L’attuale emergenza pandemica ha indotto il legislatore nazionale e regionale ad adottare provvedimenti finalizzati al contenimento del virus Covid-19.
Uno degli strumenti utilizzati per indivuduare i soggetti che potrebbero avere contratto l’infezione è quello della verifica della temperatura corporea che, quando supera i 37,5°, potrebbe fare evidenziare uno dei sintomi della malattia.
Così, tra le prescrizioni imposte per evitare tutto ciò, troviamo l’obbligo di misurare la temperatura prima di consentire l’accesso presso edifici della P.A. e, nel caso del superamento di detta misura, l’inibizione all’accesso e l’attivazione di tutti i protocolli necessari a verificare l’insorgenza della malattia.
Tale obbligo, evidentemente, non può essere disatteso neppure durante lo svolgimento di prove concorsuali per gli evidenti motivi più sopra evidenziati.
Ma cosa succede se, effettivamente, all’atto dell’accesso alla sede della prova concorsuale ad un candidato viene rilevato il superamento della temperatura di 37,5°?
Si è ovviamente esclusi, non potendo accedere alla sala e, conseguentemente, sarà possibile sostenere la prova d’esame.
Ebbene. Tale procedura è corretta? O forse non è ammissibile escludere dal concorso in virtù di tale accertamento?
Proviamo a dare risposta, anche grazie a Tar Friuli Venezia Giulia, sez. I, 01/12/2020, n. 418 che ha scrutinato le ragioni del candidato escluso.
Prima di tutto il Collegio ritiene che il “Protocollo operativo per prevenire il contagio da Covid-19 per i concorsi pubblici” adottato dall’Ente:
– non costituisce integrazione della lex specialis che stabilisce le norme applicabili al concorso;
– non prevede che il superamento del limite di temperatura corporea stabilito costituisca causa di definitiva esclusione dalla procedura selettiva, ma unicamente che vale a precludere l’accesso alla struttura individuata quale sede d’esame e, quindi, che la prova possa svolgersi anche in altra sala.
Per tali motivi, quindi, il Collegio ritiene che sia stata surrettiziamente introdotta e applicata una causa di esclusione dalla selezione pubblica, che, oltre a non trovare legittimazione in alcuna disposizione di legge o altra norma di carattere sovraordinato cd. “emergenziale” (ovvero dettate per contenere il diffondersi del virus da Covid 19), non è in alcun modo prevista dalla lex specialis (rectius bando di concorso) che disciplina la selezione stessa.
Oltretutto “… il bando di concorso non prevede alcun altro requisito fisico oltre alla vista, né richiede che il candidato presenti alle prove una temperatura corporea uguale od inferiore a 37,5°” e che “è quindi assolutamente precluso all’amministrazione resistente escludere un candidato per l’assenza di tale requisito, in quanto non richiesto dal bando”.
Nel caso di specie l’allontanamento dal luogo di esame e la contestuale (definitiva) esclusione dalla selezione non può, in alcun modo, essere paragonata nemmeno al diniego di accesso ai luoghi di lavoro per analoghe ragioni (ovvero laddove la temperatura corporea superiore ai 37,5° è ritenuta possibile sintomo di COVID 19 in atto), essendo intuibile che passa una abissale differenza tra il (mero) non poter svolgere la propria attività lavorativa nel luogo a ciò normalmente deputato e l’essere definitivamente deprivato della chance di ottenere un lavoro confacente alla propria formazione e preparazione.
Ritenuto che quanto qui da ultimo evidenziato vale, peraltro, di per sé ad appalesare la grave sproporzione che affligge la decisione assunta, in quanto l’irreparabile pregiudizio arrecato alla sua destinataria (ovvero il sacrificio del suo diritto al lavoro), tra l’altro sulla scorta del solo esito della misurazione della temperatura corporea, non assistito, come già evidenziato, da idonee garanzie di certezza, correttezza e definitività, non trova giustificazione nel fine di massima precauzione perseguito per esigenze di tutela della salute collettiva (art. 32 Cost.) e sui luoghi di lavoro (art. 2087 cod. civ.).
Nondimento appare evidente che l’esclusione disposta poggi unicamente su una misurazione effettuata da personale privo di specifica formazione sanitaria e meramente istruito all’utilizzo dello strumento di rilevazione (peraltro solo qualche giorno prima dello svolgimento della prova concorsuale e appena per poche ore), senza contare che l’esito della stessa non ha trovato alcun riscontro in quella successiva eseguita da personale medico/sanitario presso il locale Pronto soccorso, ove il candidato si è recato per avere contezza del proprio effettivo stato di salute. Tale circostanza induce fortemente a dubitare anche della correttezza della misurazione della temperatura effettuata dal personale dell’Ente e rende plausibile che la candidata sia risultata involontaria vittima di un’errata misurazione da parte di personale non sanitario e con strumentazione di cui è stato solo apoditticamente affermato il corretto funzionamento.
La conclusione è, pertanto, che l’esclusione è illegittima e che, anzi, l’Ente valutate le modalità dello svolgimento delle prove concorsuali, possa disporre lo svolgimento di una prova suppletiva, ammettendovi la ricorrente, laddove ritenuta soluzione in concreto inidonea a violare il principio della par condicio, il cui rispetto va necessariamente assicurato, o, occorrendo, l’integrale riedizione della prova per tutti i candidati partecipanti alla selezione, previa adozione degli atti eventualmente necessari.
Tutto questo perchè uno o più candidati anche per l’emozione del momento erano un po’ più accaldati.
Ne vale la pena?