IL PRODUTTORE DEI RIFIUTI DA COSTRUZIONE E DEMOLIZIONE: Il committente-proprietario dell’immobile o l’imprenditore che realizza l’intervento edilizio? Adempimenti, illeciti e sanzioni alla luce del D. Lgs. n. 83/2012

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L’individuazione del produttore dei rifiuti

L’art. 183, comma 1, lett. f) del D. Lgs. n. 152/2006, come modificato dal cd. quarto decreto correttivo,[1] così definisce il produttore dei rifiuti:

il soggetto la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti.

Nel caso dei rifiuti da costruzione e demolizione – sulla cui natura giuridica si rinvia ai numeri di Crocevia numeri 3 e 4 del 2012 – sempre è stato controverso se il produttore potesse essere individuato (altresì) nella figura del proprietario dell’immobile, committente dei lavori, od esclusivamente in quella dell’imprenditore, che esegue l’intervento edilizio, da cui gli stessi sono originati.

La questione opportunamente si è posta, in quanto preliminare ai fini della imputabilità degli adempimenti relativi alla tracciabilità (ancora cartacea, fino a quando non entrerà in vigore il sistema informatico di controllo della tracciabilità, denominato Sistri) e delle sanzioni amministrative e penali ad essi correlate.[2]

Sul punto, l’orientamento iniziale della Corte di Cassazione (sentenza 21 aprile 2000, n. 4957) propendeva per la linea della sussistenza, identificando il produttore dei rifiuti, oltre che nell’imprenditore edile, anche nel committente dei lavori:

<< Invero, il riferimento all’attività di produttrice di rifiuti non può essere limitato solo a quella materiale, ma deve essere estesa pure a quella giuridica, ed a qualsiasi intervento, che determina in concreto la produzione di rifiuti, sicché anche il proprietario dell’immobile committente o l’intestatario della concessione edilizia con la quale si consente l’edificazione di un nuovo edificio previa demolizione di un altro preesistente, devono essere considerati produttori dei rifiuti derivanti dall’abbattimento del precedente fabbricato.

Una simile esegesi è confortata dall’analisi ermeneutica della nozione di detentore, giacché entrambi questi soggetti palesano la volontà del legislatore di estendere il campo dei soggetti obbligati o coobbligati e di prevedere norme di chiusura tali da impedire comodi trasferimenti di adempimenti o di responsabilità.

Infatti, il detentore viene definito in maniera tautologica il produttore dei rifiuti, ma anche in maniera residuale la persona fisica o giuridica che li detiene, proprio per escludere che chi con la sua attività, materiale o giuridica, abbia prodotto rifiuti possa sollevarsi dagli obblighi imposti dalla normativa in esame, mediante l’attribuzione o il conferimento degli stessi ad altri.

Tale tesi trova conforto, oltre che nel dato legislativo, anche in un precedente indirizzo giurisprudenziale dei giudici di legittimità civili, secondo cui il proprietario di un immobile non cessa di averne la materiale disponibilità per averne pattuiti in appalto la ristrutturazione o la ricostruzione, giacché incombe sempre un obbligo di vigilanza e controllo in virtù della responsabilità propria del custode ex art. 2051 del codice civile (Cass. Sez. III, 30 marzo 1999, n. 3041) >>.

La stessa Corte, successivamente, ha smentito il precedente indirizzo, arrivando a sostenere che il committente-proprietario dell’immobile, non solo non potesse essere qualificato come il produttore del rifiuto, ma nemmeno potesse essere considerato responsabile della mancata osservanza, da parte, dell’esecutore dei lavori, della normativa in materia di smaltimento dei rifiuti da demolizione.

In ordine alla corretta individuazione del produttore di rifiuti derivanti da attività edili, si elencano le seguenti massime giurisprudenziali:

  1. Corte di Cassazione, Sez. III, 1 aprile 2003, n. 15165.

<< Il committente di lavori edilizi e/o urbanistici, come quelli per il piazzale che il (…)  ha affidato alla ditta, è corresponsabile assieme all’assuntore dei lavori per la violazione delle norme urbanistiche, ai sensi dell’art. 6, legge 47/1985: come tale ha un obbligo di vigilanza ovvero una posizione di garanzia ai sensi dell’art. 40 cpv. del codice penale, sicché può essere ritenuto corresponsabile, per esempio, di lavori edilizi, in quanto non ha impedito, dolosamente o colposamente, un evento che aveva l’obbligo di impedire.

Diversa è invece l’ipotesi di violazione della normativa sui rifiuti, eventualmente commesse dalla ditta assuntrice dei lavori edili.

A questo riguardo, non è ravvisabile alcuna fonte giuridica (legge, atto amministrativo o contratto) che fondi un dovere del committente di garantire l’esatta osservanza della anzidetta normativa da parte dell’assuntore dei lavori.

