La natura giuridica dei materiali di risulta derivanti da costruzione e demolizione

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Secondo la giurisprudenza di legittimità, i materiali da costruzione e demolizione sono rifiuti

Prima parte

 

I materiali derivanti da costruzione e demolizione sono espressamente elencati dall’art. 184, comma 3, lett. b) del D. Lgs. n. 152/2006 (cd. Testo Unico Ambientale) tra i rifiuti speciali, e sono contrassegnati con il codice C.E.R. (catalogo europeo dei rifiuti) 17/09/04.

Sono rifiuti non pericolosi, salvo che contengano – ed è invero, un’ipotesi tutt’altro che rara – elementi come ad esempio pezzi di amianto. In tal caso, contrassegnati con il codice C.E.R. 17 06 05*, dovranno classificarsi come rifiuti pericolosi.

La natura giuridica di rifiuto dei materiali in argomento non costituisce, invero, una novità di assoluto rilievo!

E’ però utile ribadire il concetto, perché spesso le imprese (ma talvolta anche gli stessi organi di controllo) ritengono, anche in buona fede, che gli stessi non siano rifiutie che, di conseguenza, possano incondizionatamente essere riutilizzati come sottofondi stradali, per livellare terreni, coprire fossati, realizzare strade,  ecc …

<< Un tema da sempre oggetto di dibattito ed equivoci interpretativi.

Molti, infatti, hanno sempre ritenuto tali elementi residuali da cantieristica edile come sottratti alla disciplina dei rifiuti e di libero uso per riempimenti e riversamenti in altri cantieri o in altre sedi.

Noi da parte nostra su queste pagine ed in ogni sede seminarile abbiamo sempre contestato questa prassi, ritenendo che i materiali edili da demolizione sono rifiuti a tutti gli effetti. Con gli adempimenti conseguenti ad onere del titolare della ditta edile.

Si veda, ad esempio, la risposta al quesito pubblicata sul nostro sito in data 15 gennaio 2007 in “Area rifiuti” a firma del Dr. Maurizio Santoloci, che sosteneva detta teoria. Infatti alla domanda di un lettore, “una ditta che si occupa di demolizioni edili, può nel contesto della nuova normativa prevista dal T.U. ambientale riutilizzare i materiali edili da demolizione, considerandoli sottoprodotti o materie prime secondarie, ad esempio per riempimenti di basi stradali o fossati o livellamenti di terreni?”, il nostro direttore così rispondeva: “Assolutamente no. Prassi comuni – ma totalmente illegali – continuano a voler considerare i materiali edili da demolizioni come non rifiuti (addirittura appunto sottoprodotti o materie prime secondarie), talché sarebbe illegittimo il loro riutilizzo per riversamenti ai fini di basi di fondi stradali, copertura fossati, livellamenti terreni, terrazzamenti a fini edili. Questa consuetudine – molto diffusa e spesso ritenuta legittima perfino da qualche pubblica amministrazione ed organo di vigilanza – è totalmente illegale: a nostro avviso anche nella attuale vigenza del T.U. ambientale – come in precedenza nel decreto 22/97 – i materiali da demolizione sono ed erano rifiuti a tutti gli effetti e dunque l’onere dell’adempimento del demolitore edile resta sempre quello di considerarli come tali ai fini del corretto smaltimento o recupero. Dunque – ad esempio – il formulario, un adempimento che necessariamente il titolare della ditta edile deve compilare per ogni viaggio effettuato con tali materiali/rifiuti. A nostro avviso, tali materiali non possono essere classificati né come sottoprodotto, né come materie prime secondarie” >>.[1]

Essi, in quanto rifiuti fin dal momento in cui vengono ad esistenza, non possono configurarsi come sottoprodotti.

In punto di diritto, sono pienamente sottoposti alla disciplina dei rifiuti, di cui alla parte quarta del Testo Unico Ambientale, come modificata dal D. Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 (cd. quarto decreto correttivo del T.U.A.).

Ostativa a realizzare gli estremi della nozione di cui all’art. 184 bis del T.U., oltre alla espressa su citata previsione normativa, è peraltro, la impraticabilità di un loro riutilizzo diretto, senza che occorra una previa procedura di recupero, necessaria ad abbattere l’impatto negativo sull’ambiente.

Di contro, possono essere eventualmente riutilizzati nella veste di materie prime secondarie.

E, sempre a condizione, in quest’ultimo caso, che siano osservate le operazioni di recupero dettate dal D.M. 5 febbraio 1998 e 12 giugno 2002, n. 161 (rispettivamente per i rifiuti non pericolosi e per quelli pericolosi).

L’estraneità ontologica dei materiali da costruzione e demolizione al concetto di sottoprodotto, è confermata anche dalla nuova nozione, come definita ai sensi del già citato art. 184 bis:

1. È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

2. Sulla base delle condizioni previste al comma 1, possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché una sostanza o un oggetto specifico sia considerato sottoprodotto e non rifiuto. All’adozione di tali criteri si provvede con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in conformità con quanto previsto dalla disciplina comunitaria.

