Colpa concorrente nel caso di incidente stradale

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I giudici della terza sezione Penale della Corte di Cassazione Civile con la sentenza n. 43544 del 2 ottobre 2018 hanno ribadito che occorre la massima prudenza nell’effettuare la svolta, anche in previsione di veicoli che sopraggiungono a velocità elevatissima.

IL CASO

Un automobilista veniva assolto dal Tribunale di Cosenza dal reato di omicidio colposo sull’accusa elevata a suo carico di aver causato la morte di altro conducente impattando la moto condotta ad altissima velocità  che viaggiava nella medesima direzione di marcia Secondo la prospettiva accusatoria, l’imputato avrebbe agito per colpa consistita nell’effettuare una manovra di svolta a sinistra su una strada sterrata interpoderale senza essersi preventivamente assicurato dell’assenza di pericoli o intralci per gli utenti della strada e senza segnalare in anticipo la propria direzione, e comunque per negligenza, imprudenza e imperizia. La Corte territoriale di Catanzaro, in riforma della pronuncia di primo grado, appellata dal conducente della moto, riteneva colpevole il conducente del veicolo del reato a lui ascritto. Avverso la decisione l’imputato proponeva ricorso per cassazione sollevando vari motivi tra cui

LA DECISIONE

Gli Ermellini ritengono il ricorso infondato ritenendo che l’utente della strada deve ritenersi responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché questo rientri nel limite della prevedibilità, potendosi cioè escludere la colpa concorrente solo se la percezione dell’altrui imprudenza sia tanto improvvisa da porre il conducente nella assoluta e incolpevole impossibilità di evitare l’imprevisto.  In particolare, con riguardo al fondamento giuridico dell’attribuzione al ricorrente della concorrente responsabilità della determinazione dell’incidente mortale, hanno ravvisato a carico di questi profili di colpa generica e specifica, osservando che, alla luce dello stato dei luoghi, delle condizioni di visibilità e dell’assenza di veicoli intermedi, il ricorrente, adoperando la normale diligenza e attenzione di guida, si sarebbe dovuto accorgere necessariamente, guardando gli specchietti retrovisori, della moto che lo seguiva a quella velocità. Il rapido avvicinamento della moto che viaggiava in quel modo così spericolato avrebbe quindi dovuto consigliare al ricorrente di usare la massima prudenza prima di impegnare la corsia di sorpasso nella manovra di svolta a sinistra, per cui nel caso specifico la violazione delle condotte cautelari del cambiamento di direzione o di corsia o altre manovre è stata determinata a monte da un difetto di attenzione del conducente circa l’avvistabilità e la velocità della moto che sopraggiungeva da dietro, non essendo in tal senso dirimente stabilire se l’automobilista avesse utilizzato o meno gli indicatori di direzione prima di effettuare la manovra, perché, ove pure ciò fosse avvenuto, rimane il fatto che la manovra di svolta, in quella condizione di pericolo, non andava effettuata, e vi erano i presupposti per astenersi dalla svolta a sinistra, in quanto il conducente dell’autoveicolo aveva avuto a disposizione un tempo non breve, valutati in circa 10 secondi,  per accorgersi del sopraggiungere della moto e della condizione di pericolo scaturente dalla sua sconsiderata velocità. Del resto, la moto era avvistabile ad alcune centinaia di metri di distanza e il ricorrente, in quella situazione ambientale, era in grado di percepire l’imminenza del pericolo, astenendosi dal compimento della manovra rivelatasi fatale.

Corte di Cassazione Penale sezione III, sentenza n.  43544 del 2 ottobre 2018

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del Tribunale di Cosenza del 4 marzo 2011, MR veniva assolto dal reato di cui all’art. 589 cod. pen. per non aver commesso il fatto; l’accusa elevata a carico dell’imputato era in particolare quella di aver causato la morte di AM, percorrendo a bordo della propria autovettura la SS 283, in direzione Scalo San Marco, in particolare impattando la moto condotta ad altissima velocità dal M, che viaggiava nella medesima direzione di marcia; secondo la prospettiva accusatoria, R avrebbe agito per colpa consistita nell’effettuare una manovra di svolta a sinistra verso la strada sterrata interpoderale senza essersi preventivamente assicurato dell’assenza di pericoli o intralci per gli utenti della strada e senza segnalare in anticipo la propria direzione, e comunque per negligenza, imprudenza e imperizia, fatto commesso in San Marco Argentano il 10 aprile 2007.

