DOMANDA:Vista la complessità della materia, vi chiedo alcune indicazioni utili per poter redigere un Regolamento comunale per l’impiego di fertilizzanti e, in generale, per lo spandimento degli stessi sul terreno. Inoltre, chiedo se siano possibili sanzioni in modo graduale anche per la reiterazione delle infrazioni (magari anche sanzioni accessorie).
C.C. Comune di …….. (MN)
RISPOSTA:
Il Comune non può dotarsi di un Regolamento per la disciplina dell’utilizzo su terreno agricolo di fertilizzanti, reflui zootecnici e fanghi di depurazione.
L’art 6 del D. Lgs. n. 99/92, recante “Attuazione della direttiva n. 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura”, demanda alla Regione la potestà, peraltro, di stabilire «limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi, alle modalità di trattamento», nonché di stabilire «le distanze di rispetto per l’applicazione dei fanghi dai centri abitati, dagli insediamenti sparsi, dai pozzi di captazione delle acque potabili, dei corsi d’acqua superficiali, tenendo conto delle caratteristiche dei terreni (permeabilità, pendenza), delle condizioni meteo climatiche della zona, delle caratteristiche fisiche dei fanghi».
D’altro canto, l’art. 196, comma 1, lett. b) del D. Lgs. n. 152/06 (cd. Testo Unico dell’Ambiente) statuisce che spetta alle Regioni la regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti.
Alla luce del combinato disposto delle disposizioni sopra richiamate, il TAR Lombardia (MI), Sez. IV, 27 maggio 2015, nr. 1260, ha enunciato il principio per cui: «deve considerarsi sottratta ai Comuni ogni potestà regolamentare in materia di fanghi biologici, restando riservata agli stessi solo la potestà di sanzionare la violazione delle disposizioni regolamentari preventivamente stabilite dalla Regione, ove queste si sostanzino in violazioni della normativa regolamentare in materia di igiene».
Non deve considerarsi affatto trascurabile, inoltre, l’orientamento del Consiglio di Stato (Sez. V, 15 ottobre 2010, n. 7528), più datato ma sostanzialmente conforme rispetto a quello del precitato tribunale amministrativo meneghino, per cui «deve ritenersi illegittimo che il Comune, nell’ambito dei propri poteri, detti norme derogatorie sia della disciplina sopra richiamata che delle specifiche norme della Regione Lombardia, di regolamentazione della materia e di delega alle province delle funzioni autorizzative in materia di spandimento di fanghi biologici».
Quanto, precipuamente, all’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, nonché delle acque reflue provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del terreno e/o alla silvicoltura, provenienti da imprese dedite esclusivamente ad allevamento di bestiame, ed infine da quelle provenienti dalle ultime due tipologie di imprese, che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, essa pure, per effetto dell’art. 112, comma 2, del D. Lgs. n. 152/2006, è disciplinata dalle Regioni, sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottati dal Ministero delle politiche agricole e forestali, di concerto con i Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle attività produttive, della salute e delle infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Quale disciplina sanzionatoria?
Presupposto imprescindibile per l’effettuazione della pratica della fertirrigazione è l’effettiva utilizzazione agronomica delle sostanze, la quale implica che l’attività sia di una qualche utilità per l’attività agricola svolta nonché un’indagine sullo stato, le condizioni e le modalità dì utilizzazione delle sostanze compatibili con tale pratica. In altre parole, deve trattarsi di un’attività la cui finalità sia effettivamente il recupero delle sostanze nutritive ed ammendanti contenute negli effluenti e non può risolversi nel mero smaltimento delle deiezioni animali.
Da ciò consegue la necessità che, in primo luogo, vi sia l’esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento, la quantità e qualità degli effluenti sia adeguata al tipo di coltivazione, i tempi e le modalità dì distribuzione siano compatibili ai fabbisogni delle colture e, in secondo luogo, che siano assenti dati fattuali sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione quali, ad esempio, lo spandimento di liquami lasciati scorrere per caduta, effettuato a fine ciclo vegetativo, oppure senza tener conto delle capacità di assorbimento del terreno con conseguente ristagno.
Stante la presenza, nell’articolo 133 del D. Lgs. n. 152/2006, della clausola che fa salva l’applicabilità della sanzione penale, come dettata dall’art. 137 del medesimo decreto, l’irrogazione della sanzione amministrativa è consentita «… solo per quelle violazioni delle disposizioni regionali che non consistano nell’esercizio della utilizzazione agronomica fuori dei casi e delle procedure previste, o nell’inizio della attività senza previa comunicazione all’autorità competente, ovvero nell’inottemperanza al divieto o all’ordine di sospensione dell’attività».
È appena il caso di precisare che la richiamata disciplina sanzionatoria presuppone, in ogni caso, lo svolgimento di un’attività effettivamente inquadrabile nella nozione di utilizzazione agronomica in precedenza delineata, come si ricava agevolmente dal tenore letterale dell’art. 112 del D. Lgs. n. 152/2006 che, infatti, fa sempre riferimento a tale specifica attività, ancorché effettuata al di fuori dei casi e delle procedure stabilite, con la conseguenza che ogni altra condotta non rientrante nella richiamata tipologia andrà opportunamente collocata entro ambiti diversi, comprendenti anche specifiche ipotesi di reato, quali quelle previste in caso di illecita gestione di rifiuti, sanzionata ai sensi dell’art. 256, comma 1, del D. Lgs. n. 152/2006.