Il Comune di Bergamo, con deliberazione del Consiglio Comunale del 15 giugno 2015 n°79, si dotò di un nuovo “Regolamento per la convivenza tra le funzioni residenziali e le attività degli esercizi commerciali e artigianali alimentari, dei pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande e di svago nel territorio cittadino”. In attuazione delle prescrizioni delle previsioni regolamentari, il Sindaco con ordinanza del successivo luglio, limitava gli orari di alcuni esercizi commerciali e di somministrazione e prescriveva particolari modalità di esercizio per controllare e regolare il flusso della “movida” bergamasca.
Contro questi atti insirgevano, innanzi al TAR Lombardo, un cospicuo numero di esercenti, lesi da prescrizioni, a loro avviso, alquanto illibertarie e lesive del diritto di iniziativa economica che sottende ogni attività commerciale.
Invero, a segnalare che il percorso inaugurato dal Comune di Bergamo fosse legittimo, già nel luglio 2015 era arrivata l’ordinanza di rigetto dell’adito consesso dell’istanza di sospensione cautelare dei provvedimenti gravati. Tuttavia, nel passaggio dalla fase cautelare a quella decisoria finale, almeno in parte, il ricorso ha meritato, poi, accoglimento.
Con sentenza del 3 novembre 2015, n. 1425 la sezione II del TAR Lombardia (Brescia) ha così divisato:
Le previsioni del regolamento comunale sono conformi alla Costituzione, la quale, con norma che vale principio fondamentale, afferma all’art. 41 che l’iniziativa economica privata, pur libera, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. In tal senso, da ultimo C. cost. 22 luglio 2010 n°270, considera lecite le limitazioni alla concorrenza dettate da fini sociali, ai quali ovviamente deve ispirarsi l’azione del Comune di cui si tratta. Le predette previsioni sono coerenti anche con il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea- TFUE, (art. 119) che, nel valorizzare “concorrenza e mercato”, comunque pone limiti, a cominciare da quelli (di cui all’art. 9) per cui “Nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto” fra l’altro, “delle esigenze connesse con … la garanzia di un’adeguata protezione sociale… e tutela della salute umana”. Gli argomenti sopra vagliati, sempre secondo il collegio, mantengono intatto il loro valore anche dopo la liberalizzazione degli orari di cui al D.L. 241/2011, che da un lato ha inteso adeguarsi proprio a norme europee, dall’altro però, essendo disposta con fonte di rango legislativo ordinario, va interpretata in conformità ai principi suddetti.
Nei termini circoscritti dal regolamento, anche l’ordinanza è (astrattamente) legittima in quanto rispetta il criterio (giurisprudenziale C.d.S. sez. VI 17 aprile 2007 n°1736) dell’“indagine “trifasica”[1].
Resta illegittima, pertanto solo una piccola porzione del regolamento che, pertanto, va annullata; si tratta di quella parte che obbliga in maniera irragionevole ed eccessiva gli operatori economici dell’area interessata dall’ordinanza a fare più di quanto è da questi esigibili per buona fede o collaborazione attiva: “è illegittimo pretendere dal gestore di un locale indeterminate misure di contrasto al “degrado”, è invece legittimo imporgli come doverosa la condotta di ogni gestore prudente, il quale in presenza di clienti molesti li richiama civilmente al rispetto e, se le molestie persistono, rifiuta di servirli e li allontana dal locale, richiedendo se necessario l’intervento delle forze di polizia”. Insomma un regolamento può prevedere obblighi specifici e ragionevoli quali: la predisposizione di cestini e posacenere fuori dalla porta del proprio locale; l’affissione di uno o più cartelli che invitino a non disturbare; il mantenere i servizi igienici puliti e funzionanti a disposizione dei propri clienti; installare all’esterno mensole porta bicchieri; tenere in ordine gli spazi pubblici oggetto di concessione. Non è legittimo, invece agli esercenti indicazioni operative a tutela della salute, dell’ambiente e dei beni culturali diverse da quelle sopra trascritte, in quanto ciò procurerebbe un vero e proprio trasferimento delle funzioni di polizia locale e di igiene urbana a soggetti privati; fatto questo sicuramente illegittimo, come pure affermato anche da TAR Emilia Romagna Parma 10 febbraio 2015 n°37.
Una vittoria dei ricorrenti più formale che sostanziale; una vittoria sostanziale di un Comune che ha capito come si regola la polizia amministrativa locale nel doppio livello di potere regolamentare e ordinatorio.
Pino Napolitano
[1]In primo luogo, si deve verificare la “idoneità” del provvedimento, ovvero il “ rapporto tra il mezzo adoperato e l’obiettivo perseguito. In virtù di tale parametro l’esercizio del potere è legittimo solo se la soluzione adottata consenta di raggiungere l’obiettivo”; In secondo luogo, si deve verificare la sua “necessarietà”, ovvero la “assenza di qualsiasi altro mezzo idoneo ma tale da incidere in misura minore sulla sfera del singolo. In virtù di tale parametro la scelta tra tutti i mezzi astrattamente idonei deve cadere su quella che comporti il minor sacrificio”; Infine, si deve verificare la “adeguatezza”, cioè la “tollerabilità della restrizione che comporta per il privato. In virtù di tale parametro l’esercizio del potere, pur idoneo e necessario, è legittimo solo se rispecchia una ponderazione armonizzata e bilanciata degli interessi, in caso contrario la scelta va rimessa in discussione”.