Non ne avevamo mai dubitato: Antonio Cito, breve storia di un galantuomo.

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Un paio d’anni fa intrattenni una breve conversazione con un giovane (ed in buona fede) comandante di Polizia Municipale che mi chiedeva informazioni (per pura curiosità umana, s’intende!) su Antonio Cito, atteso che qualche non meglio precisato operatore di polizia, in una informale e ancora imprecisata circostanza, aveva rappresentato perplessità sulla sua rettitudine o onestà. La mia reazione fu pacata; volevo trasferire al giovane interlocutore il senso profondo della mia affermazione che fu: “Antonio Cito è uno dei pochissimi galantuomini che indossano la divisa che io abbia mai conosciuto”. Mi affidai ad una parola antica: “galantuomo”. Una parola da spendere con avarizia, atteso che essa mette in risalto il complesso delle qualità umane, etiche ed intellettuali di un individuo. Precisai, peraltro che -con riguardo ai fatti giudiziari che lo attingevano ancora in quell’epoca- avevo profonda conoscenza dei fatti di causa in quanto, con un altro paio di grandi amici di Antonio, andammo a studiare gli atti della Procura che erano stati trasfusi in una ignominiosa ordinanza di un GIP che addirittura aveva preteso l’arresto di Antonio in quella odiosa stagione di moltissimi anni fa. Dalla lettura degli atti, si palesava la debolezza dell’impianto accusatorio e si percepiva che -comunque- avrebbe devastato la vita di una persona onesta.

Ora, che la Corte di cassazione ha assolto Antonio Cito, con la formula “perché il fatto non sussiste”, non riesco a gioire; sarebbe come dover festeggiare per il fatto che attraversando sulle strisce pedonali l’automobilista frettoloso che deve la precedenza al pedone, non lo abbia investito e si sia doverosamente fermato.

Certo è una notizia che dà sollievo, restituisce fiducia nella Giustizia ed un minimo di apprezzamento anche ai magistrati che ne sono gli animatori. Il sollievo che viene dall’immaginare un amico sgravato da un peso psicologico e morale schiacciante, accompagnato dalla speranza che possa riprendere il suo ritmo di vita e di lavoro con una ritrovata giocosità.

Non so, infine, se nonostante tutto ciò (nonostante questo giusto risultato finale), le ultime linee anonime e maligne che popolano il mondo degli investigatori (magari ignoranti ed abbagliati da un preconcetto se non da un desiderio di danneggiare chi è in vista) continueranno a disseminare, per le strade della Puglia che stanno tra le province di Bari e di Taranto, parole sussurrate e velenose ai danni di Antonio Cito.

In fondo della malevolenza altrui non ci si può curare, diversamente ci si ammalerebbe. Antonio deve far ammalare i maligni, ripiantando un sereno sorriso sul suo viso e riprendendo a vivere come merita.

Sursum Cordam Antonio!

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