La guida in stato di ebbrezza è un dato di fatto che viene in rilievo con il superamento della soglia del tasso alcolemico di g/I 50, con l’indicazione di tre fasce percentuali per valutare il
disvalore del fatto e punirlo solo amministrativamente (fascia “a”), ovvero penalmente, con diversa entità della pena, a seconda della entità del tasso (fascia “h” e “e”).
Conseguentemente, il superamento del limite integra una presunzione assoluta di stato di ebbrezza che non ammette prova contraria (ad es. la capacità di meglio sopportare l’alcol rispetto ad altri), il che si giustifica con il fatto che tale contravvenzione ha natura di reato ostativo, rispetto a più gravi delitti contro la integrità fisica e la vita della persona umana che lo stato di ebbrezza agevola nella consumazione.
Cass. pen., sez. IV, 19/01/2021, n. 2128 fa ottimo uso di tale principio, ricordando che se è vero che l’accusa sia tenuta a dare dimostrazione della avvenuta integrazione del reato, è altrettanto vero che tale prova, per espressa indicazione normativa è già data dall’esito di un accertamento strumentale che replichi le cadenze e le modalità previste dal Codice della strada e dal relativo regolamento. La presenza di fattori in grado di compromettere la valenza dimostrativa di quell’accertamento non può che concretizzarsi ad opera dell’imputato, al quale compete di dare dimostrazione, ad esempio, di aver assunto bevande alcoliche successivamente alla cessazione della guida; di essere portatore di patologie che alterano il metabolismo dell’alcol; di un difetto degli strumenti di misurazione
utilizzati dagli accertatori e così seguitando. Anche l’incidenza della cd. curva alcolmetrica – non può essere predicata in astratto, perché va concretamente dimostrato che, per aver assunto la sostanza alcolica in assoluta prossimità al momento dell’accertamento o per altra ragione, il tasso esibito dalla misurazione strumentale eseguita a distanza di tempo non rappresenta la condizione organica del momento in cui si era ancora alla guida.
In assenza di prova circa la presenza di tali elementi, vale il principio più sopra evidenziato, esulando dai poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito.