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“Emergenza Coronavirus”. Risposte a quesiti di Michele Pezzullo e – Aggiornamento Ord. Ministero della Salute 05 marzo 2021 -Normativa Nazionale _ e Regione Campania

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DL 01- del 5 gennaio 2021 (Ulteriori disposizioni COVID-19)

Ordinanza Regione Campania n. 1 del 05/01/2021

Ordinanza Regione Campania n. 99 del 20/12/2020

Ordinanza Regione Campania  n. 98 del 19/12/2020O

Decrteto Legge n. 172 dell’ 18 dicembre 2020 Ulteriori disposizioni urgenti per fronteggiare i rischi sanitari connessi alla diffusione del virus COVID-19. (20G00196)

Ordinanza Regione Campania n. 97 del 13/12/2020O

ORDINANZA del Ministero della Salute 11 dicembre 2020 Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Modifica della classificazione delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Lombardia e Piemonte. (20A06975)

Ordinanza n. 96 Regione Campania del 10/12/2020

Ordinanza n. 95 Regione Campania del 07/12/2020

Allegato 1 all’Ordinanza n. 95 del 07/12/2020

   ORDINANZA del Ministero della Salute 05/12/2020 Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Modifica della classificazione delle Regioni Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche, Puglia e Umbria. (20A06783)

 ORDINANZA Ministero della Salute 5 dicembre 2020 Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. (20A06781)

ORDINANZA Ministero della Salute 5 dicembre 2020 Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Modifica della classificazione delle Regioni Campania, Toscana, Valle d’Aosta e della Provincia autonoma di Bolzano. (20A06782)

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Ordinanza  Regione Campania n. 94 del 03/12/2020

Decreto-Legge 2 Dicembre 2020 n.158

ORDINANZA del Ministero della Salute 27  novembre 2020 Modifica della classificazione del rischio epidemiologico. (20A06656

ORDINANZA del Ministero della Salute 27 novembre 2020 Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. (20A06657)

ORDINANZA del Ministero della Salute 24 novembre 2020 Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. (20A06541

        – Allegato 1 all’Ordinanza n. 93 del 28/11/2020

Ordinanza-n-92-del-23-novembre-2020 Regione Campania

Ordinanza Ministero Salute 20 novembre 2020 

Ordinanza Ministero Salute  19 novembre 2020

Ordinanza n. 91 del 21/11/2020 Regione Campania

ORDINANZA n. 90 del 15 novembre 202 Regione Campania

Ordinanza Ministero della Salute 13 novembre 2020

DECRETO LEGGE N° 150 DEL 10 NOVEMBRE 2020

ORDINANZA MINISTERO DELLA SALUTE 10 NOVEMBRE 2020

DECRETO LEGGE N°149 DEL 09 NOVEMBRE 2020

Ordinanza Regione Campania  n. 89 del 05/11/2020

Ordinanza Ministero della  Salute del  4 novembre 2020 

Ordinanza Regione Campania n. 88 del 04/11/2020

  Chiarimento n. 43 del 30/10/2020

14/07/2020 LEGGE n. 74

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33

DPCM 14 luglio 2020

Ministero della Salute Ordinanza 09 luglio 2020

28. Chiarimento n. 28 del 09/07/2020

02/07/2020 LEGGE n. 72

– Allegato 1 – Ordinanza n. 60 del 04/07/2020

– Allegato 2 – Ordinanza n. 60 del 04/07/2020

– Allegato 1 – Ordinanza n. 59 del 01/07/2020

– Allegato 2 – Ordinanza n. 59 del 01/07/2020

– Allegato 3 – Ordinanza n. 59 del 01/07/2020

– Allegato 4 – Ordinanza n. 59 del 01/07/2020

– Atto di richiamo del 20 giugno 2020

DECRETO-LEGGE 16 giugno 2020, n. 52

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 11 giugno 2020 

Ordinanza n. 55 Presidente Regione Campania  del 05/06/2020

Allegato A – Ordinanza n. 55 del 05/06/2020

– Allegato B – Ordinanza n. 55 del 05/06/2020

– Allegato C – Ordinanza n. 55 del 05/06/2020

– Allegato D – Ordinanza n. 55 del 05/06/2020

4- Allegato E – Ordinanza n. 55 del 05/06/2020

– Allegato F – Ordinanza n. 55 del 05/06/2020

Ordinanza Presidente Regione Campania n. 54 del 02/06/2020

Ordinanza Presidente Regione Campani n. 53 del 29/05/2020

Ordinanza Presidente regione campania n. 52 del 26/05/2020

– Allegato 1 – Ordinanza n. 52 del 26/05/2020

– Allegato 2 – Ordinanza n. 52 del 26/05/2020

– Allegato 3 – Ordinanza n. 52 del 26/05/2020

– Allegato 4 – Ordinanza n. 52 del 26/05/2020

– Allegato 5 – Ordinanza n. 52 del 26/05/2020

– Allegato 6 – Ordinanza n. 52 del 26/05/2020

Ordinanza n. 50 del Presidente della Regione Campania  del 22/05/2020

Allegato 1 – Ordinanza n. 50 del 22/05/2020

Allegato 2 – Ordinanza n. 50 del 22/05/2020

Allegato 3 – Ordinanza n. 50 del 22/05/2020

Ordinanza n. 49 del Presidente della Giunta Regione Campania del  20/05/2020

Allegato n. 1 Ordinanza n. 49 del 20/05/2020

Allegato n. 2 Ordinanza n. 49 del 20/05/2020

 

Ordinanza n.48 del 17 maggio 2020 Presidente Giunta Regione Campania

Allegato 1 Protocollo Regione Campania Servizi alla Persona

Allegato 2 Protocollo Regione Campania Commercio al Dettaglio

Allegato 3 Protocollo Regione Campania Ristorazione e Bar

Allegato 4 Protocollo Regione Campania Musei Archivi Biblioteche

DECRETO-LEGGE 19 maggio 2020, n. 34 (Decreto Rilancio)Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34

DPCM-17 MAGGIO 2020-E ALLEGATI

DL 16 MAGGIO 2020 N°33

Ordinanza n. 47 del 16/05/2020 Presidente Giunta Regione Campania

Ordinanza n. 46 del 09/05/2020 Presidente Giunta Regione Campania 

Ordinanza n. 45 del 08/05/2020 Presidente Giunta Regione Campania– 

Allegato Ordinanza n. 45

Ordinanza n. 44 del 04/05/2020 PRESIDENTE GIUNTA REGIONE CAMPANIA

Ordinanza n. 43 del 03/05/2020 Presidente Giunta Regione Campania

25. Chiarimento n. 25 del 04/05/2020

Ordinanza n. 42 del 02 maggio 2020 Presidente Giunta Regione Campania

Ordinanza n. 41 del 01/05/2020 Presidente Giunta Regione Campania (con allegato)

Ordinanza n. 40 del 30/04/2020Ordinanza n. 40 del 30/04/2020

DPCM e allegato del 26 aprile 2020

Ordinanza n. 39 del 25/04/2020 Presidente Giunta Regionale Campania  

Chiarimento n.24 del 29 aprile 2020 all’Ordinanza n.37 (e 39) del 22 aprile 2020 (25 aprile) e ss.mm.ii.   

 Chiarimento n.23 all’Ordinanza n.39 del 25 aprile 2020  

Chiarimento n.23 all’Ordinanza n.39 del 25 aprile 2020 – Allegato

Chiarimento n.22 all’Ordinanza n.39 del 25 aprile 2020

Chiarimento n.21 all’Ordinanza n.39 del 25 aprile 2020

– Allegato n. 1 all’Ordinanza n. 39 del 25/04/2020

– Allegato sub 2 all’Ordinanza n. 39 del 25/04/2020

– Allegato n. 1 all’Ordinanza n. 39  del 25/04/2020

– Allegato sub 2 all’Ordinanza n. 39 del 25/04/2020

Ordinanza n. 38 del 23/4/2020 Presidente Giunta Regionale Campania

Ordinanza n.37 del 22 aprile 2020 ristorazione librerie e festività con allegato

chiarimento n. 20 del 20 aprile 2020

Ordinanza n. 35 del 19/04/2020 Presidente Giunta Regionale Campania

Ordinanza n. 34 del 18/04/2020 Presidente Giunta Regionale Campania

Ordinanza n. 33 del 13/4/2020 Presidente Giunta Regionale Campania

Ordinanza n. 32 del 12/4/2020 Presidente Giunta Regionale Campania

19. Chiarimento n. 19 del 15/4/2020 all’Ordinanza n. 32 del 12/4/2020

18. Chiarimento n. 18 del 15/4/2020 all’Ordinanza n. 32 del 12/4/2020

DPCM 10 aprile 2020

Ordinanza n. 31 del 10/4/2020 Presidente Giunta Regionale Campania

Ordinanza n. 30 del 9/4/2020 Presidente Giunta Regione Campania

Avviso di rettifica Ordinanza n. 30 del 9/4/2020

Chiarimento n. 17 dell’11/4/2020 all’ordinanza n. 30 del 9/4/2020

DL 23 del 8 aprile 2020

Ordinanza n. 29 dell’8/4/2020 Presidente Giunta Regione Campania

Ordinanza n. 28 del 5/4/2020 Presidente Giunta Regione Campania

Ordinanza n. 27 del 3/4/2020 Presidente Giunta Regione Campania

Ordinanza n. 26 del 31/3/202 Presidente Giunta Regione Campania

Ordinanza n. 25 del 28/3/2020 Presidente Giunta Regione Campania

Chiarimento n. 16 del 5/4/ 2020 all’Ordinanza n. 25 del 28/3/2020

Chiarimento n. 15 del 4/4/2020 all’Ordinanza n. 25 del 28/3/2020

Chiarimento n. 14 del 4/4/2020 all’Ordinanza n. 25 del 28/3/2020

DPCM 1 APRILE 2020

Chiarimento n. 13 del 29/3/2020 all’Ordinanza n. 25 del 28/3/2020

Ordinanza n. 24 del 25/3/2020

Ordinanza n. 23 del 25/3/2020

ordinanza n. 23 del 24 marzo 2020 Presidente Giunta Regione Campania

Chiarimento n. 20 del 20 aprile 2020 all’Ordinanza n. 23 del 25/3/2020

Chiarimento n. 11 del 26/3/2020 all’Ordinanza n. 23 del 25/3/2020

Chiarimento n. 12 del 26/3/2020 all’Ordinanza n. 23 del 25/3/2020

ordinanza n. 22 del 24 marzo 2020 Presidente Giunta Regione Campania

ordinanza-n-21-23-3-2020-Presidente Giunta Regione Campania noleggio-auto

ordinanza-n-20-del-22-3-2020 Presidente Giunta Regione Campania -misure-passeggeri-in-arrivo-firmata

chiarimento-n-10-23-3-2020-1

Ordinanza Presidente Giunta Regionale . n. 19-20.03.2020

chiarimento-n-9-del-23-marzo-2020

ordinanza-n-17 Presidente Giunta regionale Campania 

ordinanza presidente Regione Campania n-18-del-15-marzo-2020

chiarimento-n-8 all’ordinanza 18 Presidente Giunta regionale Campania

ordinanza Presidente Giunta Regione Campania -n-16-13-03-2020

chiarimento-n-7 all ordinanza numero 16 Presidente Giunta regionale campania 

Ordinanza  Giunta Regione Campania  n. 15-13.03.2020-1.pdf

chiarimento-n-5 ordinanza numero 15 Presidente giunta regionale Campania

chiarimento numero 6 all ordinanza 15 del 13 marzo

ord-n-14-12-03-2020- Presidente regione Campania

chiarimento-n-4-ordinanza numero 14 Presidente Giunta Regionale Campania

Ordinanza Presidente Giunta Regionale numero 13 del 12 marzo 2020

chiarimento-n-2 all’ordinanza n. 12

chiarimento-n-3 ordinanza Regione Campania numero 13

DPCM 11 marzo 2020.pdf.pdf.pdf

ordinanza Presidenza Giunta Regione Campania 12 MARZO 2020

chiarimento-n-1- all’ordinanza numero 12

Ordinanza del Presidente della Regione Campania n. 11 del 10 marzo 2020

ord-n-10-10-03-2020.pdf

Ordinanza Presidente Regione   Campania n 8 del 8 marzo 2020

DPCM  8 MARZO 2020

OrdInanza Presidente Regione Campania n-7 del 06-03-2020

DPCM del 4 MARZO 2020

DPCM del  1 marzo 2020 

 – COVID-19, CHIARIMENTO SU COMMERCIO FIORI E INTERVENTI URGENTI DI MANUTENZIONE

In riscontro ad alcuni quesiti pervenuti, l’Unità di Crisi regionale rende noto:

– che le Ordinanze adottate a livello regionale non fanno riferimento all’attività di commercio al dettaglio o all’ingrosso di fiori, per le quali pertanto continuano ad applicarsi – in assenza di disposizioni regionali più restrittive- le disposizioni statali, sulle quali è tra l’altro recentemente intervenuto un parere del competente Ministero Politiche agricole che ne ammette l’esercizio;

– ai sensi di quanto disposto dall’Ordinanza n. 32 del 12 aprile 2020, risultano consentiti sul territorio regionale interventi urgenti strettamente necessari a garantire la sicurezza o la funzionalità degli immobili in generale, e pertanto anche di quelli aventi destinazione alberghiera o turistica, ovviamente nei limiti delle attività con codici ATECO ammessi dalla vigente disciplina nazionale (DPCM 10 aprile 2020). Peraltro è in corso di valutazione la possibilità di un ulteriore provvedimento, volto a consentire anche, a partire dal 27 aprile 2020,  interventi funzionali alla prevista ripresa delle attività nella Fase 2 dell’emergenza.

Già lo scorso 27 marzo, nel rispondere ad un quesito che ci era stato posto, avevamo sostenuto che la vendita al dettaglio di semi, piante, fiori ornamentali, fertilizzanti etc. era consentita, sempre nel rispetto delle norme di sicurezza. Successivamente anche il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali con una FAQ confermava il parere espresso.
Tale risposta era stata data ai sensi del DPCM 22 marzo, art. 1, comma 1, lett. f), che stabiliva l’esclusione dalla chiusura delle attività florovivaistiche, le aziende di produzione, trasporto e commercializzazione di prodotti agricoli.
Non poche perplessità e qualche critica aveva suscitato questa mia interpretazione è una serie di pareri negativi con diffida alla chiusura dei pochi esercizi che avevano aperto.
Finalmente è stato pubblicato una circolare che ha fatto chiarezza, confermando quanto avevamo sostenuto.
Infatti, in data 18 aprile il Ministero dell’Interno ha diramato una circolare con la quale rendeva noto, e trasmetteva, un parere del citato Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ove, sostanzialmente, si chiariva che “deve considerarsi ammessa l’apertura dei punti vendita di tali prodotti (semi, piante, fiori ornamentali, piante in vaso, fertilizzanti etc.)…”.
Alleghiamo le citate circolari dei due ministeri.
Cte a. r. Michele Pezzullo

vedi circolari Min.Interno – Circ. del 18.4.20 chiarimento Min. Politiche agricole vendita fiori

Chiarimento attività di coltivazione, cura degli orti e tutela degli animali da cortile, limiti -Regione Campania.

vedi chiarimento n. 20 del 20 aprile 2020 – Attività di coltivazione, cura degli orti e tutela
animali da cortile.nelle Ordinanze regionali   nelle ulteriori adottate nel periodo di emergenza COVID-19 non risultano dettate disposizioni specifiche in materia di attività di coltivazione, cura degli
orti e tutela degli animali da cortile.
Ciò posto, tenuto conto che le attività agricole non risultano vietate dalle disposizioni
statali vigenti (di cui, attualmente, al DPCM 10 aprile 2020) e che le attività di cura degli
orti e poderi, anche per autoproduzione, e degli animali da cortile sono finalizzate a
scongiurarne il deperimento e pertanto necessitate, gli spostamenti finalizzati alle dette
attività risultano consentiti sul territorio regionale. Ai sensi di quanto disposto dalle
ordinanze indicate in epigrafe con riferimento a tutti gli spostamenti consentiti è peraltro
richiesto che gli spostamenti siano effettuati in forma individuale (salvo che si tratti di
soggetti appartenenti al medesimo nucleo familiare convivente) e per il tempo
strettamente necessario all’espletamento di dette attività, fermo restando il rispetto delle
regole di distanziamento sociale e delle connesse precauzioni obbligatorie per quanti
sono in circolazione sul territorio

 

Domanda:Le tabaccherie, essendo regolamentate dall’agenzia del monopolio, restano aperte? Non avendo avuto nessun ordine?

Risposta:Le tabaccherie, sono amministrate dalla Agenzia delle Dogane e Monopoli,  comunque gli  esercizi dovranno osservare la chiusura nei prossimi giorni 12 e 13, atteso che il provvedimento della regione è stato adottato a tutela della sanità pubblica. da  chiarimento 17 dove si precisa che possono restare in funzione i distributori automatici all esterno degli esercizi

Domanda: Comandante buonasera, un chiarimento per gli autolavaggi, devono stare chiusi? Grazie e un saluto virtuale

Risposta
Ritengo che gli autolavaggi possano restare aperti perché rientrano negli elenchi delle attività autorizzate dai DPCM del 22 marzo con codice ateco 45.2; nella sotto categoria 45.20.91 è individuata chiaramente l’attività di “Lavaggio auto”; anche se sono installati nelle aree di distribuzione carburanti.

Buonasera un quesito:
Un esercizio di vicinato può fare consegna a domicilio fuori dal territorio ove insiste l’attività?
Se possibile mi indichi anche l’atto che lo vieta o lo consente?
Grazie mille

Risposta: L’esercizio può fare consegna al domicilio del consumatore purché i prodotti siano confezionati e vengano usate tutte le misure di sicurezza. Può andare anche fuori del suo territorio perché nessuna disposizione lo vieta.Con ordinanza regionale n.19 del 20 marzo, il Presidente De Luca ha disposto, con decorrenza immediata, la sospensione delle attività dei cantieri edili privati, salvo quelli per interventi urgenti. Entro cinque giorni tali cantieri devono essere messi in sicurezza e chiusi.
Invece, per i lavori a committente pubblica, fatti salvi i lavori di pubblica utilità e l’edilizia sanitaria, le stazioni appaltanti devono valutare la possibilità di differire i lavori in corso, con chiusura dei cantieri entro cinque giorni.
Per le violazioni si procedere a denunciare gli inadempimenti ai sensi dell’art 650 C.P. 

Domanda: Comandante mi può spiegare
Se una persona deve arrivare da me da altro paese può venire tranquillamente giustificando che fa uso di cure alternative o uso di prodotti alimentari per intolleranti incorre in un reato

Io posso fare consegna a domicilio di prodotti imbustati come dice la normativa tranquillamente in un altro comune?

Risposta: Oggi 23 marzo il Ministero dell’Interno ha diramato una circolare a chiarimento del DPCM 22 marzo, che dopo invierò, dove nell’ultima pagina (la 6) è previsto che:
Sono consentiti … o gli spostamenti per l’approviggionamento di generi alimentari nel caso in cui il punto di vendita più vicino e/o accessibile alla propria abitazione sia ubicato nel territorio di un altro comune.
Poiché non tutti conoscono, o hanno letto tale disposizione, consiglio di portare al seguito una copia della circolare da esibire in caso di fermo e controllo.
Per i prodotti alimentari confezionati in vendita, si possono consegnare al domicilio del consumatore; sono invece vietati i prodotti di ristorazione ( pizzette, rosticceria ecc).

Domanda:  Comandante,
La consegna della spesa a domicilio (non ristorazione) è ammessa?
Per gli ambulanti di generi alimentari? Possono continuare l’attività?Grazie
Risposta: Ritengo che gli esercenti l’attività su area pubblicA itinerante possono esercitare; per la consegna a domicilio, in Campania è consentita solo per i prodotti commerciali di alimenti confezionati. Per quelli di ristorazione è vietata

Quesito: I panifici possono produrre pane e sfarinati. Vorremmo sapere se tra gli sfarinati sono ricompresi anche i dolci e possono essere venduti.

Risposta:

Rispondo subito che, a parere nostro, i panifici possono produrre e vendere pane e prodotti da forno dolci e salati (dolci vari, biscotti, pizzette, rustici etc.).

Proviamo ora a fornire una giusta motivazione a tale risposta con le considerazioni che, di seguito, andiamo ad esporre.

Si premette che l’attività di panificazione è autorizzata ai sensi dell’art. 4 del D. L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazione dalla Legge 4 agosto 2006, n. 248.

Detta attività è soggetta a presentazione di Scia e possesso dei requisiti igienico sanitari; essa prevede la possibilità di produrre e vendere pane, prodotti da forno e assimilati, così come stabilito dal Decreto Ministero Sviluppo Economico 1/10/2018 n. 131 che, all’articolo 1, definisce il panificio come “…l’impresa che dispone di impianti di produzione di pane ed eventualmente altri prodotti da forno e assimilati o affini e svolge l’intero ciclo di produzione dalla lavorazione delle materie prime alla cottura finale”.

Aggiungo, inoltre, che nel Disegno di legge n. 739 del 2 agosto 2018, di iniziativa di alcuni Senatori, avente ad oggetto “Norme in materia di produzione e vendita del pane”, non ancora approvato, all’art. 7, comma 1, veniva data la seguente definizione di panificio: “1. È denominato «panificio» l’impianto di produzione del pane, degli impasti da pane e dei prodotti da forno assimilati, dolci e salati, che svolge l’intero ciclo di produzione a partire dalla lavorazione delle materie prime sino alla cottura finale”.

Concludiamo questo excursus normativo ripensando al DPCM dello scorso 11 marzo, ove all’allegato 1, tra le attività escluse dalla sospensione, individua il “Commercio al dettaglio di prodotti alimentari, bevande e tabacco in esercizi specializzati (codici ateco: 47.2)”.

Andando a rileggere i prodotti inclusi in detto codice ateco, al punto 47.24 troviamo “Commercio al dettaglio di pane, torte, dolciumi e confetteria in esercizi specializzati”.

SI pone, quindi, il problema se i panifici possono vendere anche pizzette e dolciumi; ancora una volta ci sorregge il codice ateco che al punto 10.7 tratta produzione di pane e prodotti di pasticceria freschi.

Quindi, nel nostro caso gli esercizi specializzati possono essere anche i panifici.

Ritornando al DPCM dello scorso 11 marzo, riteniamo inoltre che debba essere fatta una attenta lettura di quanto scritto all’art. 1, punto 2, e si rileviamo che non è vietata la vendita di taluni prodotti, bensì “sono sospese le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie).

In altri termini il decreto non ha voluto vietare la vendita di alcuni prodotti, penalizzando i relativi operatori commerciali, ma ha voluto vietare le modalità di vendita dei prodotti alimentari di ristorazione.

In pratica ha voluto vietare quel tipo di attività che poteva facilitare l’assembramento tra più persone o il contatto tra loro e con gli oggetti utilizzati da tutti, determinando, in tal modo, un sicuro contagio tra le persone che potevano già essere infette. Se comprendiamo questa “ratio” del decreto, potremo anche comprendere il motivo per cui le attività di pasticceria devono stare chiuse, mentre i dolci nelle panetterie possono essere venduti.

Nel primo caso i dolci sono spesso consumati sul posto e, quindi, provocare contagio; viceversa negli esercizi di panificazione il prodotto viene comprato e, subito dopo, il cliente si allontana dall’esercizio senza sostare nei locali.

Detto ciò, occorre fare una ultima precisazione.

Poiché ai sensi dell’art. 4, comma 2-bis, del predetto D. L. 4 luglio 2006, n. 223 i panificatori possono esercitare anche la somministrazione non assistita dei loro prodotti, si deve procedere a diffidare gli operatori a non effettuare tale tipologia di attività, provvedendo a rimuovere, ove presenti, le attrezzature quali tavoli, sedie, panche ed altre suppellettili.

Infine, detti operatori si devono sempre accertare che sia osservata la distanza di sicurezza tra gli avventori, come del resto richiesto per tutti gli altri esercizi aperti al pubblico.

nota della redazione si segnala anche risposta quesito DPCM DOLCI PANIFICI

riflessione di Michele Pezzullo

Visto che dopo tante barzellette, filmati ecc è venuto il momento di parlare anche di cose serie, vi voglio scrivere poche cose sulle ordinanze che molti sindaci stanno adottando a seguito della epidemia del corona virus.
Incominciamo a precisare che tutte le ordinanze dei sindaci in materia sono solo carta straccia perché in questo settore non hanno alcuna competenza.
In questo caso abbiamo la costituzione che ci aiuta: la potestà legislativa in materia sanitaria è di natura concorrente ai sensi dell’articolo 117, comma 3 della Costituzione; il che significa che lo Stato detta la normativa di massima o leggi cornici e poi le regioni adottano la normativa di dettaglio. Pertanto solo il Governo e le regioni possono normare la materia su questa epidemia.Aggiungo, infine, che Il D. L. n. 9 del 2 marzo 2020, all’articolo 35 “Disposizioni in materia di ordinanze continginili e urgenti” ha espressamente stabile che:
1. A seguito dell’adozione delle misure statali di contenimento e
gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 non possono essere
adottate e, ove adottate sono inefficaci, le ordinanze sindacali
contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza predetta in
contrasto con le misure statali”.
Qualcuno avvisasse i nostri sindaci, i quali vogliono approfittare del momento per meglio apparire, che
non devono adottare ordinanze in materia perché sono tutte nulle, improduttive di effetti è, quindi, scrivono solo una quantità enorme di inutilità ( per non usare altri termini), purtroppo.??
“andrà tutto bene”?

DOMANDA: Le medie e grandi strutture di vendita devono restare aperte o chiuse nei giorni festivi e prefestivi?

 vedi anche aggiornamento della  circolare ministero degli interni del 15 marzo 2020 numero 15350
Risposta  Il DPCM dell’8 marzo aveva stabilito che le medie e grandi strutture di vendita dovevano stare chiuse nelle giornate prefestive e festive e gli esercizi commerciali presenti all’interno dei centri commerciali della Lombardia e numerose province del nord Italia.
Con DPCM del 11 marzo è stato stabilito che in tutta Italia fossero sospese, tutti i giorni, le attività commerciali sia di vicinato che medie e grandi strutture di vendita ad eccezione della vendita di generi alimentari; in tal modo abrogando quanto detto nel Dpcm dell’8 marzo.
Infatti, con circolare del 12 marzo il Ministero dell’Interno ha dichiarato la perdita di efficacia delle misure prescritte nel DPCM 8 marzo, art. 1,lett. n),o),r).
Pertanto,non vi è più l’obbligo di chiusura nei festivi e prefestivi per le medie e grandi strutture di vendita, a condizione che commercializzano solo prodotti alimentari.

Domanda: In considerazione che Tabaccai possono stare aperti ed in questi esercizi ci sono slot machines monitor per il gioco a distanza questi possono essere utilizzati.?

Risposta: No, Attesa la ratio dei provvedimenti in relazione all’attuale situazione emergenziale,  i tabaccai e i concessionari di  slot machines  devono essere disattivati  compresi i monitor e televisori per i giochi a distanza  al fine di impedire la permanenza degli avventori per motivi di gioco all’interno dei locali. vedi direttiva Agenzia Monopoli e dogane.

Domanda: si può fare jogging dopo l’ordinanza numero 15 del presidente della Regione Campania?

Risposta dopo il chiarimento numero 6 del 14 marzo 2020 in  regione Campania L’attività sportiva, ludica o ricreativa all’aperto in luoghi pubblici o aperti al pubblico non è compatibile con il contenuto dell’Ordinanza n.15 del 13 marzo 2020. 2. Non è consentito in locali pubblici e/o aperti al pubblico svolgere eventi quali riunioni per fini ricreativi e/o sportivi e feste.  in chiaro contrasto con l’anticipazione ANSA PAG. CAMPANIA chiarimento numero 6 all ordinanza 15 del 13 marzo 2020

Risposta: dal tenore dell’ordinanza sembrerebbe di no, ma l’ANSA ha pubblicato un chiarimento che mettiamo di seguito: ANSA) – NAPOLI, 13 MAR – Niente uscite se non per motivi di stretta necessità ma resta la possibilità di fare attività sportiva e motoria all’esterno pur rispettando la distanza di un metro. Lo chiarisce lo staff della Regione Campania dopo l’ordinanza emessa oggi dal governatore Vincenzo De Luca che prevede norme molto restrittive per chi non rispetta le disposizioni previste per l’emergenza coronavirus. L’attività sportiva era prevista nel decreto del presidente del consiglio dell’11 marzo. restiamo in attesa di chiarimenti ufficiali al  provvedimento

 

DOMANDA: ma allora  nei distributori le stazioni di servizio possono stare aperti ?

