La legge 65/1986 e la sua funzione di “punto di equilibrio” tra autonomia della funzione ed autonomia organizzativa locale.

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La legge 65/1986 e la sua funzione di “punto di equilibrio” tra autonomia della funzione ed autonomia organizzativa locale.

La natura speciale della normativa che disciplina il funzionamento della Polizia Municipale che garantisce l’autonomia del Corpo rispetto all’organizzazione dell’Ente, servente e funzionale alla garanzia delle peculiari funzioni di vigilanza, ordine pubblico, controllo del territorio e così via, è stata ampiamente riconosciuta in Giurisprudenza (T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 10 settembre 2009, n. 4639, che richiama Cass. 9 maggio 2006, n. 10628; Consiglio Stato , sez. V, 20 gennaio 2003 , n. 173; Consiglio Stato , sez. V, 17 febbraio 2006 , n. 616; T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 12 marzo 2004, n. 1288; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 10 marzo 1998 , n. 385; T.A.R. Veneto, sez. II, 30 maggio 1997 , n. 915; T.A.R. Marche, 09 novembre 1995 , n. 547); anche per tali ragioni, una volta eretta in Corpo, alcune sentenze hanno statuito che la polizia municipale non può essere considerata una struttura intermedia in una struttura burocratica più ampia, per esempio un settore amministrativo, né essere posta alle dipendenze del dirigente amministrativo di tale struttura (T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 28 aprile 2007 , n. 305 che richiama Tar Sicilia, Catania, sez. I, 13 aprile 2006, n. 589; C.d.s. 4/9/2000 n. 4663).

Si è quindi espressamente riconosciuto che la legge quadro n. 65/1986 riveste, tuttora, carattere di ‘legge generale’, per quanto attiene alla definizione dei principi organizzativi dei comuni nello specifico settore della polizia municipale – dal momento che è diretta a fissare i principi generali cui dovranno adeguarsi la legislazione regionale ed il potere regolamentare dell’ente locale -, nonché possiede un indubbio carattere di ‘specialità’ che non consente l’abrogazione implicita da parte della sopravvenuta legge di riforma del sistema delle autonomie locali (T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 28 aprile 2007 , n. 305, già richiamata, secondo cui la materia della polizia amministrativa locale, afferendo piuttosto al ‘governo del territorio’, non rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, c. 2, lett. h, Cost., bensì in quella concorrente Stato-Regione (art. 117, c. III, Cost.)

Dunque, la particolarità delle funzioni che la Polizia Municipale è chiamata ad assolvere ne rende l’ordinamento distinto dalle disposizioni generali in tema di organizzazione degli Enti locali, che possono trovare applicazione ad esso solamente laddove non diversamente disposto dalla normativa speciale e di settore, e solo a fini di coordinamento tra l’organizzazione della Polizia Municipale ed il resto dell’organizzazione comunale.

In questo senso, ed ancora richiamando quanto affermato in giurisprudenza, tra le due discipline sussiste un ‘punto di equilibrio’ che “consiste … nel riconoscere la piena autonomia del comandante limitatamente alla sfera di competenze che con carattere di tassatività sono state individuate nei competenti articoli della legge quadro nazionale e regionale di settore, come la gestione delle risorse assegnate, l’impiego tecnico-operativo, la disciplina e l’addestramento degli appartenenti al corpo o al servizio….. mentre la suddetta autonomia esclusiva non può, in astratto, impedire che il Comandante della P.M., per gli aspetti organizzativi che esulano appunto dall’impiego tecnico operativo, dall’addestramento e dalla disciplina dei vigili, possa formalmente essere inquadrato in un settore amministrativo.

Viene in gioco, al riguardo, la (discrezionale) potestà amministrativa che consente al comune di organizzare la polizia locale, anziché come ‘Corpo’, in ‘Servizio’ autonomo all’interno di un più vasto ‘Settore’ (macro organizzazione), nell’ambito del quale possono confluire, per ragioni di economicità ed efficienza, anche altri ‘Servizi’ oltre quello di vigilanza. In tali casi, è legittimo che la direzione dell’intero ‘Settore’ (comprensivo di più ‘servizi’) sia affidata ad un dirigente amministrativo (non graduato); si tratta, infatti, di una scelta in linea non solo con la temporaneità ed interscambiabilità degli incarichi dirigenziali (art. 109, D.Lgs. n. 267 del 2000; art. 2103 cod. civ.) bensì, anche con il principio, posto dal buon senso, prima ancora che dalla legge, della esclusività e necessità delle funzioni di polizia per cui è ragionevole che chi deve controllare sia ed appaia ‘terzo’ rispetto alle situazioni oggetto del controllo; una scelta volta anche ad eliminare possibili situazioni di incompatibilità della funzione di comandante con altre funzioni o incarichi all’interno dell’amministrazione comunale.

L’unica condizione dovrà essere che al Comandante collocato alle dipendenze del dirigente del settore non siano sottratte le esclusive attribuzioni garantitegli dalla legge” (TAR Lazio, sent. nr. 305/07, che nei casi in cui il Comune organizza le proprie strutture in Settori, ha ritenuto legittimo che l’attività di polizia municipale venga organizzata, ai sensi dell’art. 12, c. I, L.R. Lazio n. 1 del 2005, in “servizio” all’interno della più vasta struttura (il ‘settore’) articolata in una pluralità di “servizi” con al vertice un dirigente amministrativo con compiti di coordinamento strutturale, con la sola condizione, per la legittimità dell’opzione, di salvaguardare l’autonomia funzionale e gerarchica del comandante, limitatamente all’esercizio delle prerogative di cui all’art. 9, L. n. 65 del 1986, per le quali il comandante deve rapportarsi unicamente ed esclusivamente al sindaco)” (T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 11/07/2022, n. 479).

 

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