La condanna preclude il conferimento dell’incarico di responsabilità.

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Nel rispondere ad un quesito rimessogli dal sindaco di un comune, l’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC), con parere  AG/27/15/AC del 01/04/2015, ha chiarito che sussiste il divieto di conferimento di funzioni di responsabilità, in settori particolarmente sensibili e con attribuzione di compiti rilevanti, al dipendente condannato per un reato di cui al capo I, titolo II del libro II del codice penaleL’Autorità ha ritenuto, a tal proposito, che è onere dell’amministrazione attenersi al dettato normativo e non attribuire funzioni che il citato dipendente non possa svolgere, anche in considerazione delle specificità organizzative dell’ufficio e delle caratteristiche dell’ente.

 

Questa la norma di riferimento:(art. 35 bis D.lgs n°165/2001)

“1. Coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale:
a) non possono fare parte, anche con compiti di segreteria, di commissioni per l’accesso o la selezione a pubblici impieghi;
b) non possono essere assegnati, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all’acquisizione di beni, servizi e forniture, nonche’ alla concessione o all’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati;
c) non possono fare parte delle commissioni per la scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, per la concessione o l’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonche’ per l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere.
2. La disposizione prevista al comma 1 integra le leggi e regolamenti che disciplinano la formazione di commissioni e la nomina dei relativi segretari.”

Con questa interpretazione si dà senso e coordinamento alla sopra trascritta prescrizione normativa, con quanto disposto dalla similare previsione del D.lgs n°39/2013 (articolo 3 comma 3), a mente della quale: 3. Ove la condanna riguardi uno degli altri reati previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale, l’inconferibilita’ ha carattere permanente nei casi in cui sia stata inflitta la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero sia intervenuta la cessazione del rapporto di lavoro a seguito di procedimento disciplinare o la cessazione del rapporto di lavoro autonomo. Ove sia stata inflitta una interdizione temporanea, l’inconferibilita’ ha la stessa durata dell’interdizione. Negli altri casi l’inconferibilita’ ha una durata pari al doppio della pena inflitta, per un periodo comunque non superiore a 5 anni”.

Quindi, sebbene, nel caso di cui al quesito, a norma dell’articolo 3 comma 3 ultimo capoverso, era cessato il vincolo di inconferibilità per il dipendente condannato, essendo maturato il termine di moratoria prescritto per Legge, l’Autorità ha ritenuto di adottare la linea dura e di evidenziare come, in mancanza di una preclusione specifica, opera la preclusione generale del D.lgs n°165/2001.

Linea dura, parere interessante ma di dubbia coerenza costituzionale, in quanto non pone speranza nella riabilitazione e nella resipiscenza umana, né dà il corretto valore giuridico al decorso del tempo ed alla sua stessa decorrenza (leggasi il parere allegato).

Pino Napolitano

P.A.sSiamo

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