Contraffazione segni distintivi per lampeggiante blu su auto privata – Corte di Cassazione Penale sez. V 16 febbraio 2015, n. 6784

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Il fatto

La Corte d’appello di Cagliari confermava la condanna, pronunziata a seguito di giudizio abbreviato per il reato di cui all’art. 497-ter c.p. per aver l’imputato detenuto sulla propria autovettura un lampeggiante removibile di colore blu in grado di simulare la funzione dei corpi di polizia. Avverso la sentenza veniva proposto ricorso articolando due motivi. Con il primo si deduceva l’errata applicazione dell’art. 497-ter c.p., rilevando come la Corte territoriale avrebbe preso le mosse dall’erroneo presupposto della sussistenza di un esclusivo vincolo di destinazione del tipo di lampeggiante di cui si discute in favore delle forze di polizia, mentre, alla luce di quanto previsto dall’art. 177 codice della strada, tali oggetti possono essere utilizzati anche da altri soggetti, circostanza che escluderebbe la tipicità del fatto contestato mentre con il secondo  veniva dedotta ulteriore errata applicazione della legge penale e correlati vizi della motivazione, lamentandosi in particolare la violazione dell’art. 9  della legge  689/1981. In tal senso il ricorrente eccepisce la specialità dell’illecito amministrativo di cui al quarto comma dell’art. 177 CdS rispetto al reato contestato, illegittimamente esclusa dai giudici d’appello sulla base dell’erroneo presupposto per cui tale disposizione punisca esclusivamente l’abuso dei dispositivi acustici e di segnalazione visiva di allarme commesso dai soggetti comunque autorizzati al loro utilizzo e ciò a dispetto del fatto che la stessa non contenga alcuna espressa restrizione in tal senso ed anzi definisca la platea dei propri destinatari ricorrendo al pronome indefinito “chiunque”. Non di meno alcun dubbio potrebbe nutrirsi in merito alla specialità della disposizione amministrativa su quella penale, atteso che dall’esame delle rispettive fattispecie emerge come la seconda faccia generico riferimento alla detenzione oggetti idonei a simulare la funzione dei corpi di polizia, mentre la prima punisca l’utilizzo specifico proprio di dispositivi visivi di allarme del tipo contestato.

LA DECISIONE DELLA CORTE  

Gli Ermellini ritengono il ricorso infondato e lo rigettano.  Con riguardo al primo motivo osservano come l’argomento tratto dal ricorrente per sostenere l’atipicità dell’oggetto materiale del reato dall’avvenuto acquisto del lampeggiante sul web si rivela del tutto inconferente. E’ lo stesso imputato ad aver ammesso che oggetto dell’acquisto era un lampeggiante con campana arancione (di cui effettivamente è ammessa la libera vendita) e di aver poi sostituito quest’ultima con altra di colore blu (il cui utilizzo è invece riservato a specifiche categorie di soggetti individuati dalla legge), simulando in tal modo il dispositivo in uso alle forze dell’ordine. E’ dunque evidente che alcuna rilevanza assume ai fini della qualificazione giuridica del fatto il modo in cui l’imputato è entrato in possesso del lampeggiante, atteso che la sua idoneità a corrispondere all’oggetto materiale tipico del reato contestato è il frutto di una condotta fraudolenta, ulteriore e successiva rispetto a quella del mero acquisto. Non di meno va ricordato come il fatto che un bene venga offerto in vendita sul web non ne rende di per sè lecito l’acquisto e la successiva detenzione. Ergo non v’è dubbio che la detenzione di un lampeggiante integri la fattispecie contestata. Infatti non può esservi dubbio sull’univoco significato di un comportamento di tal genere, atteso che la collocazione del dispositivo sul tetto di una vettura privata, priva cioè di segni di riconoscimento come sono invece gli automezzi in uso agli altri soggetti abilitati all’utilizzo di lampeggianti blu, non può che far credere che la stessa sia un’auto “civetta” delle forze dell’ordine. La qualificazione attribuita dalla Corte territoriale al fatto è dunque corretta. Va infatti ricordato che il vizio di motivazione rilevabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche a quelle di diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza. Anche infondato deve ritenersi il secondo motivo. La disposizione sanzionatoria contenuta nel quarto comma dell’art. 177 CdS va letta alla luce di quanto previsto dal primo comma dello stesso articolo. In tal senso la scelta del pronome indefinito “chiunque” non può imputarsi alla volontà di punire la condotta di qualsiasi soggetto faccia uso dei dispositivi di allarme supplementari anche se non legittimato a farvi ricorso in condizioni particolari. Ed infatti l’inciso contenuto nella norma sanzionatoria («al di fuori dei casi di cui al comma 1») chiarisce come oggetto dell’incriminazione amministrativa sia sostanzialmente la condotta di abusivo utilizzo dei menzionati dispositivi nella circolazione stradale da parte dei soggetti legittimati al loro utilizzo. Anche a voler accedere all’impostazione interpretativa del ricorrente, e cioè che quello configurato dalla norma amministrativa sarebbe un illecito comune e non proprio, va escluso qualsiasi rapporto di specialità tra quest’ultima e quella penale contestata all’imputato. Infatti il confronto tra le fattispecie astratte evidenzia come le condotte tipizzate dalla norma penale e da quella amministrativa siano diverse e come dunque alcuna interferenza sussista tra le stesse, impedendo la stessa astratta configurabilità di un’ipotesi di concorso apparente di norme da risolversi applicando l’invocato principio di specialità. Infatti, mentre l’art. 497-ter c.p., al n. 1), punisce la mera detenzione di oggetti che simulano la funzione dei corpi di polizia, l’art. 177 comma 4 sanziona invece l’abuso nell’utilizzo dei menzionati dispositivi nella circolazione stradale, che è condotta, per l’appunto, affatto diversa.

Mimmo Carola

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