Con sentenza del 26 maggio 2017, la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia di primo grado, appellata dal P.M., dichiarava R colpevole del reato a lui ascritto e lo condannava alla pena di mesi 4 di reclusione.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 10 novembre 2015 (n. 4335/2016), annullava con rinvio la sentenza della Corte territoriale impugnata da R.

In sede di rinvio, con sentenza del 18 aprile 2017, la Corte di appello di Catanzaro dichiarava non doversi procedere nei confronti di R, essendo il reato di omicidio colposo estinto per prescrizione, condannando l’imputato e il responsabile civile al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.

  1. Avverso la sentenza della Corte di appello calabrese, R, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando cinque motivi.

Con il primo, la difesa contesta l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 533 cod. proc. pen., stante la rivisitazione in senso peggiorativo della sentenza assolutoria di primo grado, avvenuta alla luce di una diversa, contraddittoria e non plausibile disamina delle risultanze dibattimentali, pur in assenza di lacune da parte della sentenza di primo grado; si osserva in particolare che la Corte territoriale aveva ritenuto sussistente una condizione di buona visibilità, sebbene fosse incontroversa la circostanza che il sinistro si era verificato al crepuscolo. Inoltre l’affermazione della responsabilità penale si sarebbe adagiata sulla equipollenza tra visione frontale e da tergo, già ripudiata dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento della precedente condanna, riproponendo lo schema valutativo censurato in sede di legittimità, in quanto fondato su petizioni di principio, e non su un’adeguata ricostruzione dell’evento.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 154 del Codice della Strada comma 1 lett. A e comma 2 lett. B, e la manifesta illogicità di un giudizio di responsabilità formulato in contrasto con le risultanze probatorie, che avevano comprovato l’abnorme velocità del motociclo proveniente dal medesimo senso di marcia e le precarie condizioni di visibilità, con l’assenza di luce artificiale, mentre non aveva rilevanza la connotazione piana della tratta viaria. Pur non avendo il supplemento istruttorio fornito elementi diversi rispetto al quadro probatorio emerso in primo grado, la Corte territoriale aveva omesso di considerare le plurime infrazioni di cui si era reso autore la vittima, retrodatando le prescrizioni comportamentali codificate dall’art. 154 del Codice della Strada non all’approssimarsi della svolta, ma al momento della iniziale sovrapposizione visiva di due vettori entrati in collisione dopo appena 10 secondi.

Con il terzo motivo, il ricorrente contesta l’inosservanza degli art. 40 e 41 cod. pen. e dell’art. 154 del Codice della Strada, e la manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui è stato affermato che il precetto extrapenale di colpa specifica determinasse a carico dell’imputato un aprioristico e generalizzato obbligo di astensione dalla manovra di svolta; la sentenza impugnata, in particolare, avrebbe teorizzato un obbligo di costante visione dello specchietto retrovisore da parte del R, che avrebbe dovuto quindi abbandonare la visione frontale per prevedere, nell’avanzata fase crepuscolare, l’esatto sviluppo della traiettoria del motociclo che proveniva da retro.

Con il quarto motivo, la difesa lamentata l’inosservanza degli art. 40 e 41 cod. pen. e dell’art. 154 del Codice della Strada, e la carenza e contraddittorietà della motivazione, in relazione al rapporto di causalità, non essendo state considerate le conclusioni del perito del Tribunale, il quale aveva descritto un motociclo antagonista per nulla inserito nell’ordinario panorama veicolare, avendo la vittima violato cinque precetti del Codice della Strada, tenendo cioè una condotta abnorme, idonea ad assurgere a causa autonoma dell’evento.

Con il quinto motivo, viene censurata l’inosservanza degli art. 533 cod. proc. pen. e 40 e 42 cod. pen., non avendo la sentenza impugnata accertato, come richiesto dalla Corte di cassazione, l’attivazione dei fari da parte del motociclo antagonista, essendo peraltro il fatto avvenuto in orario crepuscolare in un tratto di strada non illuminato.

