Nella pratica quotidiana accade sempre più spesso che gli operatori di Polizia Municipale, quali ufficiali ed agenti di Polizia Giudiziaria, vengono investiti per delega nell’ambito delle indagini preliminari, ovvero procedono d’iniziativa ad assumere a sommarie informazioni testimoniali le persone in grado di riferire all’Autorità sui fatti d’indagine. In punto occorre precisare che, la testimonianza indiretta da parte dell’operatore di Polizia Giudiziaria per fatti avvenuti in sua presenza e sotto la sua cognizione, qualora assunta in violazione dell’art. 195, comma 4, c.p.p., risulta inutilizzabile in dibattimento – in ossequio al principio generale stabilito dall’art. 191 del c.p.p. – poiché le informazioni raccolte in sede d’indagine non sono state adeguatamente trasfuse nell’apposito verbale di assunzione.
È questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione Penale con la Sentenza n. 15444 del 20.04.2022, in materia di prove illegittimamante acquisite in sede d’indagini preliminari.
Invero, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Sent. n. 36747 del 28.03.2003), aveva già avuto modo di chiarire come il richiamato art. 195, comma 4, c.p.p. vietasse la testimonianza da parte degli ufficiali ed agenti di Polizia Giudiziaria sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli art. 351 e 357, comma 2, lett. a) e b) c.p.p. Il divieto in questione, infatti, ha per oggetto le sommarie informazioni assunte dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini, per le quali l’art. 357, comma 2, lett. e) c.p.p., prescrive la redazione di apposito verbale.
Dunque, con la pronuncia in esame la Corte di Cassazine ha voluto circoscrivere il divieto della testimonianza indiretta, in attuazione della nuova formulazione dell’art. 111 Cost. e a superamento della precedente sentenza n. 24/1992 della Corte Costituzionale (che lo aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo), soltanto agli atti tipici di contenuto dichiarativo compiuti dalla Polizia Giudiziaria, i quali devono essere documentati mediante la redazione di un apposito verbale.
Il riferimento alle “modalità di cui agli artt. 351 e 357” il contenuto nell’art. 195, comma 4 del c.p.p., non può essere interpretato nel senso di rendere legittima la testimonianza di secondo grado del funzionario di polizia in caso di mancata verbalizzazione (pur sussistendone l’obbligo) dell’atto di acquisizione delle informazioni ricevute. Così interpretata, la norma finirebbe per tradire il suo scopo fondamentale, che è quello di evitare l’introduzione nel dibattimento, a fini probatori, di dichiarazioni acquisite in un contesto procedimentale non correttamente formalizzato, di salvaguardare il principio di formazione della prova nel contraddittorio del dibattimento davanti al giudice terzo ed imparziale e di sanzionare, quindi, l’obbligo di documentazione dell’attività investigativa tipica della Polizia Giudiziaria.
L’interpretazione rigorosa e coerente del comma 4 dell’art. 195 c.p.p., strutturato in termini di complementarità con le modalità di documentazione del contenuto delle dichiarazioni acquisite in sede di indagini e con il meccanismo di lettura dibattimentale dell’atto divenuto irripetibile, non può che essere nel senso che esso vieti non soltanto la testimonianza indiretta sulle dichiarazioni regolarmente acquisite in sede di sommarie informazioni, ma anche quella sulle dichiarazioni che “si sarebbero dovute acquisire con le modalità di cui all’art. 351 c.p.p.”
Da tale insegnamento discende che secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidatosi dopo la sentenza delle Sezioni Unite qui richiamata, gli ufficiali e gli agenti di Polizia Giudiziaria non possono rendere testimonianza indiretta sulle dichiarazioni ricevute da persone informate sui fatti anche in caso di mancata verbalizzazione delle stesse, qualora la loro verbalizzazione sia prescritta dalla Legge.
In relazione al caso di specie originariamente dedotto in giudizio ne deriva, in maniera incontrovertibile, che sono inutilizzabili le dichiarazioni rese nel corso della testimonianza in giudizio da parte dell’Ufficiale di Polizia Giudiziaria, nella parte in cui questi riporta quanto riferito da un non meglio identificato soggetto, indicato quale persona informata sui fatti le cui dichiarazioni non sono state verbalizzate, in violazione dell’art. 351, comma 1, c.p.p., in combinato disposto con l’art. 357, comma 2, lett. b) dello stesso Codice di rito.