Qualunque autorità giurisdizionale, innanzi alla quale sia sollevato il sindacato incidentale ha il potere di respingerlo per manifesta irrilevanza o infondatezza.

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I giudici delle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 22754 del 25 settembre 2018 hanno chiarito che, con riferimento al sindacato incidentale sulle decisioni del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione, è configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale con riferimento alle regole del processo amministrativo solo nel caso di un radicale stravolgimento delle norme relative al rito, tale che la rilevata grave irregolarità implichi un evidente diniego di giustizia.

LA VICENDA

Una signora impugna le ordinanze adottate dal Comune di Orbassano, con le quali le era stata rispettivamente, da un canto, ingiunta la sospensione delle opere edilizie ed il ripristino dello stato naturale dei luoghi e, dall’altro, ordinata la demolizione di due fabbricati e della tettoia realizzate nel frattempo, sostenendo che le strutture in questione non necessitavano di un permesso di costruire in quanto precarie, temporanee e senza ancoraggi al suolo. Il Tribunale Amministrativo Regionale Piemonte respingeva i ricorsi considerando come conclamata la realizzazione delle opere edilizie, integranti una permanente trasformazione dell’area in assenza di qualsivoglia titolo, con il mutamento della destinazione d’uso dell’area, da agricola a residenziale. Avverso la decisione viene proposto appello al Consiglio di Stato che  ritenendolo infondato lo respinge. Per la cassazione della sentenza la signora propone ricorso  lamentando  che il giudice amministrativo non abbia fatto ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio, atta a dirimere il conflitto insorto a riguardo dell’intervento di asserita trasformazione dell’area, con adesione acritica alla rappresentazione fornita dal Comune e la sostanziale negazione del principio di parità delle parti e contestando la risposta  fornita dal Consiglio di Stato in ordine alla presunta mancata impugnazione della sentenza del TAR, nella parte relativa al proprio primo motivo di ricorso.

LA DECISIONE

I giudici della Corte, a Sezioni Unite, dichiarano inammissibile il ricorso chiarendo che, con riferimento al sindacato delle Sezioni Unite della Suprema Corte sulle decisioni del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione, è configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale con riferimento alle regole del processo amministrativo solo nel caso di un radicale stravolgimento delle norme relative al rito, tale che la rilevata grave irregolarità implichi un evidente diniego di giustizia. Nel caso de quo si censura la sentenza del Consiglio di Stato per un presunto error in procedendo, costituito dalla censurata omessa consulenza giudiziale d’ufficio (la CTU) che, si afferma, essa sola capace di accertare la natura non lesiva dell’intervento di trasformazione dell’area oggetto di indagine, verificando gli ancoraggi delle opere mobili al suolo, gli scarichi, ecc., così l’omissione trasmodando in un error in iudicando ed altresì in un error in procedendo, costituito dall’affermazione, non corretta, dell’esistenza di un giudicato interno, a sua volta figlio di un ulteriore errore: la violazione del principio relativo alla non obbligatoria impugnativa degli atti meramente confermativi (quale sarebbe stata la seconda delle tre intimazioni impartite dall’Ente locale al privato ricorrente). Nella specie, si chiede alle Sezioni unite della Corte di compiere un sindacato su come il giudice amministrativo abbia fatto applicazione delle regole contenute nel proprio codice di rito e secondo l’ osservanza della sua stessa elaborazione giurisprudenziale. In generale, il controllo sulla giurisdizione non è in alcun caso estensibile alla prospettazione di pure e semplici violazioni di legge, sia pure relative alle regole processuali, da parte del giudice speciale, l’incensurabilità delle cui valutazioni al riguardo, innanzi alla Corte suprema, è l’effetto di una precisa scelta costituzionale, evidenziato di recente con la sentenza  n. 6/18.

Corte di Cassazione Civile, Sentenza  Sezione Unite n. 22754 del 25 settembre 2018

RITENUTO IN FATTO

1.- La signora Gina Laforet ha impugnato le ordinanze, nn. 208 del 2007 e 152 del 2011, adottate dal Comune di Orbassano, con le quali le era stata rispettivamente, da un canto, ingiunta la sospensione delle opere edilizie ed il ripristino “dello stato naturale dei luoghi” e, dall’altro, ordinata la demolizione di due fabbricati e della tettoia realizzate nel frattempo, sostenendo “in estrema sintesi che le strutture in questione non necessitavano di un permesso di costruire in quanto precarie, temporanee e senza ancoraggi al suolo”.

