Un tizio, nel 2011, proprietario di una catena di macelleria di cui una in Torino, “poneva in commercio sostanze destinate all’alimentazione pericolose per la salute pubblica”; in particolare, venivano riscontrate gravi carenze igienico sanitarie ed inoltre “deteneva a temperatura ambiente, per la successiva commercializzazione, polpette che, alle analisi effettuate dal competente laboratorio dell’Istituto zooprofilattico sperimentale di Torino, hanno evidenziato la presenza di salmonella”.
Questo caso, apparentemente semplice, ha dato luogo ad una complessa vicenda giudiziaria, trattata, in via definitiva, dalla Corte di cassazione, sezione III penale, con sentenza n° 40324, del 28 settembre 2016.
I temi di interesse giuridico sono diversi; tra questi, in particolare: l’estensione della responsabilità penale e la riprovevolezza della condotta del proprietario che, per le dimensioni aziendali difficilmente è in grado di presidiare e controllare che tutti gli esercizi che costituiscono la rete aziendale applichino con puntualità le regole igieniche.
Secondo la sezione: “in tema di disciplina degli alimenti, il legale rappresentante di una società gestrice di una catena di punti vendita o supermercati non è per ciò solo responsabile, qualora essa sia articolata in plurime unità territoriali autonome, ciascuna affidata ad un soggetto qualificato ed investito di mansioni direttive, in quanto la responsabilità del rispetto dei requisiti igienico-sanitari dei prodotti va individuata all’interno della singola struttura aziendale, senza che sia necessariamente richiesta la prova dell’esistenza di una apposita delega in forma scritta, fermo restando che è fatta salva la responsabilità all’art. 43 cod. pen., qualora il fatto derivi da cause strutturali correlate a scelte riservate al titolare dell’impresa, quali, per esempio, l’omessa adozione delle procedure di autocontrollo previste dalla normativa europea (Sez. 3, n. 44335 del 10/09/2015, D’Argenio, Rv. 265345), piano di controllo della cui esistenza dà atto la sentenza impugnata”.
Resta importante, quindi, verificare e (se incomplete o omesse) sanzionare –in via amministrativa- l’omessa adozione o applicazione delle procedure di autocontrollo. Non è scontato, infatti che –denunciato il fatto penalmente rilevante- pervenga a risultato la condanna per i vari reati previsti dalla disciplina degli alimenti.
Infatti, nel caso concreto: “Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non aver il ricorrente commesso il fatto”.