Ha errato quindi il giudice del merito nel caricare sul committente un dovere di garanzia e quindi nel ritenerlo corresponsabile per culpa in vigilando della gestione illecita di rifiuti speciali contestata alla ditta >>.

  1. Corte di Cassazione, Sez. III, 19 ottobre 2004, n. 40618.

<< Il committente di lavori edili o urbanistici  non è “garante” della corretta gestione dei rifiuti da parte dell’appaltatore e quindi non è penalmente corresponsabile del reato di abusiva attività di raccolta, trasporto, recupero o smaltimento di rifiuti che l’appaltatore abbia effettuato nell’esecuzione dell’appalto.

E infatti, neppure con una interpretazione estensiva, si può sostenere che il committente sia coinvolto nella produzione o distribuzione e nemmeno nell’utilizzo o nel consumo di “beni da cui originano i rifiuti” ai sensi dell’art. 2, comma 3; o che sia un produttore o detentore dei rifiuti gravato dagli oneri dello smaltimento a norma dell’art. 10, comma 1. Per riprendere il caso di specie, il committente è soltanto il soggetto che, dal momento in cui riceve in consegna l’opera appaltata e ultimata, diventa in certo qual modo utilizzatore o consumatore dei rifiuti, impiegati come sottofondo delle opere di urbanizzazione appaltate: nessun rapporto diretto ha mai avuto, invece, con i “beni da cui originano i rifiuti” o con la attività di produzione, raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti stessi >>.

  1. Corte di Cassazione, Sez. III, 22 giugno 2011, n. 25041.

<< E’ stato osservato, con riferimento alla posizione del committente (cui deve essere equiparata, nel caso di specie, quella di appaltante nell’ipotesi di subappalto) e del direttore dei lavori, che i doveri di controllo imposti a tali soggetti, ai sensi dell’art. 6 della Legge n. 47/1985 ed attualmente dell’articolo 29 del D.P.R. n. 380/2001, riguardano esclusivamente la conformità della costruzione alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano, al permesso di costruire, nonché l’osservanza delle altre prescrizioni contenute nel Testo Unico dell’Edilizia, mentre nessun obbligo è imposto dalla legge a tali soggetti riguardo alla osservanza dela disciplina in materia di smaltimento dei rifiuti (Sez. III, 21.10.2009, n. 44457; Sez. III, 21.01.2009, n. 4957).

Né dai principi generali che regolano i compiti del direttore dei lavori o i rapporti tra la ditta appaltante e quella appaltatrice o subappaltatrice derivano obblighi di intervenire per il rispetto da parte della ditta esecutrice dei lavori della normativa in materia di rifiuti.

Sicché salva l’ipotesi di un diretto concorso nella commissione del reato, non può ravvisarsi alcuna responsabilità a carico di tali soggetti, ai sensi dell’art. 40, comma 2, del C.P., per non essere intervenuti al fine di impedire violazioni della normativa in materia di rifiuti da parte della ditta appaltatrice >>.

In conclusione, può assolutamente convenirsi, alla luce del dettato normativo di cui al novellato articolo 183 del Testo Unico Ambientale, così come interpretato in odo chiaro e consolidato dai giudici della Suprema Corte, che la nozione di produttore dei rifiuti da costruzione e demolizione sia da riferirsi esclusivamente a colui la cui attività ha effettivamente prodotto i rifiuti.

La posizione di garanzia del committente-proprietario dell’immobile

Circa poi la sussistenza di una eventuale posizione di garanzia a carico del committente, per cui lo stesso sia da ritenersi garante della corretta gestione dei rifiuti da parte dell’imprenditore, e quindi penalmente responsabile della abusiva gestione di rifiuti effettuata dal secondo è stata imperativamente esclusa dalla Giurisprudenza.

In particolare, ex pluribus, si richiama ancora la sentenza n. 40618 del 19 ottobre 2004:

<<  Al di là della corretta esegesi delle fonti legali, esistono altre ragioni di principio, ancor più importanti e dirimenti, per escludere che dalle norme citate possa dedursi una posizione di garanzia a carico del committente. Si allude al principio di tassatività e a quello di responsabilità personale in materia penale, il cui rispetto è imposto, sia pur genericamente, dalla stessa succitata disposizione dell’art. 2, comma 3.

Secondo il principio di tassatività, come sottolinea un’autorevole dottrina, la fonte legale (ma anche contrattuale) dell’obbligo di garanzia deve essere sufficientemente determinata, nel senso che deve imporre obblighi specifici di tutela del bene protetto.

Esulano perciò dall’ambito operativo della responsabilità per causalità omissiva ex art. 40 cpv. c.p. gli obblighi di legge indeterminati, fosse pure il dovere costituzionale di solidarietà economica e sociale (art. 2 Cost.), che costituisce il generale fondamento costituzionale della responsabilità omissiva, ma per se stesso non può essere assunto a base delle specifiche responsabilità omissive dei singoli reati.

