Opposizione ad atti della riscossione. Promemoria del GDP meneghino.

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Il G.d.P. di Milano (Giudice di pace Milano Sez. VI, Sent., 05-04-2017) ci ricorda che secondo la giurisprudenza di merito e di legittimità, la cartella esattoriale, primo atto esecutivo, sia impugnabile ai sensi della L. n. 689 del 1981, purché il ricorrente lamenti la mancata regolare notifica del verbale da cui la cartella è poi scaturita, così da poter recuperare un ineludibile momento di tutela. Avverso la cartella esattoriale emessa ai fini della riscossione di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni del codice della strada sono esperibili sono diversi rimedi “a) l’opposizione ai sensi della L. n. 689 del 1981, allorché sia mancata la notificazione dell’ordinanza-ingiunzione o del verbale di accertamento di violazione al codice della strada, al fine di consentire all’interessato di recuperare il mezzo di tutela previsto dalla legge riguardo agli atti sanzionatori; b) l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., allorché si contesti la legittimità dell’iscrizione a ruolo per omessa notifica della stessa cartella, e quindi per la mancanza di un titolo legittimante l’iscrizione a ruolo, o si adducano fatti estintivi sopravvenuti alla formazione del titolo; c) l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cod. proc. civ., qualora si deducano vizi formali della cartella esattoriale o del successivo avviso di mora. Mentre nel primo caso, ove non sia stato possibile proporre opposizione nelle forme e nei tempi previsti dall’art. 204 codice della strada, il ricorso deve essere proposto nei termine di trenta giorni dalla notifica della cartella, determinandosi altrimenti la decadenza dal potere di impugnare, nel caso di contestazione di vizi propri della cartella esattoriale l’opposizione – all’esecuzione o agli atti esecutivi – va proposta nelle forme ordinarie previste dagli artt. 615 e ss. cod. proc. civ., e non è soggetta alla speciale disciplina dell’opposizione a sanzione amministrativa dettata dalla L. n. 689 del 1981.” Cass. n. 9180 del 2006.

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