La Corte di cassazione (Sez. 2, sentenza n° 25892 del 31/102017) ribadisce che, in tema di illeciti amministrativi, l’adozione dei principi di legalità, irretroattività e divieto di analogia, di cui all’art. 1 della legge n. 689 del 1981, comporta l’assoggettamento del fatto alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore eventualmente più favorevole, a nulla rilevando che detta più favorevole disciplina, successiva alla commissione del fatto, sia entrata in vigore anteriormente all’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione per il pagamento della sanzione pecuniaria, non trovando applicazione analogica gli opposti principi di cui all’art. 2 cod. pen., attesa la differenza qualitativa delle situazioni (Cass., Sez. lav., 26 gennaio 2012, n. 1105; Cass., Sez. lav., 22 gennaio 2016, n. 1187; Cass., Sez. VI-lav., 21 aprile 2017, n. 10178).
Siffatto approdo interpretativo è confermato dalla giurisprudenza costituzionale.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 193 del 2016, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 689 del 1981, impugnato, in riferimento agli artt. 3, 117, primo comma, Cost., 6 e 7 CEDU, nella parte in cui – nel definire il principio di legalità che consente di irrogare sanzioni amministrative solo in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione e nei casi e per i tempi ivi considerati – non prevede l’applicazione della legge successiva più favorevole agli autori degli illeciti amministrativi.
Con la citata sentenza, la Corte costituzionale ha sottolineato:
- che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha enucleato il principio di retroattività della legge penale meno severa, non ha mai avuto ad oggetto il complessivo sistema delle sanzioni amministrative, bensì singole e specifiche discipline sanzionatorie che, pur qualificandosi come amministrative ai sensi dell’ordinamento interno, siano idonee ad acquisire caratteristiche punitive alla luce dell’ordinamento convenzionale;
- che l’invocato intervento additivo risulta travalicare l’obbligo convenzionale e disattende la necessità della preventiva valutazione della singola sanzione come convenzionalmente penale, giacché nel quadro delle garanzie apprestato dalla CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, non si rinviene l’affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio di retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative;
- che non sussiste un analogo vincolo costituzionale poiché rientra nella discrezionalità del legislatore, nel rispetto del limite della ragionevolezza, modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore;
- che il differente e più favorevole trattamento riservato ad alcune sanzioni, come quelle tributarie e valutarie, trova fondamento nelle peculiarità che caratterizzano le rispettive materie e non può trasformarsi da eccezione a regola, coerentemente con il principio generale di irretroattività della legge e con il di- vieto di applicazione analogica delle norme eccezionali (artt. 11 e 14 delle preleggi);
- che la scelta legislativa dell’applicabilità della lex mitior limitatamente ad alcuni settori dell’ordinamento non può poi ritenersi in sé irragionevole: la qualificazione degli illeciti amministrativi, espressiva della discrezionalità legislativa, si riflette sulla natura contingente e storicamente connotata dei relativi precetti, sicché risulta sistematicamente giustificata la pretesa di potenziare l’effetto preventivo e dissuasivo della comminatoria, eliminando per il trasgressore ogni aspettativa di evitare la sanzione grazie a possibili mutamenti legislativi; il limitato riconoscimento della retroattività in mitius risponde a scelte discrezionali di politica legislativa, modulate in funzione della na- tura degli interessi tutelati e sindacabili solo laddove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio.