Le Centrali Uniche di Committenza. Divieto di costituzione di Centrali partecipate da associazioni private.

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Importantissima decisione del Tar Lazio, sez. II bis, 22/02/2016, n. 2399 che sancisce l’impossibilità, stante l’attuale assetto normativo, di poter costituire Centrali Uniche di Committenza partecipate da associazioni private.

Più precisamente, in mancanza di recepimento della direttiva 2014/24/UE, il D.L. n. 66/2014 non consente ad associazioni private, nella specie società consortile, di essere incluse tra i soggetti aggregatori di cui all’art. 9 della citata norma.

La lunga, complessa ed articolata decisione merita di essere letta con attenzione anche perché richiama ad altri principi da tenere in debita considerazione.

Ad esempio che l’inconfigurabilità di un controllo pubblico dominante in mano ai singoli enti locali (piccoli comuni) aderenti, esclude la sussistenza di un organismo di diritto pubblico e, quindi, la stessa possibilità di individuare nel consorzio una “amministrazione aggiudicatrice”, con conseguente impossibilità, per essa, di operare come “centrale di committenza”. Vale a dire che i Comuni (di piccole e medie dimensioni) aderendo ad un consorzio (per il tramite di un’Associazione privata) non può essere considerata centrale di committenza secondo quanto previsto dall’art. 33 comma 3-bis del D.Lgs. n. 163/06. Di conseguenza, l’inclusione nell’elenco dei soggetti aggregatori è riservata agli enti locali intermedi, ai quali siano state delegate le funzioni di acquisto dai comuni inclusi nel territorio di riferimento (Città metropolitane e Province) oppure, in alternativa, ad associazioni, unioni, consorzi tra enti locali, che possono coordinarsi anche mediante accordi resi in forma di convenzione, ai sensi del T.U. degli Enti Locali (vedi artt. 30 – 34 TUEL), occorrendo, secondo le norme del d.P.C.M., che i soggetti aggregatori siano istituiti su iniziativa di enti locali, al fine di aggregare, attraverso la delega ad un unico soggetto, le funzioni di acquisto degli enti partecipanti all’iniziativa.

La Società consortile appare, pertanto, eccentrica e non riconducibile ad alcuno dei modelli ammessi dal suddetto art. 33, comma 3 bis ai fini della configurabilità di uno dei “soggetti aggregatori” ammessi dalla legge, stante la presenza nella compagine consortile di una di diritto privato (e che tale resta anche se gli associati sono dei Comuni), aderendo alla quale gli Enti locali interessati partecipano alla società consortile, che ambisce ad essere centrale di committenza.

In ultimo il Tar afferma che l’operatività della società consortile non può estendersi a tutti i comuni dell’intero territorio nazionale, dovendo l’attività della Centrale di committenza limitarsi al territorio dei comuni fondatori ed escludersi l’ammissibilità di nuove adesioni da parte di nuovi comuni, senza alcuna limitazione territoriale.

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