Art. 100 Tulps: il Questore Sospende, il Comune Revoca (ma su conforme richiesta del Prefetto).
Interessante sentenza, quella del TAR Toscano qui di seguito epigrafata, che fa il punto sulla competenza –distribuita nell’art. 100 del TULPS- tra Questura, Prefettura e Comune.
La sentenza conclude sulla sussistenza della competenza del Comune ad adottare l’atto di revoca del titolo abilitativo, ma che trattasi di atto vincolato, privo di qualsiasi discrezionalità, in quanto sollecitato da puntuale e motivata richiesta della prefettura.
Quindi, il Questore sospende; il Comune revoca, conformemente a richiesta del Prefetto.
Questa ricostruzione, invero, ci convince poco, tuttavia l’accettiamo riportando i passi salienti della sentenza 606/2019.
In premessa.
L’art. 100 del TULPS così dispone: “Oltre i casi indicati dalla legge, il questore può sospendere la licenza di un esercizio, anche di vicinato, nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini. Qualora si ripetano i fatti che hanno determinata la sospensione, la licenza può essere revocata”.
Una precisazione s’impone (secondo le parole del TAR Toscana, sezione II, sentenza n°606 del 23 aprile 2019) anche in merito alla distribuzione delle competenze in materia. Secondo il TAR, in base all’art. 19 del d.P.R. n. 616/1977, competente a disporre la revoca dell’autorizzazione in questione è il Comune su vincolante e motivata richiesta del Prefetto. Quindi, dal combinato disposto dell’art. 100 del TULPS e dell’art. 19, d.P.R. n. 616/1977, si desume che i Comuni non hanno una competenza propria e autonoma in materia di ordine pubblico e dunque non possono compiere autonome valutazioni su tale interesse; essi Comuni sono tuttavia formalmente, se non sostanzialmente, competenti a revocare le autorizzazioni commerciali da essi rilasciate, per motivi di ordine pubblico, se vi sia una richiesta in tal senso da parte dell’Autorità di p.s., preposta istituzionalmente alla tutela dell’ordine pubblico (Cons. St., VI, n. 8107/2010). Dunque, l’art. 100 del T.U.L.P.S. attribuisce all’autorità di pubblica sicurezza e, in particolare, al Questore il potere di sospendere la licenza commerciale relativa ad un esercizio pubblico “che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini”. E’ perciò evidente che il potere attributo dall’art. 100, r.d. n. 773 del 1931 al Questore di sospendere la licenza per l’attività di un pubblico esercizio ha intrinseche finalità di prevenzione del pericolo per la sicurezza pubblica (Cons. St., sez. III, 27 settembre 2018, n. 4529). Il citato art. 100, r.d. n. 773 del 1931 persegue, quindi, un obiettivo di prevenzione e di tutela anticipata della Pubblica sicurezza, per cui è sufficiente la sussistenza del mero pericolo per la sicurezza pubblica per consentire al Questore l’adozione della misura cautelare, nell’esercizio di poteri discrezionali censurabili solo per manifesta irragionevolezza (Cons. St., sez. III, 29 luglio 2015, n. 3752). Sia la norma che la giurisprudenza conducono dunque a ritenere che gli eventi che possono portare a una sospensione dell’efficacia dell’autorizzazione e poi, conseguentemente, alla revoca su richiesta del Prefetto, in caso di ulteriore ripetizione degli eventi, debbano essere riferibili a comportamenti pericolosi messi in atto da avventori del locale e all’interno del locale stesso. Esse mettono in evidenza che la misura della sospensione della autorizzazione è giustificata quando il ripetersi di condotte gravi da parte di chi frequenta il locale determina una situazione complessiva di degrado (e/o di pericolo per la società). In altri termini, la compressione della libertà di iniziativa economica (costituzionalmente garantita dall’art. 41 Cost.) che la sospensione o la revoca determina è accettabile solo in quei casi in cui un locale, per le condotte ripetute della generalità o comunque di una parte dei suoi avventori, sia in grado di mettere in pericolo l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica, cioè rappresenti un pericolo per gli altri avventori e/o per il resto della società.