RISPOSTA: in regione Campania prima con ordinanza n. 13 e poi con chiarimento il Governatore ha precisato che possono stare aperti i servizi di ristorazione all’interno delle aree di servizio sulla rete autostradale

DOMANDA: Comandante scusatemi in un panificio che fa anche dolci ritiene che può continuare a fare i dolci.. E una attività che ha cucina e fa preparati da asporto tipo Famosa Leonessa o alcune macellerie possono continuare a fare il cucinato.. Sono quelle attività ibride. Il mio pensiero è che devono interrompere il cucinato e continuare l altra attività macelleria o quanto altro

RISPOSTA: Il Decreto stabilisce che i prodotti alimentari possono essere venduti, senza precisare se cotti o crudi; pertanto ritengo che sia il macellaio ne il panificatore possono continuare la loro attività.
Inoltre aggiungo che gli esercizi commerciali di prodotti alimentari possono anche consegnare i prodotti in vendita al domicilio del consumatore, come stabilito dal Presidente De Luca con ordinanza m.13 del 12 marzo.

Chiarimento n.2 del 12 marzo 2020.
Con riferimento all’ Ordinanza n. 13 del 12/3/2020 (chiarimento-n-2 ordinanza 13 REGIONE CAMPANIA Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19- . Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 e dell’art.50 del TUEL), si forniscono i seguenti chiarimenti:
a) il divieto di cui al comma 1.1. (“Sono vietate le attività dei servizi di ristorazione, fra cui
bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie. I relativi esercizi sono temporaneamente chiusi,
fino alla data 25 marzo 2020”) si riferisce a tutti gli esercizi commerciali contemplati, ivi
compresi quelli posti all’interno di aree di servizio e rifornimento carburante situati
lungo la rete stradale, autostradale e all’interno delle stazioni ferroviarie,
aeroportuali, lacustri e negli ospedali;
b) il divieto di cui al comma 1.5. (“E’ vietato lo svolgimento di fiere e mercati per la vendita
al dettaglio, anche relativi ai generi alimentari”) si riferisce a tutti i mercati per la vendita
al dettaglio, anche coperti;
c) l’ordinanza in questione, come le precedenti, non contiene norme applicabili alle attività di
gommista, elettrauto, carrozziere, meccanico e simili, che pertanto non risultano sospese,
salva la necessaria adozione di ogni misura precauzionale, a tutela degli utenti e dei
dipendenti.

Chiarimenti ANCI CAMPANIA ORDINANZA N. 12 -14

ORDINANZE 13 E 14 CON I CHIARIMENTI SUCCESSIVI.pdf.pdf.pdf.pdf.pdf
1) Vietate le attività di ristorazione che riguardano bar, pub, ristoranti e pasticcerie. Gli esercizi devono
restare chiusi.
2) I supermercati e gli esercizi di vendita di beni di prima necessità restano aperti. E sono autorizzati a
effettuare consegne a domicilio ma soltanto di prodotti confezionati e consegnato da parte di personale
protetto con appositi DPI.
3) E’ responsabilità dei Comuni e dei Piani Sociali di Zona garantire l’assistenza di cittadini indigenti e/o soli.
Consentite, con l’obbligo di tutte le solite misure precauzionali, le attività del terzo settore che si occupano di
assistenza agli indigenti e le attività di volontariato che prevedono l’aiuto alimentare e farmaceutico.
4) Gli esercizi, nei cui locali si svolgo attività miste (bar, tabacchi, sala giochi etc) sono autorizzati a
svolgere esclusivamente le attività consentite dal DPCM 11 marzo e hanno quindi obbligo di sospensione
immediata di attività vietate quali bar, video-giochi, scommesse.
5) E’ vietato lo svolgimento di fiere e mercati al dettaglio, anche relativi ai generi alimentari.
6) E’ vietato frequentare parchi urbani e ville comunali, le cui porte o varchi di accesso devono essere
chiusi.
7) Vietato l’uso degli impianti sportivi di qualsiasi genere, con la sola eccezione delle sedute di
allenamento di atleti professionisti
8) Il mancato rispetto degli obblighi di cui sopra è punito ai sensi dell’art. 650 c.p.
Con l’Ordinanza n. 14 poi la Regione ha ridotto del 50% il Trasporto pubblico locale fino al 15 marzo
Con riferimento all ’Ordinanza n. 13 si forniscono i seguenti chiarimenti:
a) il divieto di cui al comma 1.1. (“Sono vietate le attività dei servizi di ristorazione, fra cui bar, pub, ristoranti,
gelaterie, pasticcerie. I relativi esercizi sono temporaneamente chiusi, fino alla data 25 marzo 2020”) si
riferisce a tutti gli esercizi commerciali contemplati, ivi compresi quelli posti all’interno di aree di servizio
e rifornimento carburante situati lungo la rete stradale, autostradale e all’interno delle stazioni
ferroviarie, aeroportuali, lacustri e negli ospedali;
b) il divieto di cui al comma 1.5. (“E’ vietato lo svolgimento di fiere e mercati per la vendita al dettaglio, anche
relativi ai generi alimentari”) si riferisce a tutti i mercati per la vendita al dettaglio, anche coperti;
c) l’ordinanza in questione, come le precedenti, non contiene norme applicabili alle attività di gommista,
elettrauto, carrozziere, meccanico e simili, che pertanto non risultano sospese, salva la necessaria adozione
di ogni misura precauzionale, a tutela degli utenti e dei dipendenti.

DPCM 11 marzo – Note al testo

Con nuovo Decreto del 11 marzo il Presidente del Consiglio Conte ha impartito nuove e più stringenti disposizioni per la lotta alla infezione da COVID 19, in vigore fino al 25 marzo.

In particolare, all’art. 1 ha disposto che:

1.a) sono sospese tutte le attività commerciali di vendita al dettaglio, fatta eccezione per la vendita di generi alimentari e di prima necessità individuati nell’allegato 1, posti in vendita sia negli esercizi commerciali di vicinato, sia nella media e grande distribuzione, anche ricompresi nei centri commerciali, purché sia limitato l’accesso alle sole predette attività (chiudendo gli altri reparti che commercializzano i prodotti vietati);

1.b) dovranno restare chiusi i mercati, indipendentemente dalla tipologia di attività che viene svolta, mentre può essere effettuata l’attività di vendita di soli generi alimentari;

1.c) possono restare aperte le edicole, i tabaccai, le farmacie e le parafarmacie a condizione che sia garantita la distanza di sicurezza interpersonale di un metro.

2.a) Sono sospese tutte le attività di ristorazione quali bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie, con esclusione delle mense e del catering aziendale, a condizione che sia garantita la distanza di sicurezza interpersonale di un metro;

2.b) E’ consentita la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico sanitarie sia per il confezionamento che il trasporto.

A questo proposito, si precisa che per la Campania tale punto non troverà attuazione perchè il Presidente De Luca con la sua precedente ordinanza n. 11 aveva vietato tale attività e già questa sera, con un post sul suo profilo facebook, ha confermato tale divieto.

2.c) E’ consentita l’apertura degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande nelle aree di servizio e rifornimento carburante lungo la rete stradale, autostradale e all’interno delle stazioni ferroviarie, aeroportuali, lacustri e negli ospedali a condizione che sia garantita la distanza di sicurezza interpersonale di un metro.

3.a) Sono sospese le attività relative ai servizi alla persona quali parrucchieri, barbieri, estetisti;

3.b) sono consentite le attività di lavanderia e pulitura di articoli tessili e pelliccia, lavanderie industriali, altre lavanderie, tintorie, servizi di pompe funebri e attività connesse, tutte individuate nell’allegato 2.

4.a) Potranno restare aperti, nel rispetto delle norme igienico sanitarie, i servizi bancari, finanziari, assicurativi nonché l’attività del settore agricolo, zootecnico di trasformazione agro alimentare comprese le filiere che ne forniscono beni e servizi quali caseifici e altre trasformazioni agro alimentari (la mozzarella è salva !!!).

5.a) I Presidenti di Regione con propria ordinanza, ex articolo 3, comma 2, del .D L. 23

febbraio 2020, n. 6, potranno programmare il servizio di erogazione del Trasporto pubblico locale, anche non di linea.

In buona sostanza, moltissimi esercizi commerciali potranno restare aperti con la esclusione del settore abbigliamento e calzaturiero, mentre non è stato vietato neanche il commercio a mezzo internet.

Di seguito le attività ricomprese nell’allegato 1, che non sono soggette a chiusura:

Ipermercati; Supermercati; Discount di alimentari; Minimercati ed altri esercizi non specializzati di alimentari vari;

Commercio al dettaglio di prodotti surgelati;

Commercio al dettaglio in esercizi non specializzati di computer, periferiche, attrezzature per le telecomunicazioni, elettronica di consumo audio e video, elettrodomestici

Commercio al dettaglio di prodotti alimentari, bevande e tabacco in esercizi specializzati (codici ateco: 47.2)

Commercio al dettaglio di carburante per autotrazione in esercizi specializzati

Commercio al dettaglio apparecchiature informatiche e per le telecomunicazioni (ICT) in

esercizi specializzati (codice ateco: 47.4)

Commercio al dettaglio di ferramenta, vernici, vetro piano e materiale elettrico e termoidraulico

Commercio al dettaglio di articoli igienico – sanitari

Commercio al dettaglio di articoli per l’illuminazione

Commercio al dettaglio di giornali, riviste e periodici

Farmacie

Commercio al dettaglio in altri esercizi specializzati di medicinali non soggetti a prescrizione medica

Commercio al dettaglio di articoli medicali e ortopedici in esercizi specializzati

Commercio al dettaglio di articoli di profumeria, prodotti per toletta e per l’igiene personale

Commercio al dettaglio di piccoli animali domestici

Commercio al dettaglio di materiale per ottica e fotografia

Commercio al dettaglio di combustibile per uso domestico e per riscaldamento

Commercio al dettaglio di saponi, detersivi, prodotti per la lucidatura e affini

Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato via internet

Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato per televisione

Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto per corrispondenza, radio, telefono

Commercio effettuato per mezzo di distributori automatici.

Di seguito il commento del Presidente della Regione Campania al DPCM

CHIARIMENTI ORDINANZA NUMERO 12 DEL PRESIDENTE DELLA REGIONE CAMPANIA: Con nuova ordinanza n. 12 del 11 marzo il Presidente della Regione De Luca ha disposto che con decorrenza immediata e fino al 3 aprile è vietato lo svolgimento dei mercati anche rionali e settimanali e delle fiere di qualsiasi genere.
Questo potrebbe essere il testo della nota a chiarimento:
Premesso che con ordinanza n.12 del 11 marzo è stata disposta la chiusura dei mercati anche rionali e settimanali;
considerato che nulla è stato disposto in ordine ai mercati generali all’ingrosso di prodotti alimentari, ne in ordine agli esercizi commerciali abilitati con propria autorizzazione che sono posti all’interno delle aree mercatali;
ritenuto che non è possibile disporre la chiusura di tali mercati generali perché gli esercizi commerciali di prodotti alimentari non potrebbero essere più riforniti con grave pregiudizio per tutta la collettività;
a chiarimento della citata ordinanza si precisa che:
Sono esclusi dal divieto di svolgimento i mercati generali all’ingrosso di prodotti alimentari e gli esercizi commerciali, in possesso di propria autorizzazione amministrativa, esistenti all’interno delle aree e strutture mercatali.
La Regione Campania poco fa ha diramato un comunicato e precisa che l’ordinanza n.12 di chiusura dei mercati non si applica ai mercati di vendita all’ingrosso. CLICCA PER VEDERE NOTA DI CHIARIMENTO ordinanza 12 chiarimenti

risposte dopo l’Ordinanza  n. 11 del 10/03/2020

Domanda: per i mercati in Campania a che stiamo ?

Risposta: Con nuova ordinanza n. 12 del 11 marzo il Presidente della Regione De Luca ha disposto che con decorrenza immediata e fino al 3 aprile è vietato lo svolgimento dei mercati anche rionali e settimanali e delle fiere di qualsiasi genere.

Domanda: e adesso che si fa per le pizzerie:?

Risposta: Con nuova ordinanza n. 11 del 10 marzo il Presidente della Regione De Luca ha disposto che le attività di bar e ristorazione dovranno cessare completamente ogni attività, senza poter svolgere neanche la vendita per asporto o la consegna al domicilio dei consumatori.
Con questo provvedimento è stata definitivamente posta fine a qualsiasi interpretazione: quindi chiusura totale alle ore 18.

RISPOSTE DOPO IL DPCM 09/03/2020 E ORDINANZA PRESIDENTE REGIONE CAMPANIA 10 DEL DEL 09/03/2020

domanda: quali obblighi ci sono per le  Pizzeria e  ristorazione?

Risposta: In ordine all’attività di somministrazione di bar, ristoranti e simili, nonché alla vendita per asporto operata dagli artigiani alimentaristi (pizzerie, kebab, cornetterie, gelaterie e simili) si precisa quanto segue:
Il Dpcm dell’8 marzo , all’articolo 1, comma 1, lett. n), ha stabilito che sono consentite le attività di ristorazione e bar dalle ore 6 alle 18 con distanza di sicurezza di almeno 1 metro tra gli avventori in tali orari. Ciò premesso, si ritiene che che dopo le ore 18non si deve effettuare attività di somministrazione, ma possa essere consentita la vendita per asporto o al domicilio del consumatore, evitando tassativamente il consumo sul posto, pena la denuncia ex art 650.

domanda agli artigiani che hanno il consumo sul posto di alimenti ?

Risposta: In ordine agli artigiani alimentaristi si precisa che:
Nel predetto Dpcm dell’8 marzo la lett. n) fa riferimento a ristorazione e bar, mentre per le attività artigianali di alimenti da asporto (pizzerie, kebab, cornetterei, gelaterie etc.) si applica la lettera o) del decreto, con ingressi contingentati e distanza di 1 metro tra gli avventori.
Ovviamente occorre diffidare tutti questi servizi artigianali a non effettuare somministrazione e rimuovere tavoli, sedie, sgabelli, stoviglie e altre suppellettili che potrebbero dar luogo al consumo sul posto, anche in questo caso pena la denuncia ex art 650 CP e chiusura del locale.
Infine, a livello regionale, si precisa che in data odierna il Presidente De Luca, oltre ai precedenti divieti, con nuova ordinanza n. 10 del 10 marzo ha stabilito la Chiusura anche per barbieri, parrucchieri ed estetisti

 

Domanda: come ci si deve comportare per il rispetto del dpcm del 8 marzo che prevede la chiusura dei PUB?

