Com’è noto, l’articolo 3, comma 16, della legge 15 luglio 2009, n. 94, espressamente prevede che “nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico previsti dall’articolo 633 del codice penale e dall’articolo 20 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, il sindaco, per le strade urbane, e il prefetto, per quelle extraurbane o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo, possono ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione al fine del commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni”. Secondo il Consiglio di Stato (sentenza n°2892 del 14 giugno 2017), la norma in esame, autorizza il sindaco ad ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi in caso di indebita occupazione di suolo pubblico, senza attribuirgli al riguardo nessun potere discrezionale, in ragione del resto dell’interesse pubblico generale da tutelare consistente nella piena fruibilità delle strade urbane da parte di tutti indistintamente i cittadini; per altro la chiusura dell’esercizio per un periodo di cinque giorni, qual è quella disposta in danno dell’esercizio dell’appellante, rappresenta la misura minima della sanzione in caso di occupazione indebita di suolo pubblico per fini commerciale.
Su queste basi, viene respinto il ricorso in appello (contro la sentenza TAR Lazio Sez. II ter, n. 01186/2016) presentato dal noto ristorante romano “Er Faciolaro” e rimarcata la legittimità dell’ordinanza sindacale capitolina, che ha disposto “da parte dei dirigenti degli uffici dell’amministrazione capitolina, nei casi di occupazione di suolo pubblico totalmente abusiva effettuata, per fini di commercio, su strade urbane ricadenti nel territorio capitolino, delimitato dal perimetro del sito Unesco, l’applicazione delle disposizioni previste dall’art. 20 del Codice della Strada e dall’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009, e, per altro verso, la natura vincolata del potere esercitabile dai predetti dirigenti (in termini, Cons. Stato, sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5066; nonché 27 marzo 2015 nn. 1611 e 1621, alle cui motivazioni si rinvia anche per quanto riguarda la presunta violazione dei principi che stanno alla base della liberalizzazione delle attività economiche, alla pretesa violazione dell’art. 54 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267)”.