Alla stregua di questo principio non può dirsi che le citate norme dell’art. 10 e (meno che mai) dell’art. 2 costituiscano obblighi specifici da cui possa desumersi una posizione di garanzia a carico dei committenti di lavori edilizi o urbanistici, in quanto tali.

Secondo il principio di responsabilità penale personale, infine, la condizione di “garante” rispetto a un bene da tutelare (nel caso concreto, la integrità ambientale) presuppone in capo al soggetto il potere giuridico di impedire la lesione del bene, ovverosia quell’evento (reato) evocato dal capoverso dell’art. 40 c.p.. Quando questa norma precisa che “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” fonda la responsabilità penale dell’omittente non solo sull’obbligo, ma anche sul connesso potere giuridico di questi di impedire l’evento. Responsabilizzare un soggetto per non aver impedito un evento, anche quando egli non aveva alcun potere giuridico (oltre che materiale) per impedirlo, significherebbe vulnerare palesemente il principio di cui all’art. 27/1 Cost.

Alla luce di questo principio è evidente come il committente di lavori edili o urbanistici non può essere “garante” della corretta gestione di rifiuti da parte dell’appaltante, e quindi penalmente responsabile della abusiva gestione di rifiuti eventualmente effettuata dal secondo.

Il committente infatti non ha alcun potere giuridico di impedire quell’evento in cui consiste il reato di abusiva gestione dei rifiuti commesso dall’appaltatore. Egli, invero, ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori nel suo interesse ex art. 1662 cod. civ., per esempio verificando che i materiali utilizzati siano conformi a quelli pattuiti o che le opere siano eseguite a regola d’arte; ma non ha il diritto di interferire sullo svolgimento dei lavori a tutela degli interessi ambientali, a meno che questi non coincidano col suo interesse contrattuale. Più concretamente, ha la facoltà di controllare la qualità dei materiali utilizzati per il riempimento del terreno, ma non ha il potere (e non ha l’obbligo) di chiedere all’appaltatore se è abilitato allo smaltimento dei rifiuti utilizzati allo scopo; e tanto meno ha il potere di impedire all’appaltatore non autorizzato di smaltire i rifiuti che lui utilizza per lo svolgimento dell’appalto.

Discorso non dissimile deve farsi anche quando – come nel caso di specie – il committente dei lavori è pure proprietario dell’area su cui i lavori sono eseguiti, giacché come proprietario egli non ha alcun potere giuridico specifico verso l’appaltatore, posto che i rapporti reciproci sono regolati soltanto dal contratto di appalto.

Per queste ragioni va condivisa la conclusione secondo cui il committente dei lavori edili non può, per ciò solo, essere considerato responsabile della mancata osservanza da parte dell’assuntore di detti lavori, delle norme in materia di smaltimento dei rifiuti, non essendo derivabile da alcuna fonte giuridica l’esistenza, in capo al committente, di un dovere di garanzia della esatta osservanza delle suindicate norme (Cass. Sez. III, n. 15165 del 1.4.2003, Capecchi, rv. 224706); mentre non può accettarsi, almeno nella sua assolutezza, la tesi secondo cui il titolare di una concessione edilizia committente dei lavori ha una posizione di garanzia in ordine al corretto svolgimento dei lavori stessi da parte dell’appaltatore anche in ordine alla gestione dei rifiuti (Cass. Sez. III, n. 4957 del 21.4.2000, Rigotti, rv. 215943) >>.

Tale orientamento, però, non è pienamente condiviso da una autorevole dottrina.

Si citino, su tutte, le posizioni di Pasquale Fimiani e di Stefano Maglia.

  1. Un’esclusione di una generalizzata responsabilità del committente poggiata sull’insussistenza di una fonte giuridica (legge, atto amministrativo o contratto), che fondi un suo dovere di garantire l’esatta osservanza della normativa sulla gestione dei rifiuti, appare riduttiva, dovendosi, invece, configurare una corresponsabilità del committente qualora egli abbia conservato un controllo giuridico o di fatto sulla gestione stessa da parte dell’appaltatore durante l’esecuzione dei lavori.

Tale tesi può sostenersi nel senso che il committente può essere ritenuto responsabile degli illeciti commessi dall’appaltatore, quando con egli abbia concorso (anche sotto il profilo psicologico) negli illeciti stessi.  A ben vedere, però, la sua posizione viene in evidenza non già per la qualifica, quanto per l’attività in concreto svolta.

La responsabilità non dipenderebbe dalla omessa vigilanza sul comportamento dell’appaltatore, non avendo egli alcun obbligo legale di vigilare, ma dall’applicazione delle regole ordinarie sul concorso di persone nel reato.[3]

  1. Nel caso in cui colui che decide di fare effettuare un’operazione – il committente – che presumibilmente genererà rifiuti, sia eventualmente a conoscenza (o, ancora, peggio, colluso) di attività illecite commesse dall’effettivo produttore (per alcuna giurisprudenza, è sufficiente che non abbia verificato le autorizzazioni del soggetto la cui attività ha prodotto i rifiuti), soccorre e completa il regime di responsabilità l’art. 178, comma 3, del D. Lgs. n. 152/2006 (già art. 2, comma 3, del D. Lgs. n. 22/97), in tema di corresponsabilità.[4]

Gli adempimenti del produttore dei rifiuti da costruzione e demolizione

In generale, il produttore o il detentore di rifiuti speciali, qualora non provvedano all’autosmaltimento o al conferimento dei rifiuti ai soggetti che gestiscono il pubblico servizio, hanno l’obbligo di verificare che si tratti di soggetti autorizzati alle attività di recupero o smaltimento.

Ove, invece, tale doverosa verifica manchi, il produttore risponde a titolo di concorso con il soggetto qualificato, nella commissione del reato di illecita gestione di rifiuti.

Tale assunto trova innanzi tutto conferma nell’articolo 188, comma 1, del T.U. Ambientale, come modificato dal cd. quarto decreto correttivo, che espressamente enuncia il principio della responsabilità condivisa da tutti gli operatori coinvolti nella gestione dei rifiuti.

Il produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provvedono direttamente al loro trattamento, oppure li consegnano ad un intermediario, ad un commerciante, ad un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti, in conformità agli articoli 177 e 179. Fatto salvo quanto previsto ai successivi commi del presente articolo, il produttore iniziale o altro detentore conserva la responsabilità per l’intera catena di trattamento, restando inteso che qualora il produttore iniziale o il detentore trasferisca i rifiuti per il trattamento preliminare a uno dei soggetti consegnatari di cui al presente comma, tale responsabilità, di regola, comunque sussiste.

Il produttore/detentore che non controlli l’esatto conferimento del rifiuto ad un impianto regolarmente autorizzato, ha una responsabilità, sia dolosa che colposa, per concorso nel reato commesso dal terzo, che gestisce i rifiuti senza autorizzazione.

Egli non si spoglia della responsabilità dei suoi rifiuti, consegnandoli semplicemente al trasportatore, ma la condivide con quest’ultimo, conservando un onere al buon esito del viaggio verso il sito finale, che va sottolineato, deve essere necessariamente conosciuto al momento della partenza sia dal produttore che dal trasportatore.

Non basta: il produttore deve anche controllare la regolare iscrizione all’Albo Gestori Ambientali, e che questa sia corrispondente a quella prevista dalla tipologia dei rifiuti trasportati.

Conforme la giurisprudenza di legittimità:

  1. Corte di Cassazione 25 febbraio 2008, n. 8367.

 << … per mezzo della consegna del rifiuto al terzo, senza l’espletamento della verifica doverosa, l’imputato aveva fornito un apporto causale alla commissione del reato, integrato dall’esercizio non autorizzato di attività di recupero. A suo carico, era configurabile una responsabilità colposa per l’inosservanza di una regola di cautela imposta dalla legge.

L’art. 2, comma 3, del previgente D. Lgs. n. 22/97 (cd. decreto Ronchi), già prevedeva la responsabilizzazione e la cooperazione di tutti i soggetti coinvolti, a qualsiasi titolo, nel ciclo di gestione dei rifiuti.

Orbene, gli obblighi a carico del produttore o del detentore che affidino i propri rifiuti a terzi  – già sanciti dall’art. 10 del D. Lgs. n. 22/97 – lo sono oggi dall’art. 188 del D. Lgs. n. 152/206, come modificato dal quarto decreto correttivo >>.

  1. Corte di Cassazione 13 giugno 2012, n. 23232.

<< Risulta accertato che A.L., quale rappresentante legale della ditta esercente attività edile produttrice/detentrice di rifiuti speciali non pericolosi classificati codice CER 170904 e 170107), aveva provveduto a trasportare e a conferire i propri rifiuti edili presso una   discarica con autorizzazione scaduta.

Orbene la Corte Territoriale aveva assolto l’imputato (del reato  di cui all’articolo 256, comma 1, del T.U. Ambientale), sostanzialmente asserendo che lo stesso aveva agito in buona fede, tenuto conto dell’affidabilità della ditta che da anni gestiva la discarica con un’autorizzazione legittimamente rilasciata.

Invero la ditta produttrice dei rifiuti, destinati allo smaltimento in discarica nella discarica  aveva l’obbligo giuridico, , ex art. 188 D. Lgs. n. 152 del 2006, di verificare con diligenza la validità ed attualità dell’efficacia dell’autorizzazione rilasciata alla ditta.

L’imputato,invece, per un periodo – non di pochi giorni (nel tal caso poteva valutarsi l’eventuale buona fede dell’imputato) – protrattosi quasi per un anno, non aveva affatto verificato il permanere dell’efficacia dell’autorizzazione scaduta.

Non sussistendo alcuna buona fede giuridicamente rilevante nella condotta di A.L., va annullata la sentenza della Corte di Appello di Perugia, in data 20/04/2011, con rinvio alla Corte di Appello di Firenze per il nuovo giudizio di Appello >>.

Il produttore che trasporta in proprio i rifiuti da costruzione e demolizione

Gli imprenditori edili, ove trasportino i propri stessi rifiuti – anche in modo occasionale e saltuario -sono sempre tenuti all’iscrizione all’Albo Gestori Ambientali.

Non è necessario, quindi, ai fini della configurazione del reato di trasporto illecito di rifiuti, che il soggetto interessato svolga professionalmente l’attività di trasportatore, perché anche un unico trasporto non lo esonera dall’obbligo di munirsi delle necessarie autorizzazioni.

Tale principio, oltre che evincersi dalla lettura dell’articolo 212 del T.U. Ambientale, è chiaramente enunciato dalla Giurisprudenza:

  1. Corte di Cassazione, Se. III, 24 ottobre 2012, n. 41464.

<< Ebbene, come già chiarito da questa Corte (cfr. Cass. Sez. III, 08/06/2010 n. 21655) tutte le fasi di gestione dei rifiuti, per essere legittime, devono essere precedute da autorizzazione, iscrizione o comunicazione. La violazione di tale precetto è sanzionata penalmente dal D. Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1.

La attività di trasporto è inserita tra quelle di gestione dei rifiuti (per la chiara norma definitoria del D. Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. d) e, pertanto, la mancanza di un provvedimento che la sorregga ha rilevanza penale.

La deduzione della difesa – secondo la quale l’imputato, privato cittadino, non esercitava una attività organizzata per la gestione del rifiuti – è del tutto irrilevante in diritto: la circostanza prospettata, infatti, non lo esonerava dall’obbligo di munirsi di un titolo abilitativo perché il reato in esame si configura come istantaneo – e non abituale – e Si perfeziona nel momento in cui si realizza la singola condotta tipica con la conseguenza che è sufficiente un unico trasporto ad integrare la fattispecie di reato >>.

  1. Corte di Cassazione, Sez. III, 3 marzo 2010, n. 8300.

<< … il trasporto di rifiuti propri non pericolosi, ancorché effettuato in via eccezionale, integra il reato di cui all’art. 256 comma primo D.lgs. 152 del 2006, ove il produttore, non avvalendosi delle prestazioni di imprese esercenti servizi di smaltimento regolarmente autorizzate ed iscritte all’Albo nazionale dei gestori ambientali, abbia utilizzato mezzi propri non autorizzati (conforme: Cass. 25/11/08, n. 9465 – 19/12/07, n. 5342) >>.

  1. Corte di Cassazione, Sez. III, 16 dicembre 2010, n. 44398.

<< Il legislatore ha inteso confermare la necessità dell’iscrizione all’Albo – seppure con modalità semplificate – anche per lo svolgimento dell’attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi anche propri connessi all’esercizio dell’attività di impresa in linea con le decisioni comunitarie che avevano riguardato l’articolo 30 del D. Lgs. 22/97 >>.

Nel contempo, però, è pure prevista una disciplina semplificata per l’iscrizione all’Albo (cd. iscrizione light) per tali soggetti; più precisamente: per i produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti, nonché per i produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto di trenta chilogrammi o trenta litri al giorno dei propri rifiuti pericolosi, a condizione che tali operazioni costituiscano parte integrante ed accessoria dell’organizzazione dell’impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti.

Questi, infatti, ai sensi dell’articolo 212, comma 8, del T.U. Ambientale, non sono tenuti alla prestazione delle garanzie finanziarie e sono iscritti in un’apposita sezione dell’Albo in base alla presentazione di una comunicazione alla sezione regionale o provinciale dell’Albo territorialmente competente.[5]

La responsabilità penale dell’impresa edile per l’illecita gestione di rifiuti

In caso di trasporto di rifiuti da costruzione e demolizione, ove l’impresa non sia iscritta all’Albo Gestori Ambientali, si configura il reato di cui all’articolo 256, comma 1, del T.U. Ambientale, così sanzionato:

a)      con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;

b)      con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

In tema di illecita gestione di rifiuti da costruzione e demolizione, non c’è dubbio che il reato di cui al comma 1 dell’art. 256 D. Lgs. n. 152/2006 non sia un reato proprio, non dovendo necessariamente essere integrato da soggetti esercenti professionalmente l’attività di gestione rifiuti, dal momento che la norma fa riferimento a “chiunque”.[6]

La Corte di Cassazione – Sez. III, 15 giugno 2011, n. 23971 – ha così sentenziato:

<< In tema di rifiuti la responsabilità per l’attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda.

In applicazione di tali principi è stata riscontrata la responsabilità dei titolari di una impresa edile produttrice di rifiuti per il trasporto e lo smaltimento degli stessi, con automezzo di proprietà della società, in assenza delle prescritte autorizzazioni (Cass. Penale – sez. III – 11.12.2003, n.47432).