RISPOSTA: in merito al discorso dei Pub, si conviene  il termine Pub nella legge non esiste e quindi non possiamo individuare tale tipologia di esercizio in modo diverso da quelli di somministrazione. ( chi ha scritto il decreto avrebbe dovuto fare un breve corso di formazione in materia).
Detto ciò, ritengo che nella ordinanza sindacale conviene attenersi solo agli esercizi di somministrazione ed i relativi obblighi di distanza di almeno un metro, tralasciando del tutto la tipologia di pub.

Domanda:Comandante le chiedo scusa nell’ordinanza numero 8 dell’ 8 marzo 2020 del Presidente della Regione Campania si parla di chiusura dei centri di benessere. Per quanto riguarda i centri estetici che non vengono richiamati credo che comunque devono restare chiusi ? Grazie.

Risposta:I centri estetici, parrucchieri e simili sono strutture artigianali e non sono soggetti a chiusura, ma solo al rispetto delle norme sull’affollamento e le distanze tra le persone, oltre al rispetto delle norme sanitarie per i servizi, spogliatoi, attrezzature e simili.
Mentre devono stare chiusi i centri benessere quali ad esempio le SPA sia nelle strutture private che in quelle ricettive alberghiere.

ndr le risposte precedenti sono state fornite prima  del DPCM 8 MARZO 2020 E DELL’ORDINANZA DELLA REGIONE CAMPANIA N. 8 DEL 8 MARZO 2020 che prevede espressamente la chiusura di piscine palestre e centri benessere

 

Domanda:Buonasera Comandante potreste gentilmente chiarirci quali sono le sanzioni previste in caso di inottemperanza dell’ordinanza di De Luca? In giro sul web ho letto che è prevista la chiusura dell’attività e la revoca dell’autorizzazione. È così? Potreste gentilmente aiutarci a capire cosa fare nel concreto in caso di inottemperanza?

Risposta: Nel momento in cui si accerta la violazione dovrai anche far cessare l’attività e, quindi, lo farai chiudere. Il titolare Dovrà essere denunciato per violazione art 650 CP.
L’ordinanza del Presidente DeLuca è stata emessa ai sensi dell’art 50 del Tuell e quindi la violazione dovrà essere punita dall’art 650 CP.
Ritengo che non si possa procedere alla revoca della autorizzazione, anche perché nessuna normativa ha previsto tale tipo di sanzione accessoria.
semmai si potrà procedere al sequestro penale dell’esercizio ai sensi dell’art 321 CP P. per evitare che il reato possa essere continuato.

Domanda:Ma la piscina secondo voi può rimanere aperta???

Risposta:Credo di sì; ovviamente dovranno essere adottate misure igienico sanitarie per i servizi, spogliatoi ed altre attrezzature, rispettando la distanza tra gli utenti;

Domanda:Alla luce di quanto chiaramente spiegato poc’anzi, cosa ne pensi delle palestre, ossia di quei luoghi frequentati anche da bambini per attività di allenamento Altrimenti, che senso avrebbe avuto chiudere le scuole ed annullare eventi sportivi

Risposta:Come già detto ad altro collega per il problema delle piscine, Credo che possono restare aperte, ovviamente dovranno essere adottate misure igienico sanitarie per i servizi, docce, spogliatoi ed altre attrezzature, disponendo che gli utenti rispettino tra loro la distanza prevista dal Decreto governativo, senza accalcarsi nelle sale e nei predetti locali; NDR PER I LUOGHI FREQUENTATI DA BAMBINI VEDASI LA circolare-n.-15 della Tak force Anci Campania

Chiusura discoteche ed altri luoghi di ritrovo in Campania fino al 15 marzo. ord-n-7 del -06-03-2020

Stando ad una rigida interpretazione del provvedimento, ritengo che che sono vietati tutti i luoghi e locali in cui non è possibile garantire la distanza stabilita di almeno un metro tra gli utenti. Ad esempio i tavolini dove si siedono i ragazzi gli uni sugli altri.
Quindi bar aperti per il consumo immediato al banco o, al limite, al tavolo purché avventori distanziati e senza la calca tipica dei baretti. Lo stesso vale per la somministrazione di alimenti ai tavoli (ristoranti, pizzerie etc.). Come già detto, per i mercati, se non sono particolarmente affollati (tipo la zona dei pastori-S. Gregorio Armeno a Napoli) non penserei ad una sospensione di tale attività, a meno che il prefetto o la Asl non dispongano diversamente.

Domanda: Vale anche per i circhi? É le processioni?

Risposta:Per i circhi sicuramente, mentre per le processioni, che si svolgono all’aperto e in forma dinamica lungo le strade, penso di no.

Domanda: :Ma ritenete opportuno fare un’ordinanza del sindaco per bar, ristoranti, etc… oppure, sulla base del decreto, la polizia locale va e controllo direttamente?

Risposta: Sarebbe opportuna una ordinanza del sindaco ex art 50 Tuell che, richiamando sia l’ordinanza regionale che il DPCM governativo, renda noti tutti i divieti e le limitazioni imposte a tutela della salute pubblica, avvisando che i trasgressori saranno denunciati ai sensi dell’art 650 CP.

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Quesito: condizioni di ammissibilità del cumulo giuridico per violazioni stradali plurime.

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Quesito per passiamo: la risposta!
Risposta ai quesiti posti dai lettori

Quesito: condizioni di ammissibilità del cumulo giuridico per violazioni stradali plurime.

Con una certa frequenza, i giudici di pace ammettono il cumulo giuridico per violazioni plurime commesse da conducenti, anche in tempi diversi, facendo una lettura contro testuale rispetto al testo dell’art.198 del codice della strada. Quest’atteggiamento giurisprudenziale è abbastanza insolito e suscita qualche perplessità, anche perché, ad esempio, per i casi considerati dall’articolo 7 comma 14 del codice della strada (transiti plurimi in corsia preferenziale da parte di veicoli non autorizzati), si rischiano di invalidare centinaia di violazioni e di rimetterci diverse centinaia di euro di spese di notifica. Come si può difendere il principio del cumulo materiale?

RISPOSTA
Il quesito scuote problemi importanti; da una parte c’è una norma (art. 198 comma 1: “Salvo che sia diversamente stabilito dalla legge, chi con una azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative pecuniarie, o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave aumentata fino al triplo”) che –nata in un’epoca storica nella quale l’accertamento elettronico delle violazioni non esisteva- induce ad un rigore coerente con l’articolo 8 della L.689/1981. Dall’altra parte c’è il fatto che il presidio di alcune violazioni da parte di infallibili strumenti di rilevazione delle violazioni rende parossistica la questione delle tante sanzioni che si “ammucchiano” ben prima che la prima di esse sia pervenuta alla conoscenza del trasgressore, così rendendo priva di ogni ragionevolezza e sostanzialmente ingiusta una previsione tanto rigorosa (ancora più ingiusta poi appare la previsione del comma 2 dell’articolo 198, secondo cui: “In deroga a quanto disposto nel comma 1, nell’ambito delle aree pedonali urbane e nelle zone a traffico limitato, il trasgressore ai divieti di accesso e agli altri singoli obblighi e divieti o limitazioni soggiace alle sanzioni previste per ogni singola violazione”).
Indipendentemente dalle considerazioni che si possono fare sulla necessità di rivedere il rapporto tra violazioni seriali accertate con strumenti automatici e principio del cumulo materiale, dobbiamo ragionare sulle norme esistenti e comunque difendere il principio del cumulo materiale delle sanzioni, quante volte le azioni o omissioni siano separate e distinguibili tra loro.
In tal senso, in sede giudiziaria, non v’è dubbio che il principio va difeso. Tuttavia l’onestà intellettuale impone anche di dare atto del fatto che l’opinione dei giudici di pace è penetrata anche in Cassazione, sebbene in un’isolata circostanza.
Cass. civ. Sez. II, con ordinanza del 11-09-2018, n. 22028, ha cassato con rinvio (e rimesso ad altro giudice per l’applicazione del principio) la sentenza del Tribunale di Milano che, seguendo la teoria della difesa comunale, aveva annullato quella pronuncia del Giudice di pace che aveva applicato il cumulo giuridico ad un centinaio di sanzioni contestate a vari veicoli di un’azienda d vigilanza privata, che, in tempi diversi, avevano percorso alcune corsie riservate ai mezzi pubblici.
Il ragionamento della Cassazione, a mio giudizio, è debole, ma è pur sempre “Cassazione”: “Si è già detto che l’istituto del cumulo giuridico tra sanzioni è applicabile alla sola ipotesi di concorso formale (omogeneo o eterogeneo) tra le violazioni contestate – per le sole ipotesi, cioè, di violazioni plurime commesse con un’unica azione od omissione – non essendo per converso invocabile con riferimento alla diversa ipotesi di concorso materiale, cioè, tra violazioni commesse con più azioni od omissioni. In tal caso non può invocarsi neppure l’art. 81 c.p. in tema di continuazione tra reati, sia perchè la L. n. 689 del 1981, art. 8 prevede espressamente tale possibilità soltanto per le violazioni in materia di previdenza e assistenza, sia perchè la differenza morfologica tra illecito penale ed illecito amministrativo non consente che, attraverso un procedimento di integrazione analogica, le norme di favore previste in materia penale vengano tout court estese alla materia degli illeciti amministrativi. Pertanto, qualora sulla base della pluralità oggettiva delle condotte poste in essere dal trasgressore si individui una fattispecie di concorso materiale, ne consegue l’applicazione della regola del c.d. cumulo materiale e, quindi, quod poenam, delle sanzioni previste per ogni singola violazione (Cass. 3.5.2017, n. 10775; Cass. s.u., 28.7.2016, n. 15669). Nel caso in esame, il Tribunale, ritenuto che si fosse in presenza di una pluralità di condotte autonome, ha ritenuto legittima l’irrogazione di un numero di sanzioni pari alle violazioni contestate, considerando anche il disposto del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 198, comma 2, (che concerne, tuttavia, le ipotesi di concorso formale di violazioni ai divieti di accesso nelle aree pedonali urbane e nelle zone a traffico limitato, disponendo che il trasgressore soggiace, anche in tal caso, alla sanzione prevista per ogni singola violazione). Per stabilire l’autonoma delle singole condotte illecite, il giudice di merito ha dato rilievo al fatto che esse risultavano commesse in luoghi e tempi diversi, con vetture diverse ed in orari diversi ma, nel valutare il dato cronologico, non ha però tenuto conto che, nei casi segnalati dall’istituto ricorrente, i verbali evidenziavano che talune infrazioni erano state commesse dal medesimo veicolo, sullo stesso tratto stradale ed inoltre erano state consumate entro un intervallo temporale ridottissimo (di pochi secondi o di qualche minuto). L’errore in diritto è in cui è incorsa la sentenza è, quindi, consistito nell’aver ritenuto che le suddette condotte dessero luogo a violazioni autonome per il solo fatto di esser state consumate ad orari diversi, trascurando di considerare che ad ogni accertamento non deve necessariamente corrispondere una contravvenzione, in particolare ove trattasi di condotte poste in essere sulla stessa strada entro un brevissimo lasso temporale, stante il carattere di durata e quindi unitario, delle predette condotte illecite (cfr., testualmente, Corte cost. 26.1.2007, n. 14). Nei casi indicati non poteva escludersi aprioristicamente la configurabilità di un’unica condotta e di una sola violazione, ma occorreva valutare se il tempo intercorso tra le singole condotte illecite fosse sufficiente per dar luogo a più azioni autonome, dovendosi altrimenti applicare una sola sanzione e non più sanzioni autonome, tra di esse cumulate”.
Insomma, un principio che non mi entusiasma, ma sicuramente un temperamento, nel senso della giustizia sostanziale, norme che, alla luce dell’accertamento elettronico, meritano un temperamento.

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Opposizione alla “cartella” e termini diversi a seconda del vizio.

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Opposizione alla “cartella” e termini diversi a seconda del vizio.

La Suprema Corte continua a fornire importanti precisazioni in materia di differenza tra i giudizi di opposizione all’esecuzione ed i giudizi recuperatori; ciò in quanto, a seconda del tipo di vizio che si intende far valere, corrono termini e preclusioni differenti.

Così, recentemente, la Cassazione civile, Sezione II, con Ordinanza del 04-09-2019, n. 22094 ha rimarcato che: può quindi, a corredo del superiore principio posto dalle S.U. con la richiamata decisione n. 22080/2017, affermarsi il seguente ulteriore principio di diritto: “Qualora il ricorrente, con l’opposizione cd. recuperatoria al verbale di contestazione dell’infrazione al Codice della Strada proponga anche censure relative alla cartella esattoria o comunque concernenti fatti verificatisi successivamente al predetto verbale, le stesse – pur potendo essere in concreto formulate con un unico atto di opposizione – soggiacciono tuttavia ai termini previsti dagli artt. 615 e 617 c.p.c.. Di conseguenza, i vizi afferenti il procedimento di notificazione della cartella di pagamento possono essere esaminati soltanto a condizione che il ricorso sia stato proposto nel termine di 20 giorni dalla notificazione della cartella medesima, mentre l’eccezione di prescrizione della pretesa sanzionatoria può essere fatta valere senza termine, in quanto trattasi di censura inquadrabile nell’ambito dell’art. 615 c.p.c.”.

Chi difende le Amministrazioni deve ricordarselo questo tema; si vince e si perde più per il rito che per il merito.

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CONCORSO DI SANZIONI NELLA GUIDA PERICOLOSA.

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In tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme sulla circolazione stradale, l’effettuazione di una manovra di sorpasso in prossimità di una curva con l’invasione dell’opposta corsia di marcia realizza al contempo sia la fattispecie del sorpasso vietato sia quella della circolazione contromano, non sussistendo tra le due violazioni un rapporto di specialità bensì di concorso formale, stante la diversa “ratio” degli artt. 143 e 148 del codice della strada (Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 22/01/2019, n. 1683).

Questa recente affermazione della Suprema Corte riveste un particolare interesse, per gli appassionati di sistemi sanzionatori e di circolazione stradale, al contempo costituendo materia meritevole di insegnamento nelle “scuola guida”.

