determinato od indeterminato, svolto secondo con le seguenti caratteristiche:

  1. esecuzione della prestazione lavorativa in parte all’interno dei locali dell’amministrazione e in parte all’esterno (flessibilità spaziale della prestazione) ed entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva (flessibilità dell’orario di lavoro). Per quanto attiene ai luoghi possibili di lavoro non viene prevista necessariamente una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti all’esterno dei locali dell’amministrazione. Ferma restando l’alternanza tra locali dell’ente e locali esterni e la non necessità di una postazione fissa, sarebbe opportuna l’individuazione dei locali esterni, d’intesa tra amministrazione e lavoratori. Per l’orario di lavoro si pone il tema di un possibile controllo del rispetto dello stesso orario, ferma restando la necessità di promuovere una cultura dell’organizzazione del lavoro per obiettivi e risultati con forte responsabilizzazione del lavoratore rispetto al suo apporto lavorativo. Occorre definire il numero di giorni, di ore, di mesi, di anni di durata dello smart working con prevalenza della modalità di prestazione in sede; valutare la frazionabilità nella giornata oppure stabilire lo smart working per la giornata intera; ragionare in termini di giorni fissi o giorni variabili;
  2. individuazione della correlazione temporale dello smart working rispetto all’orario di lavoro e di servizio dell’amministrazione anche mediante fasce di reperibilità;
  1. possibilità di utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

In pratica con l’accordo di smart working il lavoratore non è più legato alla sede e all’orario di lavoro poiché posti gli obiettivi di performance da raggiungere programmati nel relativo Piano, egli può svolgere l’attività negli orari diversi da quelli di apertura degli uffici e, soprattutto, può svolgere le proprie attività in sedi diverse della P.A. grazie all’ausilio di strumenti e strutture informatiche innovative.

L’applicazione di questi due strumenti di conciliazione di vita e lavoro deve avvenire:

  • senza ulteriori oneri per la finanza pubblica;
  • senza penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera per i dipendenti coinvolti;
  • con l’obiettivo di permetterne la fruizione entro tre anni, ad almeno il 10% dei dipendenti pubblici;

Inoltre, poiché le misure di telelavoro e smart working possono avere un evidente impatto sul contenimento dei costi delle strutture pubbliche, le misure di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare possono incrementare la produttività individuale e organizzativa. Pertanto le Amministrazioni Pubbliche sono chiamate ad adeguare i propri sistemi di misurazione e valutazione della performance, per verificare l’impatto sull’efficacia e sull’efficienza dell’azione amministrativa, nonché sulla qualità dei servizi erogati, delle misure organizzative adottate in tema di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, anche coinvolgendo i cittadini, sia individualmente, sia nelle loro forme associative. In questo contesto un ruolo fondamentale è svolto dai dirigenti quali promotori dell’innovazione dei sistemi organizzativi di gestione delle risorse umane assegnate.

La Direttiva n. 3/2017 consente di poter definire un assetto organizzativo della Pubblica Amministrazione snello e flessibile, con evidenti risvolti sul contenimento dei costi di struttura. Pone l’obiettivo del coinvolgimento del 10% dei dipendenti pubblici nel prossimo triennio.

Non vi è dubbio sulla portata innovativa delle disposizioni, tuttavia affinché non possa essere derubricati a desideri di un libro dei sogni è necessario che vi sia un vero e proprio approccio bottom up, ovvero vi sia il coinvolgimento dei dipendenti, ma, soprattutto, dei dirigenti, già individuati quale snodo essenziale e fondamentale per la definizione di un modello organizzativo della P.A. che possa conciliare i tempi di vita e di lavoro dei dipendenti.

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