1.1. -Il TAR Piemonte, riuniti i ricorsi, li ha respinti, sulla base della considerazione che i lavori erano stati esaminati nella loro globalità e che da tale esame era emersa la complessiva trasformazione dell’area, compiuta mediante il riporto di terra e la posa di cordoli in cemento, allo scopo di pervenire ad un chiaro uso abitativo del terreno trasformato, senza che la ricorrente avesse impugnato anche la seconda ordinanza (quella intermedia, data tra la prima e terza, pure oggetto di domanda), la n. 48 del 2010, con ciò facendo consolidare il precedente provvedimento del 2007 e fatto venir meno l’interesse della ricorrente a contrastare il contenuto repressivo adottato in quello stadio dei lavori, con la prima intimazione.

1.2. – In sintesi, il TAR ha considerato come conclamata la realizzazione delle opere edilizie, integranti “una permanente trasformazione dell’area in assenza di qualsivoglia titolo”, con il mutamento della destinazione d’uso dell’area, da agricola a residenziale.

  1. – L’appello proposto dalla soccombente è stato ritenuto infondato e respinto dal Consiglio di Stato che, con la sentenza in questa sede impugnata, ha integralmente confermato la soluzione del caso data dal primo giudice.

3.1. – Il Consiglio di Stato ha premesso in rito che, in mancanza di una censura della sentenza del TAR nella parte in cui essa ha affermato la carenza d’interesse della ricorrente in ordine al primo provvedimento censurato (quello del 2007, dei tre complessivamente emanati nello svolgersi della vicenda in esame) per l’omessa impugnazione del secondo, ossia dell’ordinanza intermedia (n. 48 del 2010), con la conseguente inammissibilità del primo motivo di appello in ragione del fatto che si era ormai formato il giudicato, ai sensi dell’art. 101 C.P.A., in ordine alla prima intimazione comunale, contenente l’accertamento della trasformazione dell’area che si sarebbe compiuta non già per mezzo della recinzione realizzata (attività in sé legittima) ma mediante il riporto di terra e la posa in opera dei cordoli in cemento.

3.2. – Il Consiglio di Stato ha poi osservato che non avevano pregio le censure rivolte dall’appellante alla decisione del TAR, laddove quest’ultimo aveva qualificato la realizzazione delle dette opere (dall’appellante definite “due rimorchi o caravan su ruote” con adiacente “riparo e gabbiotto precario in legno”) come integranti una permanente trasformazione dell’area agricola, pur in assenza di titolo edilizio (ex TU n. 380 del 2001), atteso che le stesse erano state posate stabilmente sulla pavimentazione, attraverso mezzi   “autobloccanti”, così da integrare quegli “interventi di nuova costruzione” necessitanti dell’autorizzazione (invece, mancante).

  1. – Per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato la signora Laforet ha proposto ricorso, con atto notificato il 22 dicembre 2016, sulla base di due motivi.

4.1. – Il Comune di Orbassano ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. – Con il primo mezzo (violazione degli artt. 24 e 111 Cost., 1, 2, 7, 63, 64 e 110 C.P.A. in relazione agli artt. 111, co. 8, Cost., 360 nn. 1, 3 e 5 e 362 cod. proc. civ.: Eccesso di potere giurisdizionale e radicale stravolgimento delle norme di rito) la ricorrente, premesso che i fatti erano stati diversamente rappresentati dalle due parti litiganti, lamenta che il giudice amministrativo non abbia fatto ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio, ai sensi dell’art. 63, co. 4, C.P.A., atta a dirimere il conflitto insorto a riguardo dell’intervento di asserita trasformazione dell’area, con adesione acritica alla rappresentazione fornita dal Comune e la sostanziale negazione del principio di parità delle parti.

1.1. – La ricorrente perciò ripropone, in fatto, la legittimità sia della realizzata recinzione (come espressione del proprio diritto reale), sia della sosta di due rimorchi o caravan su ruote con la realizzazione di un adiacente riparo e gabbiotto in legno. Tali entità materiali, costituite da case mobili o caravan, ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett. c) e 5 del d.P.R. n. 380 del 2001, non potrebbero qualificarsi come vere e proprie nuove costruzioni e, perciò, non sarebbero soggette all’obbligo del permesso di costruire, anche per la mancanza di un loro stabile ancoraggio al suolo.

  1. – Con il secondo mezzo (violazione degli artt. 24 e 111 Cost., 1, 2, 101 e 110 CPA in relazione agli artt. 111, co. 8, Cost., 360 nn. 1, 3 e 5 e 362 cod. proc. civ.: Eccesso di potere giurisdizionale e radicale stravolgimento delle norme di rito) la ricorrente contesta la risposta fornita dal Consiglio di Stato in ordine alla presunta mancata impugnazione della sentenza del TAR, nella parte relativa al proprio primo motivo di ricorso, atteso che – secondo l’odierna ricorrente – il riferimento alla legittimità della recinzione avrebbe implicato una più ampia coltivazione ed estensione dell’impugnazione. Infatti, l’interesse mostrato all’impugnazione della prima ordinanza (quella avente il n. 209 del 2007) scaturirebbe anche dal carattere meramente confermativo del secondo provvedimento (quello n. 48 del 2010, non impugnato) nella parte in cui esso rinnovava, verso i suoi destinatari, l’invito alla demolizione di quanto già realizzato.