La differenza ontologica tra le due condotte consumate con la medesima azione, quale parametro di esclusione del principio di specialità, resta concetto complesso per le stesse corti superiori, Ne deriva che l’operatore di Polizia Stradale deve dare peso concreto alla effettiva consumazione di due condotte illecite e punire due volte lo stesso fatto, nei termini qui sopra indicati.

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“Prestare particolare attenzione vuoi dire che”…. responsabilità ed art. 140 CdS.

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Il combinato disposto degli artt. 140, comma 1, e 191, comma 3, del CODICE DELLA STRADA , impone al conducente di uno scuolabus di non riprendere la marcia, dopo aver fatto discendere i passeggeri, sino a quando questi ultimi non si siano portati a debita distanza dal mezzo, ovvero non si trovino in condizioni di non interferenza con le manovre di esso.

Insomma, con una pronuncia recente, si ricorda che i conducenti professionali devono serbare specialissima attenzione per i pedoni (Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 18/01/2018, n. 1106).

Più in dettaglio, secondo la Corte: ” La regola principale cui ogni conducente deve attenersi è quella della salvaguardia dell’incolumità propria ed altrui, dettata dall’art. 140 C.d.S., comma 1. Tale norma stabilisce che gli utenti della strada devono sempre “comportarsi in modo da non costituire pericolo (…) per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale”. “In ogni caso” vuol dire che su qualsiasi altra esigenza (di circolazione, di celerità, di efficienza d’un servizio), prevale per la nostra legge sempre e comunque la salvaguardia dell’incolumità delle persone. Il successivo art. 191 C.d.S., comma 3, fin dal testo originario nel disciplinare la condotta dei conducenti rispetto ai pedoni, stabilisce che “i conducenti….devono comunque prevenire situazioni di pericolo che possano derivare da comportamenti scorretti o maldestri di bambini o di anziani, quando sia ragionevole prevederli in relazione alla situazione di fatto”. Anche in questo caso la norma detta una prescrizione che non ammette deroghe. Ora, sarebbe evidentemente assurda un’interpretazione del combinato disposto di queste due norme che portasse alla seguente conclusione: che il conducente di un veicolo a motore debba sorvegliare la strada dinanzi a sè, ma possa disinteressarsi dei pedoni che si trovino accanto e dietro il suo veicolo, anche quando sia possibile avvistarli con l’ordinaria diligenza e tanto più quando debba ripartire dopo averli fatti scendere dal veicolo condotto. Una interpretazione di questo tipo, infatti, sarebbe incoerente con lo scopo della legge, che per quanto detto è garantire nel massimo grado possibile l’incolumità degli utenti della strada. Le due norme appena ricordate vanno dunque lette nel loro insieme, e nel loro insieme esse esprimono un concetto molto semplice: poichè chi guida un autobus può provocare danni a chi circola a piedi, deve prestare particolare attenzione nella guida, in ragione dell’intrinseca pericolosità dell’attività svolta. “Prestare particolare attenzione” vuoi dire che il conducente di un veicolo a motore, massimamente quando si tratti di veicoli di ingombranti dimensioni come gli autobus, prima di eseguire qualsiasi manovra deve accertarsi non solo che nel raggio d’azione del mezzo non vi siano pedoni, ma anche che non possano ragionevolmente entrarvi od interferirvi. Il conducente di un mezzo di ingombranti dimensioni, dunque, ha l’obbligo di non iniziare o proseguire alcuna manovra, quando avvisti intorno a sè pedoni che tardino a scansarsi, e che possano teoricamente interferire coi movimenti del mezzo. Questa è la regola di condotta che risulta dal combinato disposto dell’art. 140 C.d.S., comma 1, e art. 191 C.d.S., comma 4.

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Il decreto sicurezza. il nuovo libro di Fabio Piccioni e Sergio Bedessi

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Nuove norme in materia di circolazione stradale, sicurezza urbana, immigrazione e polizia locale

IL DECRETO SICUREZZA

Autori:
Sergio Bedessi – Fabio Piccioni

La novella apportata dal D.L. 113/2018, convertito con modifiche nella L. 132/2018 – che prevede una riforma di circa 30 provvedimenti legislativi e regolamentari – si articola in tre parti (cui corrispondono altrettanti titoli) in materia di

–         immigrazione,

–         sicurezza pubblica,

–         organizzazione dell’amministrazione civile del Ministero dell’interno e dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati o confiscati alla criminalità organizzata,

cui si aggiunge il titolo IV recante disposizioni finanziarie e finali.

Il commentario intende apprestare uno strumento informativo volto a favorire l’impatto dei nuovi congegni giuridici con la realtà concreta.

Il testo procede con l’analisi e la descrizione della normativa, nel tentativo di prefigurare le ricadute derivanti dall’impatto delle nuove disposizioni nel tessuto normativo del sistema e a porre in evidenza la peculiarità delle singole scansioni, al fine di individuare i problemi esegetici offerti alla riflessione letteraria e giurisprudenziale.

L’obiettivo è quello di illustrare le numerose novità proposte, offrendo un primo esame delle disposizioni di maggior interesse nel percorso a ostacoli dovuto al doppio binario tra procedimento amministrativo e diritto penale, interno e comunitario. 

Avv. Fabio Piccioni
Dr. Sergio Bedessi
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E’ legittima l’ordinanza del Sindaco che introduce una disciplina restrittiva degli orari di funzionamento degli apparecchi di intrattenimento e svago con vincita in denaro.

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E’ legittima l’ordinanza del Sindaco che introduce una disciplina restrittiva degli orari di funzionamento degli apparecchi di intrattenimento e svago con vincita in denaro.

E’ legittima l’ordinanza del Sindaco che introduce una disciplina restrittiva degli orari di funzionamento degli apparecchi di intrattenimento e svago con vincita in denaro,  di cui all’art. 110, comma 6, del T.U.L.P.S., installati in sale ed esercizi autorizzati ex artt. 86 e 88 del T.U.L.P.S.

Ha avuto ragione la sindaca Virginia Raggi, quando ha disposto che l’orario di funzionamento degli apparecchi di intrattenimento e svago con vincita in denaro -di cui all’art. 110, comma 6, del T.U.L.P.S.ovunque collocati nelle sale gioco e/o nelle altre tipologie di esercizi autorizzati ai sensi degli artt. 86 e 88 T.U.L.P.S.- dovesse essere contenuto nella seguente fascia oraria: dalle ore 9,00 alle ore 12,00 e dalle ore 18,00 alle ore 23,00 di tutti i giorni, festivi compresi.

Il T.A.R. Lazio (Roma Sez. II), con sentenza del 21/01/2019, n. 750, ha statuito la legittimità del provvedimento della Sindaca di Roma che decisamente minacciava gli interessi della lobby del gioco d’azzardo legalizzato.  Orari, quelli fissati in ordinanza, peraltro del tutto ragionevoli, ma comunque invisi a chi sa che chi è affetto dalle patologie correlate al gioco compulsivo, non conosce orari né ragione ed è disposto a giocare anche tutta la notte.

Interessante l’impianto sanzionatorio dell’ordinanza “… in caso di mancato rispetto dei predetti orari le violazioni saranno punite con la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 7 bis comma 1 bis del D.Lgs. n. 267 del 2000 del pagamento di una somma da Euro 150,00 ad Euro 450,00, da applicare secondo i principi di cui alla L. n. 689 del 1981, nonché in caso di recidiva con l’applicazione, ai sensi degli artt. 9 e 10 del TULPS, per un periodo non superiore a cinque giorni, della sanzione accessoria della sospensione del funzionamento di tutti gli apparecchi di intrattenimento e svago con vincita in denaro, di cui all’art. 110, comma 6, del TULPS, collocati nel locale o nel punto di vendita di gioco, autorizzato ex artt. 86 e 88 del TULPS”.

La decisione amministrativa non affonda, peraltro, le sue radici in strumenti nuovi, ma rievoca vecchie e validissime norme: “ordinanza, ai sensi dell’art. 50, comma 7, del D.Lgs. n. 267 del 2000”, abilitata (con un interessante percorso di ricostruzione delle fonti dell’Ordinamento locale) dal “Regolamento sale da gioco e giochi leciti, approvato con Delib. n. 31 del 2017, e, in particolare, del suo articolo 12”.

Il TAR Lazio, così conferma che non è vero che l’ordinanza di cui al comma 7 del TUEELL fosse stata di fatto eliminata dall’ordinamento dalla liberalizzazione, e che –se si ragiona con prudenza- lo strumento in parola ancora conserva una grandissima efficacia.

Interessante il percorso di approfondimento che i giudici capitolini articolano sulla questione della ultravigenza dell’ordinanza di cui a comma 7 dell’articolo 50 del TUEELL:

“L’art. 50, comma 7, del T.U. Enti locali nell’elencare le competenze del Sindaco prevede che: “Il sindaco, altresì, coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell’ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici”.

La Corte Costituzionale, investita della questione della legittimità costituzionale (sollevata dal T.a.r. Piemonte) – con riferimento agli artt. 32 e 118 della Costituzione – degli artt. 42 e 50, comma 7, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, nonché dell’art. 31, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della L. 22 dicembre 2011, n. 241, nella parte in cui tali disposizioni non prevedono la competenza dei Comuni ad adottare atti normativi e provvedimentali volti a limitare l’uso degli apparecchi da gioco di cui al comma 6 dell’art. 110 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, in ogni esercizio a ciò autorizzato ai sensi dell’art. 86 dello stesso R.D. n. 773 del 1931, con sentenza n. 220 del 9 luglio 2014, ha affermato che “in forza della generale previsione dell’art. 50, comma 7, del D.Lgs. n. 267 del 2000 – il Sindaco può disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali siano installate apparecchiature per il gioco e che ciò può fare per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica, ovvero della circolazione stradale” e che “il potere di limitare la distribuzione sul territorio delle sale da gioco attraverso l’imposizione di distanze minime rispetto ai cosiddetti luoghi sensibili, potrebbe altresì essere ricondotto alla potestà degli Enti Locali in materia di pianificazione e governo del territorio, rispetto alla quale la Costituzione e la legge ordinaria conferiscono al Comune le relative funzioni”.

Ancora la Corte Costituzionale, con la sentenza 11 maggio 2017, n. 108, investita della questione di legittimità costituzionale, con riferimento all’art. 117, commi 2, lett. h) e 3, della Costituzione, dell’art. 7 della legge regionale della Puglia 13 dicembre 2013, n. 43 (recante “Contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico GAP”), nella parte in cui vieta il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio di sale da gioco e all’installazione di apparecchi da gioco nel caso di ubicazione a distanza inferiore a cinquecento metri pedonali dai cosiddetti luoghi sensibili ivi indicati, ha, tra l’altro, evidenziato che “…il legislatore pugliese non è intervenuto per contrastare il gioco illegale, né per disciplinare direttamente le modalità di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco leciti e nemmeno per individuare i giochi leciti: aspetti che – come posto in evidenza dalle citate sentenze n. 72 del 2010 e n. 237 del 2006 – ricadono nell’ambito della materia “ordine pubblico e sicurezza”, la quale attiene alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso quale “complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi primari sui quali si regge la civile convivenza nella comunità nazionale”, ma piuttosto per “…evitare la prossimità delle sale degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all’illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della dipendenza da gioco d’azzardo”.

La sentenza ha rilevato che “la disposizione in esame persegue, pertanto, in via preminente finalità di carattere socio – sanitario, estranee alla materia della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, e rientranti piuttosto nella materia della legislazione concorrente “tutela della salute pubblica” (art. 117, terzo comma, Cost.), nella quale la regione può legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale”. Il Giudice delle leggi ha aggiunto che non è decisiva, ai fini di escludere la competenza legislativa regionale nel caso di specie, la circostanza “…che la norma censurata inciderebbe su esercizi commerciali, quali quelli che accettano scommesse, soggetti al controllo dell’autorità di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 88 del TULPS – controllo finalizzato alla prevenzione dei reati e alla tutela dell’ordine pubblico – finendo, così, per interferire indebitamente con questo stesso regime autorizzatorio. La norma regionale si muove su un piano distinto da quello del TULPS. Per quanto si è detto, essa non mira a contrastare i fenomeni criminosi e le turbative dell’ordine pubblico collegati al mondo del gioco e delle scommesse, ma si preoccupa, “piuttosto, delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli”, segnatamente in termini di prevenzione di “forme di gioco cosiddetto compulsivo” (sentenza n. 300 del 2011). In quest’ottica, la circostanza che l’autorità comunale, facendo applicazione della disposizione censurata, possa inibire l’esercizio di una attività pure autorizzata dal questore….non implica alcuna interferenza con le diverse valutazione demandate all’autorità di pubblica sicurezza”.

Sulla base di tale interpretazione, copiosa giurisprudenza ha riconosciuto al Sindaco il potere di disciplinare gli orari delle sale da gioco o di accensione e spegnimento degli apparecchi durante l’orario di apertura degli esercizi in cui i medesimi sono installati, puntualizzando che un simile potere non interferisce con quello degli organi statali preposti alla tutela dell’ordine e della sicurezza, atteso che la competenza di questi ultimi ha ad oggetto rilevanti aspetti di pubblica sicurezza, mentre quella del Sindaco concerne in senso lato gli interessi generali della comunità locale (cfr.: Cons. Stato, 1 agosto 2015, n. 3778; Consiglio di Stato, 20 ottobre 2015, n. 4784; 22 ottobre 2015, n. 4861).

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Prima timbri il cartellino e poi cominci ad esercitare la funzione! Follie giurisprudenziali.

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Prima timbri il cartellino e poi cominci ad esercitare la funzione! Follie giurisprudenziali.

Quindi, anche se si assiste alla più turpe e pericola delle condotte illecite, per carità, ognuno si faccia gli affari suoi!

Magari anche se ci si sta recando a lavoro, a piedi, in uniforme, se non si è prima timbrato il cartellino, guai ad accertare o contestare una violazione alle norme del codice della strada…..non si fa!

Siamo sull’orlo della follia, ma piaccia o meno, la giurisprudenza dice questo: “Gli appartenenti alla polizia municipale, ai sensi dell’art. 57 c.p.c., e della L. 3 luglio 1986 n. 65, art. 5, hanno la qualifica di agenti di polizia giudiziaria soltanto nel territorio di appartenenza e limitatamente al tempo in cui sono in servizio e ciò a differenza di altri corpi, quali la Polizia di Stato, i Carabinieri, la Guardia di finanza etc., i cui appartenenti operano su tutto il territorio nazionale e sono sempre in servizio. I predetti, quindi, possono accertare tutte le violazioni in materia di sanzioni amministrative e fra queste anche quelle relative alla circolazione stradale purchè si trovino nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza ed alla condizione che siano effettivamente in servizio“.