Successivamente è stato ribadito che in tema di gestione dei rifiuti, il reato di abbandono incontrollato di rifiuti è ascrivibile ai titolari di enti ed imprese ed ai responsabili di enti anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che hanno posto in essere la condotta di abbandono (Fattispecie riguardante un autocarro adibito al trasporto di rifiuti abbandonati in modo incontrollato e condotto da un dipendente del titolare dell’impresa) (Cass. Pen. – sez. III – n. 24736 del 18.5.2007). (Conferma sentenza del 31.3.2010 del Tribunale di Lucera, sez. dist. Apricena) >>.

Un altro reato, che afferisce sempre alla illecita gestione di rifiuti, è quello di deposito o abbandono di rifiuti, così sanzionato dall’art. 256, comma 2, del D. Lgs. n. 152 del 2006:

Le pene di cui al comma 1[ già sopra richiamate] si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2.

A differenza del trasporto illecito di rifiuti, il deposito incontrollato di rifiuti – sebbene per titolare di impresa o responsabile di ente non debba intendersi solo il soggetto formalmente titolare dell’’attività, ma anche colui che eserciti di fatto l’attività imprenditoriale inquinante – costituisce un reato proprio.[7]

La locuzione “titolari di imprese o responsabili di enti” sempre è stata interpretata estensivamente dalla Corte di Cassazione, nel senso che sono da escludere dalla responsabilità penale solo le attività del privato che si limiti ad abbandonare i propri rifiuti, al di fuori di qualsiasi intento economico (Cass. Sez. 3^ n. 9554 del 2004, Rainaldi).

Tale orientamento – Corte di Cassazione, 13 maggio 2008 nr. 19207  – è vieppiù imposto dalla ratio della legge, per la quale è rilevante l’effettiva attività d’inquinamento che viene posta in essere e non la qualificazione formale dell’agente, il quale, se agisce nell’ambito di un’attività economica, ancorché non formalmente titolare dell’impresa, risponde del reato di cui al comma 2 eventualmente in concorso con il soggetto che appare formalmente come titolare dell’attività.

Per la Suprema Corte, a rilevare è sostanzialmente l’attività svolta e non la mera qualificazione formale!

La disciplina della tracciabilità dei rifiuti da costruzione e demolizione alla luce del D. Lgs. n. 83/2012

I produttori dei rifiuti da costruzione e demolizione, qualora non provvedano all’autosmaltimento o al conferimento dei rifiuti a soggetti che gestiscono il pubblico servizio, possono consegnarli ad altri soggetti; ma in tal caso, hanno l’obbligo di controllare che si tratti di soggetti autorizzati alle attività di recupero o smaltimento.

E’ indiscusso che gli stessi siano gravati dall’obbligo di smaltirli nei modi prescritti dalla legge, e che se li affidano ad un terzo, debbano accertarsi che il soggetto sia munito dei necessari provvedimenti autorizzatori.

Ove, per contro, tale doverosa verifica sia omessa, essi rispondono a titolo di concorso con il soggetto qualificato, nella commissione del reato di cui all’art. 256, comma 1, del D. Lgs. n. 152/2006 ( Ex pluribus: Corte di Cassazione, Sez. III, 11.07.2008, n. 28836 – 07.02.2008, n. 6101).

In quanto rifiuti speciali, i rifiuti da costruzione e demolizione sono sottoposti alla disciplina della tracciabilità e vanno, quindi, gestiti sempre secondo le regole dettate dal D. Lgs. n. 152/2006.

Su tale importante tema, è intervenuto recentemente il legislatore con il Decreto – cd. crescita – n. 83/2012, convertito nella Legge 7 agosto 2012, n. 134, che  – per quel che qui rileva – ha sospeso il cd. Sistri fino al 30 giugno 2013.

In particolare, l’articolo 52 del citato decreto ha stabilito:

Allo scopo di procedere (…) alle ulteriori verifiche amministrative e funzionali del Sistema di controllo della Tracciabilità dei Rifiuti (…) il termine di entrata in operatività del Sistema Sistri (…) è sospeso fino al compimento delle anzidette verifiche e comunque non oltre il 30 giugno 2013, unitamente ad ogni adempimento informatico relativo.

La stessa disposizione ha previsto altresì la sospensione del pagamento dei contributi dovuti dagli utenti per l’anno 2012.

La tracciabilità dei rifiuti – è infine espressamente specificato – continua ad essere quello previsto dalla disciplina recata dagli articoli 190 (registri di carico e scarico) e 193 (formulario di trasporto) del D. Lgs. 152/2006 e relativo regime sanzionatorio, nella versione precedente all’entrata in vigore delle modifiche introdotte dal D. Lgs. 205/2010.