  1. Prima dell’odierna udienza è pervenuta memoria del difensore di parte civile, il quale ha chiesto di dichiarare inammissibile o, in subordine, di rigettare il ricorso, in quanto fondato su una riconsiderazione alternativa del compendio probatorio, non consentita in sede di legittimità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

  1. Al fine di circoscrivere l’ambito della verifica sollecitata dall’odierno ricorso, occorre premettere che, con la sentenza n. 4335 del 10 novembre 2015, la Quarta Sezione di questa Corte ha annullato la precedente sentenza di condanna della Corte di appello di Catanzaro, rilevando l’assenza della “motivazione rinforzata” necessaria al fine di sovvertire il giudizio assolutorio di primo grado, dando adeguatamente conto delle difformi conclusioni raggiunte. In particolare, con la predetta sentenza di annullamento, era stato sottolineato come non fosse stato verificato se la condotta della vittima dell’incidente potesse ritenersi in concreto prevedibile ed evitabile, essendo rimasti non approfonditi in tal senso plurimi punti decisivi, non essendo univoca l’informazione sulla distanza alla quale il motociclo guidato dalla vittima fosse avvistabile, tenuto conto delle precipue condizioni di luce, in relazione all’ora, alle condizioni atmosferiche e alla messa in funzione o meno dei sistemi di illuminazione del predetto motociclo e considerata la modalità dell’avvistamento tramite gli specchietti retrovisori. Ancora, si è osservato nella sentenza di annullamento della Quarta Sezione di questa Corte, non risultavano presi in attento esame i tempi di reazione tecnica e le condotte alternative praticabili al momento in cui l’automobilista ebbe modo di scorgere il motociclo, non essendo cioè noto in quale fase della manovra il mezzo della vittima si presentò da retro nel campo visivo di R e in che modo questi avrebbe potuto impedire l’evento o almeno ridurne la lesività. Ciò nel presupposto che l’art. 154 lett. A del Codice della Strada, fonte del rimprovero di colpa specifica, descrive una condotta cautelare che in sè non vieta la manovra tutte le volte che si avvisti a distanza di sicurezza altro veicolo la cui traiettoria di marcia viene a essere virtualmente interessata, ma impone piuttosto di assicurarsi che non si venga a creare pericolo. Orbene, così individuato il perimetro tracciato dal giudice di legittimità, deve ritenersi che la Corte territoriale, con la sentenza impugnata, abbia colmato le lacune ricostruttive e argomentative censurate nella sentenza di annullamento.
  2. Iniziando la disamina dai primi due motivi di ricorso, suscettibili di essere trattati congiuntamente in quanto concernenti, sotto profili sovrapponibili, l’asserita fragilità dell’impianto motivazionale della sentenza impugnata, occorre evidenziare che i giudici di appello, dopo aver ripercorso i passaggi salienti della pronuncia della Quarta Sezione di questa Corte, hanno dato atto di avere, una volta incardinato il giudizio di rinvio e recependo in tal senso una sollecitazione della Corte di legittimità, disposto la parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, mediante il nuovo esame del perito nominato dal Tribunale di Cosenza e l’audizione di altri due testi, ovvero GS, cioè la persona che aveva avvisato telefonicamente i Carabinieri di Cosenza alle 19 e che per prima era sopraggiunto sul luogo del sinistro, e DE, amico della vittima, AM, con cui quel pomeriggio era stato insieme, seguendolo a bordo di un’altra moto nelle fasi antecedenti il tragico incidente. Riassumendo le dichiarazioni assunte e coordinandole con le fonti probatorie già acquisite, la Corte territoriale ha dunque rilevato che il tratto di strada dove è avvenuto il sinistro era rettilineo e pianeggiante, le condizioni di luce erano buone anche se crepuscolari (il fatto è avvenuto intorno alle 19 del 1° aprile 2007) e quasi certamente non vi erano mezzi tra la Fiat Panda guidata da R e la moto Ducati proveniente da tergo e condotta da M. Questi procedeva a una velocità elevatissima, di circa 160 km/h al momento dell’impatto fatale, che è avvenuto nel momento in cui la Panda ha effettuato una manovra di svolta a sinistra verso una strada sterrata interpoderale. Dalle dichiarazioni del teste E, la Corte di appello ha inoltre desunto che le condizioni di luce, al momento del sinistro, erano tali da consentire la visibilità dei mezzi su quella strada a una distanza di circa 400/500 metri. Orbene, alla stregua di tali risultanze, i giudici di secondo grado sono pervenuti alla conclusione che R aveva la possibilità di avvistare la motocicletta a una distanza significativa, anche per l’assenza di mezzi tra la Panda e la moto. La circostanza che sull’asfalto non vi fossero segni di frenata è stata ritenuta poi sintomatica del fatto che M non ebbe neppure il tempo tecnico di reazione, stimato dal perito in 1/1,2 secondi, necessario ad accorgersi della manovra a sinistra intrapresa dalla Fiat Panda e non riuscì neppure a tentare di evitare l’auto deviando ulteriormente verso sinistra, cioè verso la stradina interpoderale che R intendeva raggiungere; di qui il convincimento della Corte di appello che la svolta della Fiat Panda ebbe luogo all’improvviso, senza poter consentire a M qualsiasi manovra di emergenza, essendo a 40/50 metri dall’auto, non essendo decisivo il fatto che la moto stesse procedendo sulla corsia normale di marcia, come riferito dal teste E, o eventualmente sulla corsia di sorpasso, come era più probabile visto il posizionamento perpendicolare alla direzione di marcia dei veicoli subito dopo il tragico impatto e considerato altresì che, provenendo in accelerazione dal bivio Cimino, distante dal luogo del sinistro 800 metri/1km, M doveva certamente aver notato la Fiat Panda. Del resto, l’affermazione di E di aver visto la moto sulla corsia di marcia si riferiva necessariamente alla fase inziale e non a quelle più prossime al sinistro, quando egli era rimasto indietro di circa mezzo chilometro. La Corte di appello ha poi osservato che la velocità della moto di 160 km/h era quella del momento dell’impatto, cioè quella finale della motocicletta, raggiunta in accelerazione da M a partire dal bivio Cimino da cui si era immesso nella strada principale, quasi un chilometro prima.