2.1. – Trattandosi di un atto meramente confermativo del primo, il secondo non sarebbe stato obbligatoriamente impugnabile (in base alla stessa giurisprudenza amministrativa) sicché l’aver fatto discendere, da una tale presunta omissione, alcune conseguenze sfavorevoli per l’appellante avrebbe leso una pluralità di principi: quello di effettività e di pienezza della tutela (art. 1 C.P.A.) e quello della parità delle armi, del contraddittorio e del giusto processo (art. 2 C.P.A.), con un ipotizzabile stravolgimento del rito e un “evidente diniego di giustizia”.

  1. – Il ricorso – i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione – è infondato.
  2. – Con i predetti mezzi la ricorrente si duole del fatto che il Consiglio di Stato:
  3. a) avrebbe aderito – in maniera acritica – alle contestazioni dell’abuso edilizio, così come formulate dall’Amministrazione comunale di Orbassano, senza valutare appieno le sue censure e persino omettendo di far ricorso ad una Consulenza d’ufficio (la CTU: primo motivo), ravvisata come necessaria nel contrasto delle allegazioni;
  4. b) avrebbe affermato l’esistenza di un giudicato interno, per non avere essa ricorrente censurato, in primo grado, una deliberazione intermedia che aveva solo ribadito le intimazioni già date con il primo provvedimento amministrativo e per non avere, conseguentemente, impugnato la sentenza del TAR nella parte in cui, rilevata tale omissione, aveva concluso per la carenza di interesse della ricorrente.

4.1. – E tuttavia, questa Corte ha da tempo chiarito che, con riferimento al sindacato delle Sezioni Unite della Suprema Corte sulle decisioni del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione, è configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale con riferimento alle regole del processo amministrativo solo nel caso di un radicale stravolgimento delle norme relative al rito, tale che la rilevata grave irregolarità implichi un evidente diniego di giustizia.

4.2. – Così, ad esempio, questa Corte ha affermato (Sez. U, Sentenza n. 2403 del 2014 e Sez. U, Sentenza n. 23460 del 2015) che il controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111, ultimo comma, Cost. affida alla Corte di cassazione – non include neanche una funzione di verifica finale della conformità di quelle decisioni al diritto dell’Unione europea, neppure sotto il profilo dell’osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, ex art. 267, terzo comma, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

4.3. – E si è del pari affermato che, poiché il vigente sistema di sindacato “incidentale” di costituzionalità attribuisce a qualunque “autorità giurisdizionale”, innanzi a cui sia sollevata la relativa eccezione, il potere di respingerla “per manifesta irrilevanza o infondatezza”, è inammissibile il ricorso per cassazione avverso una decisione del Consiglio di Stato con cui si censuri il concreto esercizio di un siffatto potere da parte del giudice amministrativo (con riferimento a disposizioni concernenti, peraltro, non la giurisdizione ma la disciplina sostanziale dei rapporti innanzi a questo dedotti) non potendo, per definizione, integrare, quell’esercizio, un vizio dì eccesso di potere giurisdizionale sindacabile dalla Suprema Corte alla stregua  degli artt. 111, ottavo comma, Cost. e 362, primo comma, cod. proc. civ. (Sez. U, Sentenza n. 7929 del 2013).

4.4. – Così, si è più in generale stabilito che il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111, ottavo comma, Cost., affida alla Corte di cassazione – non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errores in iudicando ve/ in procedendo (Sez. U, Sentenze nn. 2242 del 2015 e 953 del 2017).

4.5. – Va pertanto ribadito (allo stesso modo di quanto hanno già affermato le sentenze di questa Corte, (Sez. U, nn. 964 del 2017 e 24468 del 2013) il principio di diritto secondo cui, in tema di sindacato delle Sezioni Unite sulle decisioni del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione, «è configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale con riferimento alle regole del processo amministrativo solo nel caso di radicale stravolgimento delle norme di rito, tale da implicare un evidente diniego di giustizia e non già nel caso di mero dissenso del ricorrente nell’interpretazione della legge».

4.6. – Nel caso di specie si censura la sentenza del Consiglio di Stato per un presunto error in procedendo, costituito dalla censurata omessa consulenza giudiziale d’ufficio (la CTU) che, si afferma, essa sola capace di accertare la natura non lesiva dell’intervento di trasformazione dell’area oggetto di indagine, verificando gli ancoraggi delle opere mobili al suolo, gli scarichi, ecc., così l’omissione trasmodando in un error in iudicando ed altresì in un error in procedendo, costituito dall’affermazione, non corretta, dell’esistenza di un giudicato interno, a sua volta figlio di un ulteriore errore: la violazione del principio relativo alla non obbligatoria impugnativa degli atti meramente confermativi (quale sarebbe stata la seconda delle tre intimazioni impartite dall’Ente locale al privato ricorrente).

4.7. – Ma in tal modo, nella specie, si chiede alle Sezioni unite della Corte di compiere un sindacato su come il giudice amministrativo abbia fatto applicazione delle regole contenute nel proprio codice di rito e secondo la, più o meno coerente, osservanza della sua stessa elaborazione giurisprudenziale.

4.8. – Ebbene, in tema di sindacato delle Sezioni Unite della Suprema Corte sulle decisioni del Consiglio di Stato, per motivi inerenti alla giurisdizione, questa Corte ha da tempo affermato che è configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale con riferimento alle regole del processo amministrativo solo nel caso di un radicale stravolgimento delle norme di rito che implichi un evidente diniego di giustizia, e non già nel caso di mero dissenso del ricorrente nell’interpretazione della legge, così che:

  1. a) non è affetta da tale vizio la pronuncia con la quale il giudice amministrativo, facendo applicazione della sanzione stabilita dall’art. 40 del d.lgs. n. 104 del 2010, nonché dell’art. 3, comma 2, del medesimo d.lgs., abbia dichiarato l’inammissibilità dell’atto d’appello per violazione dei doveri di specificità, chiarezza e sinteticità espositiva (Sez. U – , Sentenza n. 964 del 2017);
  2. b) non è affetta da eccesso di potere giurisdizionale la pronuncia del Consiglio di Stato, della quale sia denunciata l’irritualità per mancato rispetto del termine di almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, prescritto dall’art. 60 del d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (codice del processo amministrativo), in relazione alla convocazione in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di sospensiva della sentenza appellata, ove il collegio, sentite sul punto le parti costituite e senza alcuna opposizione di queste, abbia poi definito, in sede camerale, tutto il giudizio introdotto con l’atto d’appello mediante sentenza in forma semplificata. (Sez. U, Sentenza n. 15428 del 2012).

4.9. – Più di recente (Sez. U – , Ordinanza n. 16974 del 2018) si è precisato che «la mancata o inesatta applicazione di una norma di legge da parte del giudice amministrativo integra, al più, un error in iudicando, ma non dà luogo alla creazione di una norma inesistente, comportante un’invasione della sfera di attribuzione del potere legislativo sindacabile dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 362, comma 1, c.p.c..».

4.9.1. – Afferma, in particolare, la detta ultima pronuncia che di violazione dei limiti esterni può discutersi solo in quanto il giudice amministrativo neghi o affermi la propria giurisdizione a favore o a danno di un altro plesso giurisdizionale, non quando si controverta dell’interpretazione di regole processuali nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione che prospetti tale vizio sotto il diverso profilo del difetto di giurisdizione, non trattandosi di una questione di superamento dei detti limiti, né potendosi configurare un rifiuto della stessa da parte del giudice amministrativo.

4.9.2. – Infatti, in generale, il controllo sulla giurisdizione (e sui limiti esterni che la circoscrivono) non è in alcun caso estensibile alla prospettazione di pure e semplici violazioni di legge, sia pure relative alle regole processuali, da parte del giudice speciale, l’incensurabilità delle cui valutazioni al riguardo, innanzi alla Corte suprema, è l’effetto di una precisa scelta costituzionale (come di recente evidenziato da Corte cost. n. 6/18).

  1. – Il ricorso che, come nella specie, chieda di valutare come violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa la mancata disposizione di una CTU (per accertare fatti reputati essenziali ai fini dell’esercizio legittimo del potere amministrativo) e l’affermazione dell’esistenza di un giudicato interno (che si contesta, perché si afferma postulato in violazione del principio relativo alla non obbligatoria impugnativa degli atti meramente confermativi) va pertanto dichiarato inammissibile, attenendo a presunti errores che, non riguardando i presìdi esterni della giurisdizione speciale, non possono perciò configurarsi come consumati per violazione degli stessi e così formare oggetto del sindacato proprio di questa Corte, a Sezioni unite (ex art. 362 cod. proc. civ., comma 1).
  2. — Alla sostanziale soccombenza della ricorrente consegue la sua condanna al pagamento delle spese processuali (di questo giudizio di cassazione), nella misura liquidata in dispositivo, e l’affermazione dell’esistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 200,00 (duecento) per esborsi oltre Euro 7.000,00 per compensi d’avvocato ed accessori di legge in favore del Comune di Orbassano.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater,del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. I, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni unite civili della Suprema Corte di cassazione, il 3 luglio 2018.

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