Formulari di identificazione dei rifiuti

Ai sensi dell’art. 193, comma 1 e 2 , del D. Lgs. n.  152/2006:

Durante il trasporto effettuato da enti o imprese i rifiuti sono accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare almeno i seguenti dati …

Il formulario di identificazione di cui al comma 1 deve essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal produttore o dal detentore dei rifiuti e controfirmato dal trasportatore. Una copia del formulario deve rimanere presso il produttore o il detentore e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al detentore. Le copie del formulario devono essere conservate per 5 anni.

L’imprenditore edile, quale produttore dei rifiuti da costruzione e demolizione, è un soggetto giuridico tenuto alla compilazione dei formulari.

La sua responsabilità, ai sensi dell’art. 188, comma 3, del D. Lgs. n. 152/2006, per il corretto recupero o smaltimento è esclusa:

  • in caso di conferimento dei rifiuti al servizio pubblico di raccolta;
  • in caso di conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento, a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario, controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore, ovvero alla scadenza del predetto termine abbia provveduto a dare comunicazione alla provincia della mancata ricezione del formulario.

Registri di carico e scarico

I materiali derivanti da costruzione e demolizione sono espressamente elencati dall’art. 184, comma 3, lett. b) del D. Lgs. n. 152/2006 (cd. Testo Unico Ambientale) tra i rifiuti speciali, e sono contrassegnati con il codice C.E.R. (catalogo europeo dei rifiuti) 17 09 04.

Sono rifiuti non pericolosi, salvo che contengano – ed è invero, un’ipotesi tutt’altro che rara – elementi come ad esempio pezzi di amianto. In tal caso, contrassegnati con il codice C.E.R. 17 06 05*, dovranno classificarsi come rifiuti pericolosi.

Tanto premesso, gli imprenditori edili, se ed in quanto produttori di rifiuti speciali non pericolosi, non hanno alcun obbligo di tenere un registro di carico e scarico, su cui devono annotare le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti.

Di contro, nel caso che gli stessi rifiuti siano invece classificati come rifiuti pericolosi, i soggetti produttori sono tenuti alla tenuta dei registri di carico e scarico, ai sensi dell’art. 190, comma 1, del D. Lgs. n. 152/2006.

Un’importantissima novità è stata introdotta dall’articolo 4, comma 1, del D. Lgs. n. 121/2011, cha ha così innovato l’articolo 190, comma 1 bis, T.U. Ambientale:

Sono esclusi dall’obbligo di tenuta del registro di carico e scarico gli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 c.c., che raccolgono e trasportano i propri rifiuti speciali non pericolosi di cui all’art. 212, comma 8, nonché le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti speciali non pericolosi derivanti da costruzione e demolizione.

C) M.U.D. Modello unico di dichiarazione

L’articolo 189, comma 3, del D. Lgs. n. 152/2006 stabilisce:

Chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta e trasporto di rifiuti, i commercianti e gli intermediari di rifiuti senza detenzione, le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento di rifiuti, i Consorzi istituiti per il recupero ed il riciclaggio di particolari tipologie di rifiuti, nonché le imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi e le imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 184, comma 3, lettere c), d) e g), comunicano annualmente alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura territorialmente competenti, con le modalità previste dalla legge 25 gennaio 1994, n. 70, le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto delle predette attività. Sono esonerati da tale obbligo gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile con un volume di affari annuo non superiore a euro ottomila, le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi, di cui all’articolo 212, comma 8, nonché, per i soli rifiuti non pericolosi, le imprese e gli enti produttori iniziali che non hanno più’ di dieci dipendenti.

Gli imprenditori edili sono tenuti al  MUD, solo se ed in quanto produttori di rifiuti speciali pericolosi.

Illeciti e sanzioni concernenti la tracciabilità dei rifiuti da costruzione e demolizione

A) Violazione degli obblighi di tenuta dei formulari

Ai sensi dell’art. 258, comma 4, del D. Lgs. n. 152/2006:

Chiunque effettua il trasporto (di rifiuti da costruzione e demolizione) senza il formulario di cui all’articolo 193 ovvero indica nel formulario stesso dati incompleti o inesatti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro.

Si applica la pena di cui all’art. 483 del codice penale (reclusione fino a 2 anni) nel caso che gli stessi siano classificati come rifiuti pericolosi.

Si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da duecentosessanta euro a millecinquecentocinquanta euro se le indicazioni di cui al comma 4 sono formalmente incomplete o inesatte ma contengono tutti gli elementi per ricostruire le informazioni dovute per legge, nonché … … nei casi di mancata conservazione del formulario.

B) Violazione degli obblighi di tenuta dei registri di carico e scarico

Ai sensi dell’art.. 258, comma 2, del D. Lgs. n. 152/2006:

Chiunque omette di tenere ovvero tiene in modo incompleto il registro di carico e scarico di cui all’articolo 190, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da duemilaseicento euro a quindicimilacinquecento euro.

Se il registro è relativo a rifiuti pericolosi – e i rifiuti da costruzione e demolizione  non lo sono – si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da quindicimilacinquecento euro a novantatremila euro, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione da un mese a un anno dalla carica rivestita dal soggetto responsabile dell’infrazione e dalla carica di amministratore.

