Pare che un giorno a Roma, una persona che (alla luce dei fatti) non brilli per particolare intelligenza, avesse proposto ricorso contro un verbale e firmato lo stesso –apocrifamente- a nome di sua madre, dopo che questa era già defunta.
Per adesso, salvo quel che si vede in fantasiosi film, non pare che i morti possano compiere azioni fisicamente percepibili dai vivi e, men che mai dolersi di un verbale, proponendo ricorso.
Per questa “dabbenaggine” il Tribunale di Roma (atteso che la polizia di Roma capitale si era avveduta dell’anomalia) aveva condannato il prevenuto ai sensi dell’art. 483 cp, ritenendo il Giudice di primo grado che tale condotta fosse sussimibile in una fattispecie penalmente rilevante.
Il predetto prevenuto propone appello e –come era evidente- vince!
Come afferma la sentenza della Corte di appello di Roma (Sez. II, Sent., 06-05-2016) “Il delitto contestato all’imputato – falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, previsto dall’art. 483 cp – sussiste quando una dichiarazione del privato sia trasfusa in un atto pubblico, destinato a provare la verità dei fatti in esso attestati. Occorre pertanto che esista una norma giuridica che obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all’atto-documento nel quale la dichiarazione è inserita dal pubblico ufficiale ricevente. Tale situazione non è nemmeno astrattamente configurabile nel caso in esame, atteso che l’ipotesi accusatoria non si riferisce a dichiarazioni rese da un privato ad un pubblico ufficiale, bensì all’apposizione di una firma apocrifa su un atto di parte: il ricorso al prefetto redatto ai sensi dell’art. 203 C.d.S”.
Ne deriva che, nel ricorso posso scrivere qualunque fandonia e far anche firmare l’atto ad un defunto; la cosa sarà considerata risibile o comica del Prefetto o dal Giudice di pace che leggeranno l’atto, ma non certo questo sarà falso ideologico.
Si noti che (per i puristi del diritto penale) la faccenda tratta a processo potrebbe configurare il diverso reato di un falso materiale in scrittura privata – art. 485 c.p.; tuttavia tale fattispecie resta attualmente abrogata, per effetto dell’entrata in vigore della L. n. 7 del 2016.
In definitiva, per non passare da cretini più del prevenuto la cui vicenda abbiamo qui riassunto, forse è il caso di evitare di deferire all’AG fatti penalmente non rilevanti, così come questi zelanti appartenenti alla magistratura, del caso, meglio farebbero a non esercitare l’azione penale inutilmente danneggiando la Giustizia che langue per motivi anche collegati al fatto che troppo spesso ci si cimenta nell’impancare processi inutili.