Non puoi pensare di chiudere, impunemente ed autonomamente una strada che ritieni sia privata e non soggetta ad uso pubblico. Pino Napolitano

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Il T.A.R. Campania (Napoli Sez. VI, Sent., 16-01-2015, n. 329) ci ricorda che la tematica delle strade private soggette ad uso pubblico, comunemente denominate come “vicinali” non finisce di occupare le aule giudiziarie.

Un proprietario, difatti, ritenendo che un tratto di strada non appartenesse al Comune, che non ne curava né la pulizia, né la manutenzione (pare inoltre che sulla detta strada non vi fosse nè pubblica illuminazione nè numerazione civica), lo ha chiuso apponendovi un cancello. Il comune con ordinanza (motivata sul fatto che la strada fosse iscritta, catastalmente, nel registro delle strade vicinali), intimava la riapertura e contro detta ordinanza, veniva proposto ricorso al TAR. il TAR rigettava il ricorso e rammentava che: “relativamente al regime giuridico delle strade vicinali la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che l’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie vicinali costituisce elemento presuntivo del diritto di pubblico transito sulla strada, superabile in senso contrario solo in sede di giurisdizione ordinaria; pertanto, in mancanza di prova contraria, il suddetto provvedimento di iscrizione giustifica l’emanazione dei provvedimenti sindacali di ripristino dell’uso pubblico della strada di cui agli art. 378 L. n. 2248 del 1865 e art. 15 D.L. 1 settembre 1918 n. 1446, 2, quando sono state realizzate opere che impediscono la sua utilizzazione da parte della collettività ( cfr. T.A.R. Perugia n. 7 del 13 gennaio 2006)”.

Se poi si voglia discutere, piuttosto che dell’uso, della proprietà, si vada da Giudice Ordinario: “La controversia circa la proprietà, pubblica o privata, di una strada, o circa l’esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, è, infatti, devoluta alla giurisdizione del g.o., giacché investe l’accertamento dell’esistenza e dell’estensione di diritti soggettivi, dei privati o della p.a. (cfr. Cassazione civile sez. un., n. 1624 del 27 gennaio 2010”).

 

Pino Napolitano


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