Il caso riguarda un conducente che, sottoposto al test con etilometro, effettua tre tentativi simulati di soffiare nell’apparecchio. Più precisamente, “ha provato a soffiare ma vistosamente lui tentava di soffiare ma non soffiava cioè…simulava”.
Tale condotta, decisa dalla Corte di Cassazione Penale, con la sentenza n. 18093, dell’1 aprile 2015, è stata qualificata come rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcolemico.
Ai fini della correttezza della procedura, è necessario attestare il rifiuto anche nel verbale di accertamenti urgenti: nel caso di specie, è risultata l’incapacità del soggetto di eseguire la prova viste le sue incapacità psico-fisiche. E’ importante inoltre anche che gli agenti operanti attestino, in maniera dichiarativa, lo stato psicofisico del soggetto, al fine di fugare ogni possibile dubbio in merito alla volontà dell’imputato di non sottoporsi all’accertamento.
Nel caso di specie, deve interpretarsi come rifiuto la condotta ripetutamente elusiva del metodo idoneo a consentire la rilevazione: infatti, la condotta tipica del reato di cui all’articolo 186, comma 7, codice della strada non deve necessariamente concretizzarsi in un rifiuto verbale.
Nella giurisprudenza della Corte di legittimità, infatti, è stata ritenuta sussumibile nella fattispecie astratta disciplinata dall’articolo 186, comma 7, codice della strada, anche la condotta ammissiva dello stato di ebbrezza, indirettamente espressiva del rifiuto di sottoporsi all’accertamento.
A ciò deve aggiungersi che la condotta tipica del reato contestato si sostanzia nella manifestazione di indisponibilità da parte dell’agente a sottoporsi all’accertamento alcolimetrico e si distingue nettamente dalla condotta costitutiva del reato di guida in stato di ebbrezza, rispetto al cui accertamento si può atteggiare, ancorchè non strutturalmente, in termini di reciproca alternatività allorchè l’attività istruttoria espletata non consenta di desumere aliunde lo stato di alterazione psico-fisica penalmente rilevante del guidatore.
di Marco Massavelli