La pronuncia della Suprema Corte (Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., 30-01-2019, n. 2748) che ha annullato l’accertamento compiuto dal Comandante della Polizia Municipale di un Corpo Emiliano (sicuramente in relazione a condotte pericolose di guida che questi deve aver rilevato mentre non era in servizio e che hanno suscitato il suo senso del dovere e della funzione, anche se non aveva ancora marcato il cartellino) deve essere così annullato, in base ad un’interpretazione che, riportandosi a pregresse opinioni (Cass. 5771/2008, Cass. 5538/2001, Cass. n. 35099/2015), onestamente non ha alcun senso e non merita grossa condivisione.

Mi astengo dal commentare oltre.

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QUESITO: Condominio, Amministratore, responsabilità.

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Quesito per passiamo: la risposta!
Risposta ai quesiti posti dai lettori

QUESITO: Condominio, Amministratore, responsabilità.

Quesito

Con la presente, approfittando della costante disponibilità dell’Associazione Professionale P.A.sSiamo, vorrei che mi venissero chiarite le modalità di redazione del verbale di contestazione ex art. 22 c.11 cds nell’ipotesi, ricorrente, di passo carraio non autorizzato di condominio. E’ corretto individuare l’amministratore come trasgressore e il condominio obbligato solidale? In assenza di amministratore è corretto individuare come trasgressori, da verbalizzare singolarmente, i condomini che si servono del passo? Ritengo che il punto di partenza della redazione debba essere la Legge 689/81 che all’art. 3 e 6 fissa i principi d’individuazione, rispettivamente, del soggetto trasgressore e obbligato in solido. L’art. 3 della 689/81 afferma, circa l’elemento soggettivo dell’illecito, che nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Pertanto, la condotta da sanzionare deve essere riferibile ad una persona non potendo i caratteri della coscienza e della volontà essere riferiti ad una società o entità astratta. L’art. 22 c.11 cds intende sanzionare il soggetto che, in presenza di un passo carraio non autorizzato, lo mantiene in esercizio pur avendo il potere/diritto/obbligo di regolarizzarlo. Con la nomina, i condomini, demandano, nei limiti del mandato, all’amministratore la gestione del condominio ed essendo l’amministratore colui che ha il dovere di attivarsi per garantire i diritti inerenti le parti comuni dell’edificio, dovrebbe, lui stesso, attivarsi per la regolarizzazione del passo carraio abusivo. Sulla base di queste brevi considerazioni, penso si possa individuare quale trasgressore l’amministratore condominiale. Circa il rapporto di solidarietà l’ultimo comma dell’art. 6 della 689/81 afferma che è responsabile in solido con l’autore dell’illecito:la persona giuridica, l’ente privo di personalità’ giuridica o, comunque, l’imprenditore per gli illeciti commessi dal rappresentante o dal dipendente. Sulla base del succitato articolo mi sembra, evidente, che il condominio, ente privo di personalità giuridica, sia obbligato solidale con l’amministratore suo rappresentante legale. Col principio di solidarietà il legislatore non ha voluto estendere la responsabilità del fatto illecito ma semplicemente aumentare la garanzia di pagamento. Infatti, entrambi i soggetti, amministratore e condominio, potranno essere chiamati a rispondere del fatto illecito; il condominio, tuttavia, qualora dovesse pagare la sanzione avrebbe nei confronti dell’amministratore un diritto di regresso. A prescindere dalla natura giuridica che si vuole attribuire al condominio in nessun caso il condominio dovrà essere qualificato come trasgressore ma solo come garante delle somme dovute dal proprio rappresentante autore dell’illecito. Nell’ipotesi di condominio senza amministratore ritengo che si possa procedere alla contestazione della violazione ai singoli condomini del fondo servito dal passo abusivo poiché ognuno avrebbe avuto titolo per procedere alla regolarizzazione.

Napoli, 23/01/2019

Vi ringrazio

RISPOSTA

Si ringrazia per il quesito e si rappresenta che le riflessioni giuridiche che lo accompagnano sono di rispettabilissimo pregio giuridico.

Nel rispondere si evidenzia quindi che il condominio, è un ente di gestione, privo di personalità giuridica. Spettando all’amministratore la rappresentanza del condominio, alla sua gestione vanno ascritte le azioni o le omissioni che rilevino come illecito punibile con sanzione amministrativa (es.: aver consentito –nel giorno dell’accertamento della violazione- che un accesso carrabile sulla pubblica via, fosse mantenuto in esercizio senza l’acquisizione dell’apposita concessione comunale).

Ne deriva che questi (l’amministratore):

  • laddove sia constatabile una condotta umana -esercitata per la salvaguardia dei beni comuni, attiva o omissiva che corrisponda ad illecito- risponde come trasgressore (di solito ciò accade per gli illeciti permanenti a condotta omissiva); in questo caso il verbale va notificato all’amministratore anche come legale rappresentante del condominio (che resta obbligato in solido), in relazione ad una violazione per la quale v’è un trasgressore identificato.
  • Laddove non sia una constatabile una condotta umana, esercitata per la salvaguardia dei beni comuni, attiva o omissiva che corrisponda ad illecito-  risponde come legale rappresentante del condominio (che resta obbligato in solido), in relazione ad una violazione il cui trasgressore è rimasto non identificato (di solito ciò accade per gli illeciti istantanei a condotta attiva, quando l’agente accertatore non abbia assistito alla flagrante commissione dell’illecito).

I principi di cui sopra, valgono, tal quali, anche in caso di mancata designazione di amministratore. In buona sostanza, la possibilità di contestare la violazione a tutti i “comunisti” sussiste se la natura della violazione lo consente. Ovvio che, in questo caso, siamo nelle ipotesi dell’art. 5 della L. 689/1981 e che la percezione di afflittività sarà più elevata.

L’occasione è propizia per porgere cordiali saluti.

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Circolare ministeriale su sequestro e fermo.

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Il Ministero dell’interno sta dando dimostrazione di grande solerzia nella produzione di circolari che attengono alla conversione in Legge del D.L. 113/2018 ( Ministero dell’interno: 1) direttiva  300/A/559/19/101/20/21/4 del 21 gennaio 2019 2) circ. 10/01/2019 n. 300/A/245/19/149/2018/06 ; 3) Circ. 18.12.2018 prot. n. 0083774; 4) Circ. 21.12.2018 prot. n. 557/LEG/240.524.2).

il 21 gennaio è stata pubblicata una importante direttiva che tenta un riordino complessivo della materia dei sequestri e dei fermi amministrativi, alla luce dell’importante novella.

Il giudizio complessivo sulla circolare è, sostanzialmente, positivo, al netto di qualche precisazione di difficile condivisione.

Sta di fatto che essa costituisce un piccolo “manuale” comportamentale che può essere di grande utilità per quegli operatori di polizia stradale che sapranno conservarla e consultarla al momento del dubbio o del bisogno.

Qui si allega la circolare.

http://www.vigileamico.it/wp/procedure-fermo-sequestro-amministrativo/

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L’anomalia del “sequestro cautelare”, previsto dall’articolo 116, comma 4, della L.R. Toscana 62/2018 (Codice del Commercio)

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Pubblicata sul BURT n. 53, del 28 novembre 2018, la Legge regionale Toscana, 23 novembre 2018, n. 62, recante il “Codice del Commercio”, ha ormai definitivamente soppiantato –tra l’altro- la legge regionale 7 febbraio 2005, n. 28.

Molte e rilevati sono le novità, tuttavia, in questa sede intendo porre l’attenzione su un tema –apparentemente secondario- di interesse prevalente per gli operatori di polizia municipale della Regione Toscana e di quanti esercitino, per caduta funzionale, le prerogative di cui agli artt. 18-20 della Legge 689/1981, nei comuni della predetta Regione.

Mi riferisco alla disciplina del sequestri, con particolare riguardo alla previsione dell’articolo 116 comma 4, della menzionata L.R. 62/2018, secondo cui:

“Nei casi di cui ai commi 2[1] e 3[2], lettere a), b) e d), si procede al sequestro cautelare delle attrezzature e delle merci. Nel caso in cui il pagamento della sanzione avvenga entro sessanta giorni, il sequestro è revocato e si procede alla restituzione delle attrezzature e delle merci”.

Preliminarmente osservato che, la connessione teleologica del sequestro alla confisca è stato conservato nelle previsioni del comma 1[3] dell’articolo 116 qui in esame (e che la sezione III del capo XVI della Legge disciplina autonomamente il sequestro dei beni abusivamente posti in vendita su aree pubbliche), non ci si può privare dall’esprimere alcune considerazioni critiche con riguardo a quanto sopra evidenziato in “grassetto”.

  1. Una prima critica si deve sicuramente appuntare in ordine al fatto che – con l’inciso: “Nel caso in cui il pagamento della sanzione avvenga entro sessanta giorni, il sequestro è revocato e si procede alla restituzione delle attrezzature e delle merci-  viene innestata una finalità latamente estorsiva nel sequestro amministrativo di cui all’art. 13 della 689/1981 che –è bene non dimenticarlo- resta “misura cautelare” preordinata esclusivamente alla realizzazione della più tipica delle sanzioni amministrative non pecuniarie: la confisca.

In buona sostanza, il Legislatore regionale toscano perde di vista il solco entro cui far viaggiare la misura cautelare del sequestro (come antecedente logico della confisca) e la trasforma in una sorta di “misura atipica a contenuto custodiale”, che perde efficacia quando il trasgressore abbia dato luogo al pagamento in misura ridotta della sanzione.

Non è questa la sede per approfondire il tema (di diritto costituzionale) delle possibilità che ha la potestà legislativa regionale nell’implementare le misure di sostegno dell’efficacia dell’azione amministrativa, nei campi di materie di propria competenza, potendo affermarsi che ben si può, nei margini preconizzati dalla giurisprudenza della Consulta, anche deragliare dal modello tradizionale scandito dalla Legge 689/1981, creando nuove sanzioni non pecuniarie; tuttavia è il caso di osservare come sarebbe stato meglio costruire espressamente una misura di tal fatta (qui battezzata: “misura atipica a contenuto custodiale”), magari nel rispetto dell’esperienza del “fermo amministrativo” conosciuto in altra legislazione, onde avere sempre una relazione stabile tra agente di polizia che accerta la violazione ed adotta la misura ed autorità amministrativa che ne controlla la legittimità e ne conferma la stessa ammissibilità.

  • Una seconda critica (che può essere anche intesa come un corollario della prima) attiene alla selezione delle cose da sequestrare, quando la legge non preveda (come nei menzionati casi di cui ai commi 2  e 3 , lettere a, b e d) che su esse si abbatte la sanzione amministrativa non pecuniaria della confisca. Esemplificando, nel caso in cui il titolare del titolo abilitativo sia assente per una specifica edizione di un mercato e preponga al “banco” un soggetto che non ha la qualifica di dipendente o collaboratore, sicuramente la Polizia Municipale contesterà la sanzioni amministrativa pecuniaria da Euro 250 ad Euro 1.500, ma si troverà anche a confrontarsi con la necessità di sequestrare tutte le merci e tutte le attrezzature (in vista dell’ottenimento del pagamento in misura ridotta della sanzione pecuniaria), senza poter trasmettere il verbale di sequestro ad alcuna autorità amministrativa, atteso che la misura non è collegata alla confiscabilità dei beni sequestrati. L’ufficio che svolge la funzione di “autorità amministrativa” di cui alla L. 689/1981 (a sua volta imbarazzato per il ricevuto verbale di sequestro, proseguendo in questa esemplificazione) altro non potrà fare che rimandare al mittente gli atti, atteso che la legge nazionale (689/1981) radica la sua competenza, per l’adozione del provvedimento di confisca, mentre la Legge Regionale non disciplina la sua competenza sui temi qui in esame. Si arriva, pertanto, al paradosso: il sequestro sarà di tipo obbligatorio (il tenore testuale è tale da superare la facoltatività insita nel “può”, conosciuto dall’articolo 13 della L. 689/1981) e adottato sotto esclusiva responsabilità del personale operante; personale operante (rectius: comando da cui dipende il personale operante) che dovrà anche disporre la restituzione del beni sequestrati, una volta che sia stato rilevato l’avvenuto pagamento in misura ridotta.
  • Una terza critica attiene alla discordanza tra la rubrica della sezione III del capo XVI della Legge Regionale 62/2018 (così denominata: “sequestro dei beni abusivamente posti in vendita su aree pubbliche”) ed il contenuto degli articoli 119-124 ivi contenuti che si spingono a descrivere le modalità di esecuzione di tutti i tipi di sequestri e di definizione delle regole di conservazione e distruzione di alcune tipologie di beni sequestrati. Le modalità di esecuzione del sequestro, quindi, in materia di commercio su aree pubbliche seguono, solo in quanto non derogate dagli articoli 119-124 della L.R. 28/2018, gli articoli del D.P.R. 571/1982, con tutta una complessità procedurale che deve essere riassorbita dalla costruzione di una modulistica completa e capace di assorbire e gestire tutte le variabili di questo puzzle.
  • Una quarta critica, in realtà si traduce in una lode per il Legislatore regionale toscano; va fatto osservare, difatti, che la L.R. 68/2018 prevede un trattamento sanzionatorio per chi eserciti il commercio nelle “zone interdette dal Comune” ed un diverso trattamento sanzionatorio per chi “violi le limitazioni e i divieti stabiliti dal comune per l’esercizio del commercio su aree pubbliche; in particolare:
  • il comma 1 dell’articolo 116 prevede: “È soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 2.500,00 a euro 15.000,00, al sequestro cautelare delle attrezzature e delle merci e alla successiva confisca delle stesse nonché degli automezzi usati, ai sensi della l. 689/1981, chiunque eserciti l’attività di commercio su aree pubbliche senza titolo abilitativo o concessione di posteggio oppure senza i requisiti di cui agli articoli 11 e 12 o nelle zone interdette dal comune”.
  • il comma 3 dell’articolo 116, alla lettera d) prevede: “È soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 250,00 a euro 1.500,00 chiunque violi: …d) le limitazioni e i divieti stabiliti dal comune per l’esercizio del commercio su aree pubbliche diversi da quelli di cui al comma 1”.

Questa ben scritta differenziazione tra le condotte illecite ed il relativo trattamento sanzionatorio merita di essere lodata, così come merita di essere segnalato, per commendevolezza e precisione, il rapporto tra le sanzioni del comma 1 dell’articolo 116 qui in esame e l’espressa disapplicazione dell’articolo 29 del D.Lgs. 114/2018, richiamata dall’articolo 132 della L.R. 68/2018.

Ne deriva che, l’applicazione, in Toscana, degli articoli 9 e 10 del D.L. 14/2017 consegue, “in parte qua”, alla sola sanzioni del comma 1 dell’art. 116 della L.R., una volta che il comune abbia disciplinato, con regolamento, le aree oggetto di interdizione; in questo caso, oltre alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.500,00 a euro 15.000,00, a precedere l’ordine di allontanamento ed il divieto di reingresso, ci sarà anche il “sequestro cautelare delle attrezzature e delle merci” e “la successiva confisca delle stesse nonché degli automezzi usati”.

Fatta la lode, va specificato che residuano problemi, sul piano del sequestri connessi alla violazione delle “limitazioni e divieti stabiliti dal comune per l’esercizio del commercio su aree pubbliche”, che non si risolvono in una “interdizione secca” dal praticare il commercio in forma itinerante in una determinata porzione di città. Persiste anche in questo caso, quanto evidenziato ai punti precedenti, con attinenza al tema della sequestrabilità di beni non esattamente specificati (mezzi ed attrezzature? Beni posti in vendita?) per finalità di compulsione al pagamento della sanzioni, senza possibilità di addivenire a confisca.


[1] È soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 250,00 ad euro 1.500,00 il titolare del titolo abilitativo nel caso in cui, in sua assenza, l’esercizio del commercio su aree pubbliche sia svolto da un soggetto senza la qualifica di dipendente o collaboratore oppure senza i requisiti di cui agli articoli 11 e 12.

[2] È soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 250,00 a euro 1.500,00 chiunque violi:

a) le disposizioni in materia di commercio su aree pubbliche di cui agli articoli 33, 35, 39, 40, 41 e 44;

b) le disposizioni in materia di sospensione volontaria, variazione e subingresso di cui agli articoli 87, 90, e 93;

d) le limitazioni e i divieti stabiliti dal comune per l’esercizio del commercio su aree pubbliche diversi da quelli di cui al comma 1.

[3] 1. È soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 2.500,00 a euro 15.000,00, al sequestro cautelare delle attrezzature e delle merci e alla successiva confisca delle stesse nonché degli automezzi usati, ai sensi della l. 689/1981, chiunque eserciti l’attività di commercio su aree pubbliche senza titolo abilitativo o concessione di posteggio oppure senza i requisiti di cui agli articoli 11 e 12 o nelle zone interdette dal comune.

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Stesso fatto, sanzione penale + sanzione amministrativa; Tribunale di Roma, ammissibilità.

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Interessante la sentenza del Tribunale di Roma, sezione penale VIII, n°6298/2017, che prende posizione in merito al rapporto di specialità tra legge penale e legge regionale che prevede sanzioni amministrative, facendo una disamina intrigante del principio di specialità, alla luce della giurisprudenza CEDU.

Bis in idem o legittima la previsione di una sanzione amministrativa pecuniaria prevista da una legge regionale che si sovrappone alla legge penale (art. 633 cp).

Il Tribunale risolve il dilemma nel senso della compatibilità con il sistema giuridica del doppio binario sanzionatorio.

Si allega la sentenza

6944-trib.-roma-sent.-17.07.2017-n.-6298-torneo-ne-bis-in-idem-2

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Sequestro di bovini: giurisdizione amministrativa ed esclusione della L. n°689/1981.

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Sequestro di bovini: giurisdizione amministrativa ed esclusione della L. n°689/1981.

Alcuni allevatori ricorrono a TAR Campania, contro i provvedimenti con i quali veniva disposto il sequestro fiduciario e l’affidamento in custodia dell’allevamento bufalino riscontrato affetto da brucellosi, con contestuale isolamento e destinazione al macello degli animali infetti contrassegnati con marche auricolari (per un totale di 82 capi) nonché il divieto di qualsiasi movimento di animali da e per tale allevamento.

I provvedimenti in parola sono disciplinati dall’art.22 del D.Lgs n°158/2006, secondo cui: “Qualora   si constati  un  trattamento illecito  l’autorità competente  sottopone  a sequestro  gli  allevamenti sottoposti alle indagini  di cui  all’articolo  18, comma 1, lettera b), dispone che tutti  gli  animali interessati siano muniti di un contrassegno o di un’identificazione   ufficiale e  ordina  un prelievo  di  campioni ufficiali  su un  insieme di animali statisticamente rappresentativo fondato su basi scientifiche internazionalmente riconosciute”.

Di tale normativa si era già occupato il TAR campano (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 8.07.2014, n. 3803) che, questa volta, quanto all’autorità competente, deve dare prova della sua capacità di superare i vizi di forma, in omaggio alla sostanza del principio di precauzione[1]. Ne deriva che, sebbene ad adottare il provvedimento impugnato sarebbe dovuto essere il Direttore Generale dell’ASL di Caserta, non ha pregio il dedotto vizio di incompetenza del  “Veterinario dirigente”, che ha effettivamente adottato l’atto, in quanto “legittimo deve comunque ritenersi l’intervento del dirigente del Servizio veterinario dipartimentale locale, ove delegato, in via interorganica, proprio in relazione alla funzione espletata, dal Direttore Generale dell’Azienda sanitaria territorialmente competente per adozione di provvedimenti di amministrazione attiva”.

Il cuore della sentenza TAR Campania, sezione IV, n° 1012 del 12 febbraio 2018 resta il seguente: “A parere della Sezione, l’operato di parte resistente risulta pienamente conforme al principio di precauzione, costituente uno dei canoni fondamentali del diritto dell’ambiente e alla salute (Cons. Stato, n. 30 del 2009) … che, come detto, trova attuazione facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali valori sugli interessi economici (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 304 del 2005 nonché, da ultimo, TRGA Trentino-Alto Adige, TN, 8 luglio 2010 n. 171)… È evidente, peraltro, che la portata del principio in esame può riguardare la produzione normativa in materia ambientale o l’adozione di atti generali ovvero, ancora, l’adozione di misure cautelari, ossia tutti i casi in cui l’ordinamento non preveda già parametri atti a proteggere l’ambiente dai danni poco conosciuti, anche solo potenziali” (cfr. sul punto, ex ultimis, T.A.R Piemonte, I, 3.5.2010 n. 2294)” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 31.01.2013, n. 683; 1 dicembre 2011 n. 5625)”.

Sul piano procedurale, alcune annotazioni:

  • sono sequestri “sanitari anomali” eccentrici rispetto alla L. n°689/1981;
  • vertendosi in tema di “amministrazione attiva” non ha alcun rilievo la giurisdizione del giudice ordinario;
  • essendo maturata la definizione delle “autorità sanitarie”, non riemerge più, come accadeva con frequenza in passato (Cfr: TAR Campania, sez. V, n°3803/2017), la competenza del sindaco ex art. 50 TUEELL.

[1]“questa Sezione già in passato (8.5.2010, n. 6586; 3.3.2010, n. 1284) ha in analoghe circostanze evidenziato come tutti i vizi di natura procedimentale fossero recessivi rispetto alla situazione descritta nel provvedimento impugnato” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 1.12.2011, n. 5625)”

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Autotrasporto, confisca e prova della colpevolezza.

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Autotrasporto, confisca e prova della colpevolezza.

Secondo Cass. civ. Sez. II Ord., 01/03/2018, n. 4866, In materia di autotrasporti, la sanzione accessoria della confisca non può – in difetto della sussistenza dell’elemento soggettivo (almeno) della colpa – essere considerata legittima ove applicata al proprietario della merce (destinatario, in via generale, di tale misura accessoria, ove prevista obbligatoriamente) nei cui confronti non sia emerso che abbia partecipato all’affidamento del trasporto al vettore abusivo o che si sia comportato in modo specificamente negligente rispetto all’accertamento della regolarità del trasportatore. E’ il solito ricorrente tema della necessità che l’accertamento della violazione sia fatto acclarando l’esistenza della responsabilità colpevole, senza sovrapporre il ruolo di obbligato in solido con quelli di trasgressore.

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Entra in vigore il nuovo Regolamento privacy: FARE ATTENZIONE!

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La piena applicazione del REGOLAMENTO GENERALE SULLA PROTEZIONE DEI DATI (Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), è prevista il 25 maggio 2018; quindi a decorrere dalla data odierna.

Tutti ne parlano ma pochi lo studiano.

Io sono tra quelli che versa in condizioni di ritardo nell’apprendimento di questa novellazione significativa per chiunque operi in P.A., così mi sono posto il problema che, forse, altri dipendenti pubblici si trovassero nelle mie condizioni.

Mi son domandato cosa potessi fare di buono per me, allo scopo di non restare tanto arretrato; la risposta è stata: vai a visitare il sito del Garanteprivacy.

Ne ho ricavato una marea di materiale di ottimo livello che, a questo punto ritengo giusto condividere con gli altri pubblici dipendenti di buona volontà.

Insomma, v’è da dire che l’autoformazione è cosa possibile… si risparmia e si impara… basta solo la buona volontà.

Allego:

Regolamento UE 2016 679 (dal sito del Garanteprivacy)

accodo dei link di straordinario valore:

Guida all’applicazione del regolamento

video dell’intervento del Garanteprivacy a Bari

 

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Anche l’ora legale entra nelle questioni di “autovelox”

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Anche l’ora legale entra nelle questioni di “autovelox”

In materia di misuratori di velocità e relative sanzioni, se ne vedono di tutti i colori, sfogliando i massimari della giurisprudenza. Dalla Sardegna ci arriva la casistica che è pervenuta alla Suprema corte, dalla quale è stata giubilata con la pronuncia Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 10/04/2018, n. 8865.

La sentenza di appello che viene gravata in cassazione, riferisce che la contestazione sulla divergenza tra l’ora segnata in verbale (16,21) e quella segnata sullo scontrino (15,21) dell’apparecchiatura telelaser era riconducibile al mancato adeguamento dell’orario nel passaggio dall’ora solare a quella legale. Il ricorrente denunzia violazione di norme di diritto essendo pacifico che l’asserita negata infrazione è avvenuta alle 16,21 come risulta dal verbale mentre lo scontrino indica le 15,21.

il relatore (in Cassazione) ha proposto la manifesta infondatezza dell’unico motivo, che ripropone il motivo di appello sul quale il tribunale ha dato sufficiente risposta riferendo dell’espressa menzione nel verbale della divergenza di orario, e la trattazione in Camera di consiglio non partecipata. Il Collegio ha condiviso la proposta, trattandosi della reiterazione delle tesi svolte in appello, sulle quali è stata data sufficiente risposta avendo la sentenza rilevato che l’appellante invocava a sostegno della propria tesi una pronunzia della Corte di Cassazione su un caso completamente diverso in cui la divergenza nella indicazione della data poteva far sorgere dubbi sul corretto funzionamento dell’apparecchio (Cass. 9.6.2010 n. 13887) nè aveva dedotto ulteriori ragioni per contestare questa spiegazione o il difettoso funzionamento dell’apparecchio rilevatore.

In definitiva: “E’ legittima la sanzione amministrativa irrogata per inosservanza dei limiti di velocità, anche se l’ora dell’infrazione registrata dall’autovelox diverse da quella indicata a verbale per mancato adeguamento del sistema all’ora legale”.

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Sospensione della patente tra misura cautelare e sanzione amministrativa.

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Sospensione della patente tra misura cautelare e sanzione amministrativa.

Il Consiglio di Stato, con parere reso dalla sezione III in data 24/04/2018, n. 2465, entra nel merito della natura giuridica della sospensione della patente, affermando che:

“Le differenti finalità e diversi presupposti che caratterizzano il provvedimento prefettizio di sospensione provvisoria dalla patente di guida e la sanzione accessoria della sospensione della patente applicata dal giudice penale, all’esito dell’accertamento di violazione del codice stradale, escludono la possibilità di computare il periodo di sospensione provvisoria nella determinazione della durata della sanzione amministrativa definitivamente applicabile dal giudice.”

Tuttavia, ciò non comporta che due periodi di sospensione sia cumulabili, giacché essi sono, invece, complementari: infatti, è necessario che, in relazione al medesimo fatto nei confronti dello stesso soggetto, l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente risulti un’unitaria e sia compresa tra il minimo ed il massimo previsto dalle disposizioni del codice della strada, ancorché quella definitiva, disposta dal giudice, sia stata preceduta dall’applicazione provvisoria disposta dal prefetto.

Ne consegue che è il prefetto, organo di esecuzione della sanzione amministrativa accessoria, a dover provvedere alla detrazione, obbligatoria, del periodo di sospensione eventualmente già scontato, senza che vi sia bisogno dia esplicita dichiarazione al riguardo da parte dell’autorità giudiziaria competente.

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La responsabilità del notaio nella compravendita immobiliare.

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La responsabilità del notaio nella compravendita immobiliare.

Sono tanti i casi di abusivismo edilizio o di litigi familiari, nei quali viene in causa la scarsa professionalità dei notai. La Suprema Corte (Cass. civ. Sez. III Ord., 15/05/2018, n. 11746) ci ricorda che l’opera professionale di cui è richiesto il notaio nel caso di compravendita immobiliare non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione nella compilazione dell’atto, ma si estende alle attività preparatorie e successive perché sia assicurata la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito dalle parti. In particolare, il notaio è tenuto a e effettuare le visure catastali e ipotecarie nonché a consigliare il cliente su questioni tecniche e su problematiche correlate all’atto sulle quali il cliente stesso potrebbe non avere la necessaria competenza. Siffatto obbligo, in mancanza di patto contrario, non può tuttavia estendersi sino a comprendere anche il dovere del notaio di curare la “pratica amministrativa”.

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Ordine illegittimo e licenziamento: leading case nel conflitto tra segretario comunale e comandante della polizia municipale.

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A pagina 20 del sole 24 ore del 20 aprile 2018 si leggeva: “Cassazione. Il dipendente a sua difesa può richiedere l’ intervento del giudice del lavoro anche in forma urgente. L’ordine illegittimo va eseguito. I giudici estendono alla pubblica amministrazione le regole del settore privato”.

