Revoca della patente (motivi morali) e giurisdizione del G.O.

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Una persona impugna, innanzi al TAR del Lazio, il decreto prefettizio recante la revoca della patente di guida, disposta nei suoi riguardi ai sensi dell’art. 120, comma 2, e dell’art. 219 del Codice della Strada, in presenza della sentenza di condanna irrevocabile, per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990, emessa nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p..

Il TAR (Lazio, sezione I ter, sentenza n°11201 del 11-10-2017), dopo aver sommariamente analizzato la fattispecie (“Considerato: che l’art. 120 del d.lgs. n. 285/1992 recita così:“1. Non possono conseguire la patente di guida … le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi…. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 75, comma 1, lettera a), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, se le condizioni soggettive indicate al primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida. La revoca non può essere disposta se sono trascorsi più di tre anni dalla data di … passaggio in giudicato della sentenza di condanna per i reati indicati al primo periodo del medesimo comma 1”; che è evidente che la norma richiamata individua, quale causa ostativa al rilascio della patente di guida e, ove intervenuta successiva al suo rilascio, quale elemento determinante la sua revoca, la sussistenza di una condanna, disposta ai sensi dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, non operando alcun distinguo tra le diverse fattispecie ivi specificate e ponendo unicamente il limite temporale di tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza che l’ha disposta; che il rimarcato dato letterale è inequivocabile, nel senso di escludere ogni apprezzamento discrezionale, non lasciando spazio ad una diversa interpretazione, di tipo sistematico; che l’unico caso eccettuato dal mancato rilascio della patente o, se sopravvenuto, dalla sua revoca, è quello di cui all’art. 75, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 309/1990 – detenzione per uso personale, qui senz’altro non ricorrente; che, quanto al tempo trascorso dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, qui è inferiore a tre anni.”), non decide nel merito ma si limita solo a declinare la giurisdizione in favore del giudice ordinario, dato che, secondo il Collegio: “si tratta dell’esercizio di un’attività del tutto vincolata, rispetto alla quale si configurano posizioni giuridiche soggettive aventi la consistenza di diritto soggettivo, con la conseguenza che, come affermato da un orientamento giurisprudenziale prevalente (cfr.: Consiglio di Stato, sez. III, 6.6.2016, n. 2413; T.a.r. Lazio, Roma, sez. I ter, 6.4.2017, n. 4316; T.a.r. Campania, Napoli, sez. V, 25.10.2016, n. 4952; T.a.r. Piemonte, sez. II, 26.2.2016, n. 273; T.a.r. Puglia, Lecce, sez. I, 5.10.2011, n. 1716)”.

 

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