Ebbrezza alcolica sintomatica: anche per i casi più gravi

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La legge n. 120 del 29 luglio 2010 (disposizioni in tema di sicurezza stradale) ha innovato la precedente disciplina del Codice della Strada in relazione alla fattispecie di cui all’art. 186 lett. a), che è stata depenalizzata e punita soltanto con una sanzione amministrativa.
Tale modifica normativa non esclude però che lo stato di ubriachezza possa essere provato con indici sintomatici. Peraltro, dal momento che l’ipotesi di cui alla lettera a) dell’art.186 C.d.S. non costituisce più reato, è necessario che, sull’annotazione sull’attività di indagine redatta dagli agenti di polizia giudiziaria accertatori del reato, siano indicate con chiarezza le ragioni per cui si è ritenuto sussistente l’ipotesi criminosa di cui alla lettera b) o alla lettera c).
La giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti, ha affermato, ai fini della configurazione del reato di guida in stato di ebbrezza (pur dopo le modifiche apportate all’art.186 cod. strada dall’art. 4, comma primo, lett.d), D.L. n.92 del 2008, conv. con mod. dalla legge n. 125 del 2008), che lo stato di ebbrezza può essere accertato, non soltanto per l’ipotesi di cui alla fascia a) ma anche per quelle più gravi, con qualsiasi mezzo, e quindi anche su base sintomatica, indipendentemente dall’accertamento strumentale; dovrà comunque essere ravvisata l’ipotesi più lieve quando, pur risultando accertato il superamento della soglia minima, non sia possibile affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la condotta dell’agente rientri nell’ambito di una delle due altre ipotesi.


Pertanto, se si ammette l’accertamento dello stato di ebbrezza su base sintomatica, dovrà ritenersi consentito l’accertamento sintomatico per tutte le ipotesi di reato oggi previste dall’articolo 186 del Codice della Strada.


E ovvio che in tutti i casi in cui, pur avendo accertato il superamento della soglia minima, non sia possibile affermare, secondo il criterio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, che la condotta dell’agente possa rientrare nelle due fasce di maggiore gravità, dovrà ravvisarsi l’ipotesi più lieve con tutte le conseguenze che ne derivano (in virtù della legge n.120 del 29 luglio 2010 l’ipotesi prevista dall’art.186 lett. a) del Codice della Strada non è più prevista dalla legge come reato).
Ma nulla vieta che, a fronte di manifestazioni eclatanti di ebbrezza, fornendo adeguata motivazione basata su elementi oggettivi accertati nell’immediatezza del fatto, si possa logicamente ritenere superata una delle due soglie superiori, e quindi deferire il soggetto all’Autorità Giudiziaria per il reato di cui alle lettere b) o c).


E ciò è appunto avvenuto nella fattispecie trattata dalla Corte di Cassazione Penale, con la sentenza 11 marzo 2015 n. 10454, dove è stata ritenuta la sussistenza dell’ipotesi prevista dalla lettera c) dell’art.186 del Codice della Strada, in quanto è risultato accertato che la prima prova del test alcolemico eseguito sull’odierno ricorrente aveva superato ampiamente il limite di fascia minima, essendo pari a g/1 2,34.


Correttamente pertanto la sentenza impugnata ha ritenuto che lo stato di ebbrezza era assai elevato, come testimoniato dalle dichiarazioni degli agenti operanti che avevano rilevato la guida a scatti, il fatto che il conducente aveva sbandato fuoriuscendo dalla carreggiata, la circostanza che bofonchiava, aveva copiosa saliva che gli usciva dalla bocca, aveva gli occhi arrossati e puzzava fortemente di alcol.
In tale quadro probatorio, nessuna rilevanza può attribuirsi alla circostanza che non sia stato eseguito il secondo alcoltest.

di Marco Massavelli

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