Prima dello scontro, comunque, R, tenuto conto della buona visuale della strada retrostante perché rettilinea e pianeggiante e dell’assenza di altri veicoli, era in condizione di avvistare la moto con gli specchietti retrovisori a una distanza di 400-500 metri, cioè circa 10 secondi prima, posto che, secondo il perito T, la moto con quella velocità percorreva circa 44 metri al secondo. I tempi di avvistabilità della moto da parte dell’imputato dunque non erano esigui ed erano ben superiori ai tempi tecnici di reazione necessari al conducente della moto per accorgersi della svolta a sinistra e intraprendere manovre di emergenza. Alla stregua di tali considerazioni, il comportamento di R è stato pertanto ritenuto dai giudici di appello connotato in termini concorrenti di colpa generica e specifica rispetto alla guida indubbiamente spericolata del motociclista.

Orbene, in quanto aderente alle risultanze probatorie raccolte e sorretta da argomenti logici e coerenti, la motivazione della sentenza impugnata resiste alle censure difensive, dovendosi ritenere che la Corte territoriale, nel solco tracciato dai giudici di legittimità, non si è limitata stavolta a enunciare notazioni critiche di dissenso rispetto alla prima sentenza, ma ha riesaminato il materiale probatorio già vagliato dal primo giudice e implementatosi in sede di parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, fornendo adeguata e razionale giustificazione delle difformi conclusioni assunte rispetto all’esito assolutorio del primo grado.

A differenza di quanto dedotto dalla difesa, l’accertamento del concorrente comportamento colposo di R è scaturito non dal richiamo a formule stereotipate, ma da una disamina rigorosa e critica delle fonti dimostrative acquisite, ampliate dall’utile supplemento istruttorio operato nel giudizio di rinvio, fondandosi le censure difensive, peraltro in larga parte fattuali, su una lettura frammentaria e parziale del materiale probatorio acquisito in sede di merito.

