Sanzioni amministrative: termine, notifica, lingua e rigetto. (Trib. Treviso)

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I legali rappresentanti di una ditta di autotrasporto proponevano opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Prefetto di Treviso con la quale era irrogata la sanzione amministrativa di Euro 4.130,00 per violazione dell’art. 46 L. n. 298 del 1974, in quanta da un controllo l’autista non era in grado di esibire un valido attestato del conducente in occasione di un trasporto internazionale soggetto a licenza comunitaria. I ricorrenti lamentavano l’inesistenza/nullità dell’ordinanza ingiunzione per vizio di notifica, in quanto comunicata in Polonia direttamente alla sede della ditta proprietaria del mezzo, la nullità/inesistenza/illegittimità/annullabilità del provvedimento impugnato per omessa traduzione, per vizio sostanziale di forma non riportando avviso o informazione circa la possibilità o modalità di difesa o i tempi e i modi di opposizione, per decorrenza del termine di conclusione del procedimento e, nel merito, per insussistenza della fattispecie contestata, avendo il conducente il possesso del documento, pur non esibito.

Osserva il Tribunale di Treviso (Sez. I, Sent., 05-06-2017) che “La notifica ha raggiunto lo scopo e pertanto ogni eventuale vizio deve considerarsi sanato ex art. 156 c.p.c., avendo avuto i ricorrenti la possibilità di esercitare appieno il proprio diritto di difesa. Il primo motivo di impugnazione deve andare quindi disatteso”.

Con il secondo e il terzo motivo, i ricorrenti lamentano rispettivamente la nullità/inesistenza/illegittimità/annullabilità del provvedimento impugnato per omessa traduzione e per vizio sostanziale di forma, mancando l’indicazione di informazioni circa la possibilità o le modalità di difesa, nonché circa i tempi e i modi di opposizione.

Al riguardo, il Tribunale, osserva che: “l’ordinanza-ingiunzione redatta in lingua italiana ha consentito ai ricorrenti di esercitare appieno il proprio diritto di difesa. Per giurisprudenza costante inoltre la mancata indicazione del termine entro il quale ricorrere o la mancata indicazione dell’Autorità Giudiziaria competente non inficia la validità dell’atto, costituendo una mera irregolarità del provvedimento (si vedano in proposito: Cass. n. 5453 del 4.6.1999, Cass. n. 17361 del 25.6.2008; Cass. n. 26204 del 14.12.2009 e Cass. 7730 del 30.3.2009. Ne deriva che anche tali motivi di impugnazione debbono essere respinti”.

Con il quarto motivo d’impugnazione, i ricorrenti invocano l’inesistenza, nullità o annullabilità del provvedimento per decorrenza del termine di conclusione del procedimento, asserendo che la Prefettura aveva 90 giorni per emettere l’ordinanza-ingiunzione dal deposito degli scritti difensivi.

Secondo il giudice: “ La giurisprudenza ha chiarito che, nel caso di mancata contestazione immediata, il termine di 90 giorni di cui all’art. 14 L. n. 689 del 1981 non decorre dal momento della violazione e nemmeno dal momento della mera conoscenza dei fatti nella loro materialità, bensì dal compimento delle operazioni volte ad acquisire la ragionevole certezza dell’esistenza del fatto criminoso ed idonee a formulare la contestazione. In tal senso si veda tra le altre la sentenza della Cassazione Civile n. 5467 del 2008, secondo la quale “costituisce jus receptum in tema di sanzioni amministrative che, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata, la conclusione dell’accertamento della violazione, in relazione alla quale collocare il dies a quo del termine di novanta giorni stabilito dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2, per la notifica degli estremi della violazione, non coincide con la conoscenza dei fatti nella loro materialità, ma si perfeziona con l’acquisizione, da parte dell’autorità alla quale è stato trasmesso il rapporto, di tutti i dati afferenti gli elementi oggettivi e soggettivi della violazione e con la indispensabile valutazione di questi ai fini di una corretta formulazione della contestazione” (si vedano anche: Cass. Civ. n. 10621 del 2010, Cass. Civ. n. 9311 del 2007, Cass. Civ. n. 3043 del 2009, Cass. Civ. n. 25916 del 2006. Cass. Civ. n. 12830 del 2006)”.

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