La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ripetutamente affermato, rispetto agli atti di contenuto normativo, che è soltanto con il successivo atto applicativo che si viene a radicare tanto l’interesse al ricorso, quanto la legittimazione a ricorrere (in tal senso – e in relazione alla materia che ne occupa -: Cons. Stato, V, sent. 1926 del 2016; id., V, 2294 del 2016; id., V, 2913 del 2016; id., V, 4130 del 2016).
L’atto applicativo, oltre a radicare l’interesse al ricorso, determina, inoltre, anche la legittimazione a ricorrere. L’interesse all’annullamento del regolamento, invero, all’interno della “categoria” o della “classe” dei suoi potenziali destinatari è un interesse indifferenziato, seriale, adesposta (nella sostanza un interesse diffuso): esso diventa interesse soggettivamente differenziato (e, quindi, interesse legittimo) solo nel momento in cui il regolamento è concretamente applicato nei confronti del singolo. Fino al momento dell’adozione dell’atto applicativo, quindi, il termine per l’azione di annullamento non può decorrere, perché non sono ancora sorte, per il singolo concessionario, le (necessarie) condizioni dell’azione, ovvero l’interesse al ricorso e la legittimazione al ricorso.
Secondo la sentenza -Cons. Stato Sez. V, 08/11/2017, n. 5145- l’ammissibilità (o la procedibilità) del ricorso avverso un regolamento non può essere subordinata all’ulteriore condizione che l’impugnazione dell’atto applicativo rientri anch’essa nella giurisdizione del Giudice Amministrativo. Un simile assunto porterebbe all’inaccettabile risultato di escludere l’azione di annullamento contro quei regolamenti che regolano canoni, corrispettivi, indennità o che, comunque, incidono, a valle, su rapporti paritetici, rispetto ai quali la giurisdizione sull’atto applicativo non appartiene di regola al Giudice Amministrativo. Una simile conclusione, oltre che palesemente irragionevole, solleverebbe profili di significativo contrasto con i principi costituzionali che garantiscono l’effettività diritto di azione contro gli atti della pubblica amministrazione (artt. 24, 103 e 113 Cost.), non consentendo che esso sia limitato o escluso per determinate categorie di atti (art. 113, comma 2, Cost.) (Riforma della sentenza del T.a.r. Calabria, Reggio Calabria, n. 902/2016).