  1. Parimenti infondati sono gli ulteriori motivi di ricorso, che a loro volta ben possono essere affrontati congiuntamente, in quanto ripropongono, peraltro spesso in termini ripetitivi, tematiche e obiezioni tra loro sovrapponibili. In particolare, con riguardo al fondamento giuridico dell’attribuzione a R della concorrente responsabilità della determinazione dell’incidente mortale, i giudici di appello hanno ravvisato a carico del ricorrente profili di colpa generica e specifica, osservando che, alla luce dello stato dei luoghi, delle condizioni di visibilità e dell’assenza di veicoli intermedi, l’imputato, adoperando la normale diligenza e attenzione di guida, si sarebbe dovuto accorgere necessariamente, guardando gli specchietti retrovisori, della moto che lo seguiva a quella velocità. Il rapido avvicinamento della motocicletta che viaggiava in quel modo così spericolato avrebbe quindi dovuto consigliare al conducente della Panda di usare la massima prudenza prima di impegnare la corsia di sorpasso nella manovra di svolta a sinistra, per cui nel caso specifico la violazione delle condotte cautelari previste dall’art. 154 del Codice della Strada (“cambiamento di direzione o di corsia o altre manovre”) è stata determinata a monte da un difetto di attenzione di R circa l’avvistabilità e la velocità della moto che sopraggiungeva da dietro, non essendo in tal senso dirimente stabilire se l’automobilista avesse utilizzato o meno 44;indicatori di direzione prima di effettuare la manovra, perché, ove pure ciò fosse avvenuto, rimane il fatto che la manovra di svolta, in quella condizione di pericolo, non andava effettuata, e vi erano i presupposti per astenersi dalla svolta a sinistra, in quanto il conducente della Panda aveva avuto a disposizione un tempo non breve (circa 10 secondi) per accorgersi del sopraggiungere della moto e della condizione di pericolo scaturente dalla sua sconsiderata velocità. Del resto, la motocicletta era avvistabile ad alcune centinaia di metri di distanza e R, in quella situazione ambientale, era in grado di percepire l’imminenza del pericolo, astenendosi dal compimento della manovra rivelatasi fatale. Il ragionamento della Corte territoriale, in quanto scevro da profili di illogicità, non appare censurabile in questa sede, ove si consideri che a ciascuno dei punti di domanda lasciati aperti dalla sentenza di annullamento, i giudici di appello hanno dato adeguata risposta, giungendo a conclusioni coerenti sia con le premesse fattuali accertate grazie anche all’integrazione probatoria espletata nel giudizio di rinvio, sia con i canoni di imputazione della condotta colposa nel settore della circolazione stradale, costituendo principio consolidato in materia (cfr. ex multis Sez. 4, n. 7664 del 06/12/2017, Rv. 272223) quello secondo cui l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché questo rientri nel limite della prevedibilità, potendosi cioè escludere la colpa concorrente solo se la percezione dell’altrui imprudenza sia tanto improvvisa da porre il conducente nella assoluta e incolpevole impossibilità di evitare l’imprevisto.

Nel caso di specie, la Corte di appello ha illustrato diffusamente le ragioni per cui R era nella condizione di percepire l’imprudenza del conducente della moto e di astenersi conseguentemente dal compiere la manovra di svolta a sinistra che ha determinato l’incidente, non essendovi dubbi, sul piano dell’interferenza causale, che l’evento non si sarebbe verificato, nonostante la grave imprudenza della vittima, se R avesse evitato la svolta prima del passaggio della moto.

Deve pertanto ritenersi che il giudizio sulla configurabilità del reato, nei termini di un concorso di colpa del ricorrente (reato dichiarato estinto per prescrizione), non presenti vizi rilevabili in questa sede, risultando le doglianze difensive fondate su letture alternative della dinamica dei fatti, che tuttavia si scontrano con gli esiti dell’attività istruttoria scrutinata con maggiore rigore dalla Corte territoriale.

  1. In conclusione, stante l’infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso di R deve essere quindi rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento, nonchè quelle del grado in favore della costituita parte civile, FM, liquidate come da dispositivo.

 P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese del grado omissis

 

 

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