Dal testo normativo, si desume, innanzi tutto, che l’impiego del sottoprodotto debba avvenire senza necessità di trasformazioni preliminari; per tali dovendosi intendere le operazioni che fanno perdere al sottoprodotto la sua identità.

L’utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non eventuale.

Inoltre, deve essere verificata la rispondenza agli standards merceologici, nonché alle norme tecniche di sicurezza e di settore, e deve essere, se non più attestata, almeno provata la destinazione del sottoprodotto ad effettivo utilizzo in base a tali standards e norme.[2]

Come clausola di chiusura, che esprime bene il senso di tutte le precauzioni previste dal legislatore, al fine di evitare, con il ricorso alla incongrua nozione di sottoprodotto, il possibile aggiramento della rigorosa normativa sulla gestione dei rifiuti, la disposizione esige che l’utilizzo del sottoprodotto non debba comportare per l’ambiente o la salute condizioni peggiorative rispetto a quelle delle normali attività produttive.

Sulla esclusione dei materiali da costruzione e demolizione dal novero dei sottoprodotti, si è pronunciata più volte la Corte di Cassazione.

Si citi, ex pluribus, la sentenza del 7 aprile 2008 (udienza 7 dicembre 2007),  n. 14323:

<< Si può parlare di sottoprodotto, ai sensi dell’art. 183, lett. n) del D. Lgs. n. 152/2006, solo se i materiali di risulta da demolizione di edifici e scavi di cantiere non vengono sottoposti a trasformazioni preliminari.

Detti materiali possono, tuttavia, essere considerati come sottoprodotti alla condizione che il loro utilizzo sia certo e avvenga ad opera dell’azienda che li produce.

L’utilizzo del sottoprodotto non deve, infine, comportare condizioni peggiorative per l’ambiente o la salute rispetto a quelle delle normali attività produttive >>.

Nella fattispecie, all’esito delle indagini di polizia, era emerso che l’azienda svolgeva in forma continuativa attività di raccolta e commercio di rifiuti speciali non pericolosi, provenienti da demolizione – consistenti in sassi, ghiaia, pietre frantumate utilizzate per il calcestruzzo – in assenza della prescritta autorizzazione o comunicazione, in tal modo realizzando la fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 256, comma 1, del D. Lgs. n. 152/2006.

Il thema decidendum consisteva, quindi, nello stabilire se il materiale in questione fosse riconducibile alla categoria dei rifiuti speciali, posto che esso veniva ceduto dalla Svizzera ad imprese italiane, che lo impiegavano, a loro volta, come sottofondo per la costruzione delle strade, impianti industriali e simili.

I giudici della Suprema Corte hanno rilevato, peraltro, che prima dell’esportazione in Italia, il materiale veniva sottoposto a procedimento di stabilizzazione e frantumazione.

Ciò si poneva chiaramente in contrasto con la nozione di sottoprodotto, in quanto prima del riutilizzo, il materiale non poteva essere sottoposto ad alcun trattamento di sorta.

Se in punto di diritto – si è visto – non esistono, a priori, i presupposti per qualificare come sottoprodotti i residui da demolizione e costruzione, non è detto, però, che questi ultimi non possano acquisire lo status di materie prime secondarie.

Beninteso, nel rispetto delle necessarie e preliminari procedure semplificate di recupero.

Pur essendo escluse, al pari dei sottoprodotti, dalla disciplina sui rifiuti, le materie, sostanze e prodotti secondari, se ne differenziano profondamente sotto il profilo concettuale.

In concreto, mentre i sottoprodotti vengono ad esistenza già come non-rifiuti, pronti all’uso, le materie prime secondarie sono ex rifiuti.

Esse, quindi, sono generate da una procedura di recupero di sostanze, classificate originariamente come rifiuti, espressamente disciplinata dal D.M. 5 febbraio 1998 e dal D.M. 12 giugno 2002, n. 161.

Si rammenti, tuttavia, che i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dalle attività di recupero, che non vengono destinati in modo effettivo ed oggettivo all’utilizzo nei cicli di consumo o di produzione, restano sempre sottoposti al regime dei rifiuti, come espressamente stabilito, rispettivamente, dall’articolo 3, comma 3, e dall’art. 3, comma 5, dei decreti ministeriali sopra citati.

Anche la nozione di materie prime secondarie, al pari di quella del sottoprodotto, è stata innovata dal D. Lgs. 205/2010, che ha cancellato dalle definizioni quella di materia prima secondaria, contenuta prima della revisione, nell’art. 183, comma 1 lett. q) del Testo Unico.

In sua sostituzione, è stato introdotto l’art. 184 ter, rubricato con il titolo “Cessazione della qualità di rifiuto”, che fissa le condizioni per le quali un rifiuto cessa di avere tale status giuridico per diventare sostanzialmente un non rifiuto, e quindi, una materia prima secondaria.

