Siamo uomini o Caporali è il titolo di un film di Antonio de Curtis nel quale il protagonista all’interno di una clinica psichiatrica descrive le sue vicende umane nel colloquio con il medico.
Nel suo racconto il buon Antonio espone la sua teoria secondo cui l’umanità era fatta di uomini, quali soggetti che subivano le angherie di altri uomini, che venivano dallo stesso definiti Caporali.
Il titolo di questo articolo è fuorviante poiché nell’accezione classica il caporale, all’interno di una organizzazione militare, potrebbe essere inteso come colui che si dà le “aree di uno che decide” ma che comunque è sottoposto all’autorità di un suo superiore.
Mentre invece il colonnello è ( con salvezza dei ruoli dei Generali ) probabilmente il grado che individua il soggetto operativo di maggiore livello.
Tutta questa premessa per introdurre l’argomento che è un po’ sulla bocca di tutti gli operatori della polizia locale.
I recenti fatti di cronaca , raccontati dai mass media, contengono episodi in cui gli operatori di polizia locale per vari motivi sono descritti con una difficoltà comportamentale.
A Napoli un “vigile urbano” nel intento di porre in essere un’attività dissuasoria dei clochard, viene aggredito da uno di questi e fa uso dell’arma di servizio. Nella vicenda viene messa in risalto l’attività della Polizia di Stato che deve intervenire per assicurare la tutela al vigile urbano e sottoporre in stato di fermo il clochard che aveva resistito al vigile partenopeo.
L’altro video, che a tratti sconvolge la categoria, è quello dei vigili urbani meneghini che per motivi non ben precisati sono ripresi da un telefonino di un cittadino mentre interagiscono con il proprio manganello contro un individuo.
Questi fatti pongono sempre più in evidenza una difficoltà di collocazione della categoria e un disagio esistenziale della stessa.
È ben noto che le istanze della categoria sono rivolte al riconoscimento di talune competenze, per sancire la parificazione delle polizie locali a quelle dello stato. Finanche a ricomprendere nel cosiddetto compatto sicurezza la figura degli operatori di Polizia Locale.
Sono altrettante note le resistenze da parte dell’apparato centrale dello stato che mal vede questa istanza è che, anche se in un confronto impari, sostiene che una cosa è essere una forza di polizia dello Stato, e una cosa invece differente è appartenere ad un organo di vigilanza di un ente locale.
In realtà, la chiave di soluzione della questione è proprio questa.
L’intera categoria, rappresentata dalle associazioni composte da alcuni tra gli 8.100 comandanti e responsabili dei servizi, sostiene di poter esercitare in maniera adeguata tutte le funzioni che solitamente e storicamente appartengono alle forze di Polizia dello Stato. Per cui quelle attività che solitamente svolgono Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza, possono essere svolte legittimamente anche da le pulizie locali.
Così è sulla carta! Ma non è così nella realtà; poiché mentre gli apparati dello Stato rappresentano delle diramazioni periferiche di questi poteri sui territori locali che vanno dal centro alla periferia, le Polizie Locali rappresentano 8.100 realtà che appartengono ad altrettante amministrazioni locali.
Tra l’altro a ben guardare nei lavori preparatori della legge 65 /1986, la questione partiva dalla valutazione se ricomprendere all’interno della legge 121/1981 i “vigili urbani” oppure se riconfinarli all’interno delle dei poteri delle amministrazioni locali.
Il compromesso storico che si raggiunse all’epoca nel 1986, era quello di attribuire intanto un nome diverso ai vigili urbani e ricomprenderli all’interno delle funzioni di Polizia Locale svolte dai comuni.
Inoltre sempre con riferimento al dato testuale della legge, nel rimarcare che le funzioni svolte dagli addetti alla polizia locale erano quelli istituzionalmente previsti dal loro ente, si riconosceva gli stessi “anche” le funzioni di polizia giudiziaria e ausiliare di pubblica sicurezza.
Piaccia o meno è questa la volontà del legislatore nazionale che è stata ribadita con una serie di “nulla di fatto” sui tentativi di riforma della legge quadro nelle ultime legislature.
Tra l’altro chi scrive si è sempre posto in maniera critica rispetto a queste posizioni di riconoscimento di richiesta di riconoscimento alla polizia locale di funzioni che sulla carta già esistono ma che vorrebbero essere santificate con un riconoscimento ordinamentale.
Diverse sono le locuzioni che definiscono in maniera polemica la figura dell’agente di Polizia Locale , come un dipendente amministrativo che indossa una divisa.
In realtà è così!… perché ognuno di noi ha partecipato e superato un concorso per essere un dipendente amministrativo di un ente locale. Ed in particolare tra le varie aree essere assegnato all’area di vigilanza.
Se volevamo essere forze di Polizia dello Stato ,con ordinamenti anche speciali, avremmo dovuto partecipare a concorsi per essere arruolati nei ranghi dei dell’Arma dei Carabinieri o della Polizia di Stato o della Guardia di Finanza.
Altra considerazione che viene subito da fare è questa. È pur vero che sulla carta abbiamo le stesse competenze delle forze di polizia dello Stato , e che in virtù di questo rivendichiamo la possibilità di svolgere determinate attività.
Appare quanto mai inusuale questa pretesa perché basti pensare al fatto che mai i Carabinieri hanno vanato il diritto di poter svolgere indagini di Polizia Tributaria o relativi agli apparati ai sistemi economici e bancari.
Né tantomeno la Guardia di Finanza ha mai preteso di avere il riconoscimento sui controlli di Polizia Stradale che solitamente rientrano nella quasi esclusività della sezione speciale polizia stradale della Polizia di Stato.
A questo punto la domanda nasce quasi spontanea.
Ma perché la polizia locale continua a rivendicare competenze che storicamente appartengono alle altre forze di polizia…dello Stato?
Ed ancora… da un punto di vista contrattuale (e quasi sindacale) appare anomala la posizione di chi richiede un maggior numero di competenze e di adempimenti senza che questi corrisponda una maggiorazione dello stipendio rilevante e differenziata rispetto agli altri dipendenti dell’ente locale.
Solitamente una trattativa in un rapporto di lavoro è finalizzata al riconoscimento di un maggiore compenso a parità di mansioni. Oppure viceversa ad una non modificabilità del livello retributivo contro il sollevamento di alcuni adempimenti o mansioni.
Ripropongo quindi il quesito già esposto in una mia precedente esternazione articolistica.
Ma non sarà che per caso stiamo sbagliando metodo di trattativa nei confronti del legislatore e delle istituzioni decidenti?
Ai posteri l’ardua sentenza…!
Intanto rimaniamo “caporali di giornata”.
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