In caso di combustione illecita di rifiuti risponde (anche) il titolare dell’impresa per omessa vigilanza sull’attività dei dipendenti quali autori materiali del delitto

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Gaetano Alborino

Di fronte al sempre più frequente fenomeno di abbruciamento di rifiuti e del connesso allarme di pericolo per la salute pubblica, il legislatore è intervenuto nella disciplina del sistema sanzionatorio in materia di rifiuti, introducendo nel d.lgs. n. 152/2006 (cd. Testo Unico dell’Ambiente) la nuova figura delittuosa di combustione illecita di rifiuti.

A fronte di una disciplina incentrata su illeciti contravvenzionali, l’articolo 256-bis del d.lgs. n. 152/2006, introdotto dal D.L. n. 136/2013 (decreto cd. “Terra dei fuochi”), ha previsto due delitti nei primi due commi.

Il comma 1 così recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni”.

La circostanza che il legislatore abbia introdotto l’espressa clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, e l’aver tipicizzato la condotta con il termine linguistico “appicca il fuoco”, senza ulteriori specificazioni, a differenza della previsione dell’articolo 424 c.p. nella quale assume significato e rilevanza penale solo se da esso “sorge il pericolo di un incendio”, costituiscono elementi sulla base dei quali si deve ritenere la fattispecie quale reato di pericolo concreto per il quale non assume rilievo l’evento dannoso del danno all’ambiente.

La soluzione interpretativa appena indicata, inoltre, appare in linea anche con le indicazioni esposte nella relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione del D.L. in esame, laddove si evidenzia che la previsione delle nuove fattispecie è stata determinata dall’inadeguatezza del (pre)vigente sistema sanzionatorio, e, in particolare, (anche) della fattispecie prevista dall’articolo 423 c.p., ad assicurare una sufficiente tutela per l’ambiente e per la salute collettiva.

Relativamente al reato di illecita combustione di rifiuti, la Corte di Cassazione, Sez. 3, 12/12/2022 (udienza 23/09/2022), n. 46677, ha esaminatol’imputabilità del reato a carico, oltre che dell’autore materiale, anche a carico del titolare dell’impresa per omessa vigilanza.

Secondo la Suprema Corte,“il titolare dell’impresa o il responsabile dell’attività comunque organizzata è responsabile anche sotto l’autonomo profilo dell’omessa vigilanza sull’operato degli autori materiali del delitto comunque riconducibili all’impresa o all’attività stessa”.

Tale principio di diritto scaturisce dalla puntuale lettura dell’articolo 256-bis, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, che stabilisce:“La pena è aumentata di un terzo se il delitto di cui al comma 1 è commesso nell’ambito dell’attività di un’impresa o comunque di un’attività organizzata. Il titolare dell’impresa o il responsabile dell’attività comunque organizzata è responsabile anche sotto l’autonomo profilo dell’omessa vigilanza sull’operato degli autori materiali del delitto comunque riconducibili all’impresa o all’attività stessa; ai predetti titolari d’impresa o responsabili dell’attività si applicano altresì le sanzioni previste dall’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”.

Non è ammissibile la procedura estintiva ex Parte Sesta-bis d.lgs. n. 152/2006 per il reato di combustione illecita di rifiuti

Secondo la Corte di Cassazione, Sez. II, 23/06/2022, n. 24302, la procedura estintiva di cui alla Parte Sesta-bisdel d.lgs. n. 152/2006, si applica: a) esclusivamente alle contravvenzioni, e quindi in tesi riguarderebbe soltanto le contestate violazioni al d.lgs. n. 152/2006, articolo 256, non anche quelle all’articolo 256 bis; b) a condotte che non abbiano provocato un danno all’ambiente. E infatti il meccanismo, introdotto dalla L. n. 68/2015, nel modificare in maniera incisiva il sistema di tutela penale dell’ambiente, prevede, come si è detto, che l’organo di vigilanza, dopo aver accertato una contravvenzione suscettibile di regolarizzazione, sotto forma di cessazione della permanenza del reato o di rimozione delle sue conseguenze dannose o pericolose, oltre a riferire senza ritardo al pubblico ministero la notizia di reato, impartisce al contravventore un’apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non superiore al periodo di tempo tecnicamente necessario per rimuovere l’irregolarità.

Dunque, le contravvenzioni per cui è azionabile la procedura estintiva non devono aver cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette, e sono quelle punibili con l’ammenda, da sola, ovvero alternativa o cumulativa alla pena dell’arresto. Successivamente, lo stesso organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicato nella prescrizione. Se vi è stato corretto e tempestivo adempimento, il contravventore è ammesso a pagare una sanzione di importo pari al quarto del massimo dell’ammenda prevista, e il pagamento della somma estingue il reato. Se non avviene l’adempimento il processo, in precedenza sospeso, riprende il suo corso.

La ratio dell’istituto è duplice: da un lato tende a garantire l’effettività della tutela dell’ambiente poiché, attraverso l’adempimento della prescrizione, incentivata dalla prospettiva di una modesta afflizione punitiva, mira ad ottenere il ripristino delle condizioni ambientali offese dai fatti illeciti, dall’altro risponde alle esigenze deflattive del procedimento penale, essendo limitata all’arco temporale delle indagini preliminari. Compete alla polizia giudiziaria, ai sensi dell’articolo 318-ter, comma 1determinare quando una fattispecie rientri o meno nel suo ambito di applicazione, impartire le prescrizioni, pur se con il supporto di un ente specializzato, quasi sempre individuato nell’ARPA, e valutare l’adempimento, con ampio margine di discrezionalità e senza peraltro che la prescrizione abbia carattere di obbligatorietà.

Il trasgressore, che abbia provveduto in via autonoma alla regolarizzazione, potrà in ogni caso assumere egli stesso l’iniziativa di chiedere all’organo di vigilanza l’ammissione all’oblazione in sede amministrativa e, in caso negativo, potrà reiterare al giudice la richiesta di essere ammesso all’oblazione di cui all’art. 162-bis c.p.: la mancata adozione della prescrizione non può infatti precludere l’accesso alla procedura, sia nel caso in cui una prescrizione avrebbe potuto essere stata emessa, sia nei casi in cui, non essendoci effetti da rimuovere, non vi sia la possibilità di impartirla.

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