La nuova disposizione stabilisce:

 1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;

b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

2. L’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità con quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto.

3. Nelle more dell’adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti ministeriali 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 e l’art. 9-bis lett. b) della legge 30 dicembre 2008, n. 210. La circolare del Ministero dell’ambiente 28 giugno 1999, prot. n 3402/V/MIN si applica fino al 31 dicembre 2010.

4. Ai decreti di cui al comma 2 si applica la procedura di notifica stabilita dalla direttiva 93/34/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998.

5. Un rifiuto che cessa di essere tale ai sensi e per gli effetti del presente articolo è da computarsi ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dal presente decreto,, dal decreto legislativo 209 del 2003, dal decreto legislativo 151 del 2005 e dal decreto legislativo 188 del 2008 ovvero dagli atti di recepimento di ulteriori normative comunitarie, qualora e a condizione che siano soddisfatti i requisiti in materia di riciclaggio o recupero in essi stabiliti.

6. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto.

Nelle more che sia emanato, come stabilito dall’art. 184 ter del T.U.A., il decreto che individui i criteri tali per cui un rifiuto cessa di essere tale, quando è sottoposto ad un’operazione di recupero – termine tuttavia già ampiamente scaduto il 24 giugno 2011 – continuano ad applicarsi le procedure semplificate di cui ai decreti attuativi del Ronchi 5 febbraio 1998 (per i rifiuti non pericolosi) e 12 giugno 2002, n. 161 (per i rifiuti pericolosi).

Entrambi i decreti sanciscono, in particolare:

1)      Le attività, i procedimenti e i metodi di recupero di ciascuna delle tipologie di rifiuti – nei decreti stessi individuati – non devono costituire un pericolo per la salute dell’uomo e recare pregiudizio all’ambiente, e in particolare non devono:

a) creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;

b) causare inconvenienti da rumori e odori;

c) danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse;

2)      Le attività, i procedimenti e i metodi di riciclaggio e di recupero di materia devono garantire l’ottenimento di prodotti o di materie prime o di materie prime secondarie con caratteristiche merceologiche conformi alla normativa tecnica di settore o, comunque, nelle forme usualmente commercializzate. In particolare, i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dal riciclaggio e dal recupero dei rifiuti individuati dal presente decreto non devono presentare caratteristiche di pericolo superiori a quelle dei prodotti e delle materie ottenuti dalla lavorazione di materie prime vergini.

3)      Restano sottoposti al regime dei rifiuti i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dalle attività di recupero che non vengono destinati in modo effettivo ed oggettivo all’utilizzo nei cicli di consumo o di produzione.

La Suprema Corte – ex pluribus: sentenza 5 aprile 2007, n.14185 – ha sostenuto l’esclusione dei materiali in trattazione, smaltiti direttamente senza alcuna precedente procedura di recupero, dal campo di applicazione delle cd. M.P.S.

E ha statuito il seguente principio di diritto:

<< In tema di residui delle attività di demolizioni edili e del loro reimpiego l’applicabilità dell’abrogato art. 14 D.L. 138/2002 era subordinata alla condizione che risultasse certa : a) l’individuazione del produttore e/o detentore dei materiali; b) la provenienza degli stessi, c) la sede ove sono destinati, il loro utilizzo in un ulteriore ciclo produttivo.

La situazione non muta alla stregua della normativa introdotta dal D. Lgs. n. 152/2006, tenuto conto che il materiale utilizzato (misto di mattoni e cemento provenienti da demolizioni) non può qualificarsi “materia prima secondaria”, ai sensi dell’art. 181, contrai 6 e 13, del D. Lgs. n. 152/2006 … …. >>.

Nel caso di specie, veniva confermata la sentenza di primo grado, con cui si condannava l’imputato per illecita gestione di rifiuti, per aver realizzato il riempimento di un terrazzamento, in relazione al quale era stata anche rilasciata rituale concessione edilizia, per mezzo di rifiuti non pericolosi, derivanti dalla demolizione di fabbricato, costituiti da terra, pietre, residui di mattone e piastrelle frantumate.

 

Avv. Gaetano Alborino

 

 

Comandante della Polizia Locale di Caivano



[1] Valentina Vattani, Materiali edili da demolizione: sono rifiuti e non materie prime secondarie – Il riutilizzo per terrazzamenti o riempimenti è reato in www. dirittoambiente.net – 16 giugno 2007

[2] L’articolo 183, comma 1, lett. n) del Testo Unico Ambientale prevedeva, prima della revisione ad opera del D. Lgs. n. 4/2008, che, al fine di garantire un impiego certo del sottoprodotto, dovesse essere verificata la rispondenza agli standard merceologici, nonché alle norme tecniche, di sicurezza e di settore e dovesse essere attestata la destinazione del sottoprodotto ad effettivo utilizzo in base a tali standard e norme tramite una dichiarazione del produttore o detentore, controfirmata dal titolare dell’impianto dove avveniva l’effettivo utilizzo.

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