Ai sensi dell’art. 258, comma 4, del D. Lgs. n. 152/2006:

Se le indicazioni di cui ai commi 1 e 2 sono formalmente incomplete o inesatte ma i dati riportati nella comunicazione al catasto, nei registri di carico e scarico, nei formulari di identificazione dei rifiuti trasportati e nelle altre scritture contabili tenute per legge consentono di ricostruire le informazioni dovute, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da duecentosessanta a millecinquecentocinquanta euro.

La stessa pena si applica nei casi di mancata conservazione dei registri.

C) Violazione degli obblighi di comunicazione

Ai sensi dell’art. 258, comma 1, del D. Lgs. n. 152/2006:

I soggetti di cui all’articolo 189, comma 3, che non effettuino la comunicazione ivi prescritta ovvero la effettuino in modo incompleto o inesatto – se ed in quanto soggetti obbligati – sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da duemilaseicento euro a quindicimilacinquecento euro; se la comunicazione è effettuata entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine stabilito ai sensi della legge 25 gennaio 1994, n. 70, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da ventisei euro a centosessanta euro.



[1]L’articolo 10 del D. Lgs. 3 dicembre 2010 n. 205 ha riscritto e sostanzialmente modificato l’intero articolo 183 del T.U. Ambientale, novellando quasi tutte le definizioni nello stesso contenute.

[2] La disciplina del Sistri è contenuta nel Decreto 18 febbraio 2011, n. 52 (cd. Testo Unico Sistri),  “Regolamento recante istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, ai sensi dell’articolo 189 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e dell’articolo 14-bis del Decreto Legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla Legge 3 agosto 2009, n. 102”.

Il Decreto Legislativo n. 83/2012, sospende fino al 30 giugno 2013  il termine di entrata in operatività del Sistema Sistri.

In attesa che diventi operativo il SISTRI (a meno di decisioni ministeriali più drastiche), è stato pubblicato il D.M. 25 maggio 2012, n. 141 (G.U. n. 196 del 23 agosto 2012), che, di fatto, dopo il D.M. 10 novembre 2011, n. 219, rappresenta il secondo correttivo al T.U. Sistri.

[3] Pasquale Fimiani, La tutela penale dell’Ambiente dopo il D. Lgs. n. 4/2008. Editore Giuffré.

[4] Stefano Maglia e Viviana Balossi, La corretta individuazione del produttore dei rifiuti Ambiente & Sviluppo n. 5/2007

[5] Con la comunicazione l’interessato attesta sotto la sua responsabilità, ai sensi dell’articolo 21 della legge n. 241 del 1990: a) la sede dell’impresa, l’attività o le attività dai quali sono prodotti i rifiuti; b) le caratteristiche, la natura dei rifiuti prodotti; c) gli estremi identificativi e l’idoneità tecnica dei mezzi utilizzati per il trasporto dei rifiuti, tenuto anche conto delle modalità di effettuazione del trasporto medesimo; d) il versamento del diritto annuale di registrazione, che in fase di prima applicazione e’ determinato nella somma di 50 euro all’anno, ed e’ rideterminabile ai sensi dell’articolo 21 del decreto del Ministro dell’ambiente 28 aprile 1998, n. 406.L’impresa e’ tenuta a comunicare ogni variazione intervenuta successivamente all’iscrizione. Le iscrizioni delle imprese di cui al presente comma effettuate entro sessanta giorni dall’entrata in vigore delle presenti disposizioni restano valide ed efficaci.

[6] Così l’articolo 256, comma 1, del T.U. Ambientale:

Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito:
a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

[7] Di regola, autore di un fatto preveduto dalla legge come reato, può essere chiunque.

In un numero relativamente limitato di casi, però, la sfera di potenziali autori è circoscritta dalla legge a determinate categorie di soggetti, rivestiti di particolari qualità: sia di carattere naturalistico che di carattere giuridico.

I reati, il cui fatto tipico può essere realizzato da qualsiasi persona, si dicono reati comuni; quelli di cui possono essere autori soltanto determinate persone, si definiscono reati propri. Nel reato proprio, assume una specifica rilevanza la qualità o posizione del soggetto attivo, che vale a porlo ina una particolare relazione con il bene protetto dalla norma.

La speciale relazione dell’autore con il bene tutelato può assumere rilevanza, o in quanto determina l’esistenza stessa di un illecito penale, che non si configurerebbe affatto in mancanza della particolare qualità del soggetto; ovvero in quanto da luogo al configurarsi di un diverso tipo di illecito penale.

Un esempio della prima categoria di reati propri è costituito proprio dal deposito incontrollato di rifiuti, il cui fatto tipico può essere commesso esclusivamente da un titolare di impresa o da un responsabile di ente.

Avv. Gaetano Alborino

 

P.A.sSiamo

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