Il provvedimento di sospensione della patente di guida, adottato ex art. 223 cod. strada in ipotesi di reato, ha carattere preventivo e funzione cautelare. Lo ha affermato la seconda sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24111 del 12 novembre 2014. Il provvedimento di sospensione va verificato con riferimento alla situazione normativa esistente al momento del fatto. Le eventuali successive modificazioni della disciplina, anche se più favorevoli all’interessato, rimangono ininfluenti.
IL CASO La controversia prendeva le mosse da una sanzione amministrativa (per violazione dell’art. 186 comma secondo) accertata in data 8 febbraio 2008, da cui dipendeva l’adozione dell’ordinanza ingiunzione del prefetto di sospensione della patente del trasgressore, per un periodo di tre mesi. Nelle more dell’adozione della ordinanza, era entrata in vigore la legge n. 120/2010 che aveva abrogato la norma sanzionatoria, per cui il ricorrente invocava l’abolitio criminis e, di conseguenza, l’annullamento della sanzione.
LA DECISIONE DELLA CORTE La corte rigetta il ricorso ritenendo che in materia di illeciti amministrativi, l’adozione dei principi di legalità, di irretroattività e di divieto di applicazione dell’analogia, risultante dall’art. 1 della legge n. 689 del 1981, determina l’assoggettamento del comportamento considerato alla legge del tempo del suo verificarsi e la conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, senza che possano trovare applicazione analogica, stante la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all’art. 2, commi secondo e terzo codice penale, in tema di retroattività della norma più favorevole. Ne consegue che l’art. 186, lett. a), del codice della strada, come modificato dalla legge n. 120/2010, non può trovare applicazione a violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore di detta modifica. L’avvenuta abrogazione di divieti già tipizzati nel codice deontologico, non può elidere l’antigiuridicità delle condotte pregresse, secondo la regola penalistica della retroattività degli effetti derivanti dalla abolitio criminis ai procedimenti in corso, poiché l’illecito deontologico è riconducibile al genus degli illeciti amministrativi, per i quali, in difetto della eadem ratio, non trova applicazione, in via analogica, il principio del favor rei sancito dall’art. 2 codice penale bensì quello del tempus regit actum. Conclude, la decisione in esame, che tale assunto potrebbe essere contraddetto esclusivamente da una norma transitoria recante un’espressa disposizione derogatoria che, tuttavia, nel caso di specie, manca.
Mimmo Carola