La faccenda ha attirato la mia curiosità in relazione alla circostanza che la situazione di fatto attiene (in parte) ad una lite tra segretario comunale e comandante della polizia municipale; dal che ho cercato la sentenza (nel caso di specie: “Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 10-01-2018) 19-04-2018, n. 9736).

Orbene, Con sentenza n. 1748/2016 la Corte di appello di Roma aveva dichiarato la nullità del licenziamento intimato da un Comune ad una dipendente. Secondo la ricostruzione dei fatti contenuta in tale sentenza, la predetta dipendente aveva adito il Giudice del lavoro presso il Tribunale di Latina e, premesso di avere svolto funzioni di Comandante della Polizia Municipale aveva dedotto che, a partire dal maggio 2003 il Sindaco e il Segretario Comunale (quest’ultimo anche con le funzioni di Dirigente Generale, Responsabile della Polizia municipale e preposto all’Ufficio dei procedimenti disciplinari) avevano iniziato a tenere nei suoi confronti atteggiamenti vessatori costituenti “mobbing”, attraverso l’imposizione di ordini professionalmente dequalificanti e la privazione di funzioni istituzionali, fino al licenziamento irrogato per mancata ottemperanza agli ordini del superiore ed assenze ingiustificate dal servizio. Il Tribunale adito aveva dichiarato illegittimo il licenziamento, con conseguente diritto della ricorrente alla reintegrazione nel posto di lavoro, mentre aveva dichiarato non esservi luogo a provvedere sulle rimanenti domande, da intendersi rinunciate ex art. 75 c.p.p., comma 1 per avvenuta costituzione di parte civile della dipendente nel giudizio penale (per abuso di ufficio e falso) a carico del Sindaco, del Segretario Comunale e di altri soggetti a vario titolo coinvolti nei fatti descritti. Il Giudice di primo grado aveva osservato che, alla stregua del Regolamento della Polizia Municipale, al Comandante del Corpo di Polizia Municipale erano demandate funzioni di responsabilità del servizio e che quindi la dipendente aveva tutti i poteri di gestione ed organizzazione del lavoro dei vigili urbani, mentre al Segretario Comunale, per lo stesso Regolamento, era demandata la sovrintendenza allo svolgimento dei compiti affidati al Corpo. Aveva dunque affermato che il Comandante organizza e gestisce il Corpo di Polizia Municipale, mentre il Segretario comunale impartisce al predetto Comandante le direttive di ordine generale. Sulla scorta di tale premesse, aveva ritenuto che le condotte contestate, relative alla mancata osservanza dei servizi programmati dal Segretario comunale, non integrassero condotte idonee a giustificare la sanzione espulsiva: l’attribuzione dei poteri che alla dipendente derivavano dal Regolamento escludeva di poter dare rilevanza, ai fini del giudizio di proporzionalità, al “turbamento della regolarità del servizio e alla confusione per la sovrapposizione degli ordini”, ragioni poste alla base del recesso. Tale sentenza era stata impugnata da entrambe le parti, ma la Corte di appello di Roma, rigettato l’appello proposto dalla dipendente, in parziale riforma della sentenza impugnata, confermata nel resto, aveva dichiarato la nullità del licenziamento. In conclusione, la Corte distrettuale aveva ritenuto che tutte le mancanze poste a base del licenziamento e dei precedenti provvedimenti disciplinari, ivi comprese le assenze dal servizio, risultavano collegate alla inosservanza delle disposizioni provenienti dal Segretario Comunale in contrasto con quelle provenienti dalla stessa dipendente nell’esercizio dei poteri direttivi ed organizzativi di Comandante del Corpo, cosicché la mancata osservanza di quei disposizioni non costituisce inadempimento. Per la cassazione di tale sentenza il Comune ha proposto ricorso affidato a sei motivi.

L’esito del giudizio di Cassazione può così riassumersi: si può essere licenziati per non aver ottemperato ripetutamente ad ordini ricevuti, anche se illegittimi.

Con le parole del Collegio “La sentenza impugnata è incorsa in un’ulteriore violazione di legge laddove ha affermato che il dipendente che non condivida direttive o istruzioni impartite dal superiore ovvero dal datore di lavoro ovvero le ritenga dequalificanti abbia il potere o il diritto di disattenderle in luogo del più limitato diritto di azionare i rimedi giurisdizionali predisposti dall’ordinamento per l’accertamento della illegittimità di tali direttive o istruzioni ai fini dell’annullamento. Nell’ambito del rapporto di lavoro privato, questa Corte ha affermato che la nozione di insubordinazione, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale(Cass. n. 7795 del 2017). Più in generale il lavoratore può chiedere giudizialmente l’accertamento della legittimità di un provvedimento datoriale che ritenga illegittimo, ma non lo autorizza a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario (conseguibile anche in via d’urgenza), di eseguire la prestazione lavorativa richiesta, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 c.c.,e può legittimamente invocare l’eccezione di inadempimento, ex art. 1460 c.c., solo nel caso in cui l’inadempimento del datore di lavoro sia totale (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 831 del 2016 e n. 18866 del 2016). Tali principi trovano applicazione nel rapporto di pubblico impiego privatizzato, anche in ragione del rinvio operato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2”.

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SONO LEGITTIMI I REGOLAMENTI COMUNALI CHE FISSANO STANDARD QUALITATIVI PER GLI ESERCIZI DI SOMMINISTRAZIONE DI ALIMENTI E BEVANDE.

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SONO LEGITTIMI I REGOLAMENTI COMUNALI CHE FISSANO STANDARD QUALITATIVI PER GLI ESERCIZI DI SOMMINISTRAZIONE DI ALIMENTI E BEVANDE.

 

            Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) con sentenza n°243 del 8 febbraio 2018, ha respinto il ricorso proposto dai titolari di alcuni esercizi commerciali che, effettuando attività di somministrazione di alimenti e bevande ed avendo sede nel centro storico della città di Firenze, sono incappati nelle prescrizioni del Regolamento Comunale (adottato con delibera consiliare del Comune di Firenze 18 gennaio 2016, n. 4), il quale impone una serie di limitazioni e divieti anche alle attività esistenti, obbligandole ad adeguarsi entro tre anni.

            Una scelta forte, quella messa in campo dall’Amministrazione gigliata che ha inteso porre dei significativi standard qualitativi e quantitativi per gli esercizi di somministrazione che gravitano in centro città.

            Nello specifico, il predetto regolamento prevede:

  • che la vendita e la somministrazione di bevande alcoliche di qualsiasi gradazione è ammessa esclusivamente in locali con una superficie utile abitabile o agibile (s.u.a.) dell’unità immobiliare non inferiore a 40 mq. e con almeno un servizio igienico di cortesia per i clienti, accessibile ai diversamente abili;
  • che gli esercizi commerciali di vicinato alimentare devono essere organizzati funzionalmente in modo che siano in vendita prodotti appartenenti ad almeno 5 differenti tipologie merceologiche a scelta fra prodotti da forno, frutta fresca e verdura fresca, gastronomia, latte e derivati, carne e pesce. Ciò al fine di favorire servizi alla residenza del centro storico;
  • il divieto di vendita e di vendita per asporto, anche in forma temporanea, di alcolici di ogni gradazione, in qualunque contenitore, dalle ore 21 fino alle ore 6;
  • il divieto dalle ore 21 alle ore 6 di vendita, anche per asporto, di ogni bevanda in contenitore di vetro, anche se non alcolica.

            Quanto alle motivazioni del rigetto il Collegio evidenzia, in via preliminare, che l’attività dell’amministrazione pubblica diretta a formulare norme generali ed astratte, atte a regolamentare una determinata attività, costituisce esercizio di ampia discrezionalità sfociante nel merito e può essere sindacata solo per manifesta irragionevolezza o travisamento.

            Sulla base di questa premessa è agevole preconizzare l’esito della valutazione delle censure mosse al regolamento in parola:

  • Polverizzata l’aggressione alla regola del “bagno” a disposizione della clientela e quella alla superficie minima dell’esercizio; riportando le parole della sentenza: “l’imposizione di una superficie minima dell’esercizio e di un servizio igienico accessibile anche alle persone diversamente abili sembra più che ragionevole nell’ottica da un lato, di evitare l’assembramento all’esterno dei locali con i conseguenti disturbi al riposo delle persone e, dall’altro, di assicurare servizi adeguati per i bisogni essenziali delle persone, altrimenti inevitabilmente destinati ad essere soddisfatti nella pubblica via con il conseguente aumento del degrado”.
  • Rispedita al mittente l’eccezione che tendeva a rappresentare come un’ingiusta disparità di trattamento la circostanza che quella che è alla base della limitazione della vendita per asporto, rispetto alla somministrazione di alcolici (che è ammessa fino alle ore 24 su spazi e aree pubbliche e fino alle ore 2 all’interno di locali). Secondo il Collegio, la misura, “appare invece giustificata dallo scopo di prevenire sia l’abuso delle sostanze alcoliche sia fenomeni di schiamazzo notturno che disturbano il riposo. Gli esercizi di cui si tratta si caratterizzano per il fatto che vendono bevande alcoliche a chiunque intenda acquistarle (fatti salvi naturalmente i divieti di legge specifici, come per le persone minorenni) e gli acquirenti, effettuato l’acquisto, sono soliti consumarle per strada. Tale modalità da un lato, indubbiamente favorisce il consumo di alcolici al contrario di quanto avviene nei locali, ove l’esercente può, e anzi deve, esercitare un controllo affinché il consumo avvenga con modalità ragionevoli e non dannose sia per il consumatore che per i terzi. Appare quindi giustificata una disparità di trattamento nella previsione degli orari in cui è proibito vendere bevande alcoliche tra gli esercizi dei ricorrenti e quelli ove la somministrazione avviene all’interno di locali dedicati. Altrettanto dicasi per la differenza di orario laddove la somministrazione avvenga su spazi e aree pubbliche, ove non si pone un problema di disturbo della quiete pubblica”.

            Invero, il regolamento comunale fiorentino che ha resistito a queste censure è di epoca precedente al D.L. n°14/2017 che rilancia la capacità della regolamentazione comunale di aspetti delle attività economiche connesse alla protezione del decoro.

            Tuttavia, non si può omettere di valorizzare l’impatto di tale normativa sopravenuta al caso che ha occupato la sentenza –TAR Toscana- n°243 del 8 febbraio 2018; il D.L. “Minniti” ha avuto sicuramente il merito di dare supporto laterale a norme regionali (qual è la Legge della Regione Toscana 7 febbraio 2005, n. 28) che già contengono specifici articoli che consentono ai comuni una limitazione “qualificante” degli esercizi commerciali in genere e degli esercizi di somministrazione d alimenti e bevande, in particolare.

Sentenza TAR TOSCANA 243-2018

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Proventi sanzionatori stradali e fondo per il trattamento accessorio.

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I comuni non sono legittimati ad alimentare i fondi per il trattamento accessorio del personale investito di specifiche responsabilità, connesse alla circolazione stradale, coi proventi delle sanzioni stradali, se non ai sensi dell’art. 15, comma 5, C.C.N.L. 1 aprile 1999. Indipendentemente dalle modalità di finanziamento, le risorse destinate al trattamento accessorio del personale dipendente dalle p.a. devono rispettare il tetto disciplinato dalla legge di stabilità 2016, art. 1, comma 236 (C. Conti Abruzzo Sez. contr. Delibera, 06/07/2016, n. 151)

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Computo degli interessi moratori-sanzionatori in materia di sanzioni 689-1981.

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L’art. 27 comma 6 della Legge n°689/1981 utilizza il concetto di “decorrenza” nel modo più aderente possibile alla sua natura sanzionatoria, e quindi nel senso che il primo semestre intero dopo la scadenza del termine di adempimento deve considerarsi ricompreso (e non già escluso) dall’applicazione delle maggiorazioni; del resto, una diversa interpretazione sarebbe palesemente irragionevole, non comprendendosi la ratio che sorreggerebbe l’affrancamento del primo semestre. Resta ovviamente salva la seconda parte della disposizione, relativa al divieto di cumulo tra maggiorazione ed interessi.

Con queste parole, il T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter, con sentenza del 09/01/2018, n. 132, rammenta che il comma 6 dell’articolo 27 (“Salvo quanto previsto nell’art. 26 in caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta è maggiorata di un decimo per ogni semestre a decorrere da quello in cui la sanzione è divenuta esigibile e fino a quello in cui il ruolo è trasmesso all’esattore. La maggiorazione assorbe gli interessi eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti”)  ha funzione, non già risarcitoria o corrispettiva, bensì di sanzione aggiuntiva, nascente al momento in cui diviene esigibile la sanzione principale.

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Punti decurtati e giurisdizione del Giudice Ordinario.

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La decurtazione dei punti di patente per la violazione del codice della strada si atteggia come sanzione amministrativa ed il relativo contenzioso resta affidato alla giurisdizione del giudice di pace, ivi compresa la cognizione sul provvedimento vincolato di assoggettamento a nuovo esame di idoneità tecnica conseguenziale alla perdita totale del punteggio.

Il T.A.R. Toscana Firenze Sez. II,con sentenza del 16/01/2018, n. 64, ha così dichiarato inammissibile (ed ha rimesso le parti al Giudice Ordinario) il ricorso proposto da un cittadino che aveva impugnato l’atto con il quale il CED Motorizzazione ha comunicato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Direzione Generale Territoriale Centro – Ufficio Motorizzazione Civile di Firenze – Sezione Coordinata di Grosseto l’azzeramento del punteggio sulla sua patente di guida,  nonché del conseguente provvedimento di azzeramento del punteggio sulla patente di guida.

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MAI silenzio assenso o SCIA per gli impianti pubblicitari.

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L’installazione di impianti pubblicitari è indubbiamente soggetta ad un provvedimento autorizzatorio da parte del Comune, come si evince dal chiaro tenore letterale degli artt. 3, comma 3, del d.lgs. 507/1993 e dall’art. 23, comma 4, del codice della strada, d.lgs. 285/1992, a mente del quale “la collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse è soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell’ente proprietario della strada nel rispetto delle presenti norme. Nell’interno dei centri abitati la competenza è dei comuni, salvo il preventivo nulla osta tecnico dell’ente proprietario se la strada è statale, regionale o provinciale”.

Secondo la Suprema Corte (Ord. Sez. 6 Num. 288 Anno 2018) “è ben vero che, in un’ottica di agevolazione delle attività private subordinate all’assenso della Pubblica amministrazione, con l’art. 20 della I. 241/1990, in attuazione del principio del buon andamento e della semplificazione amministrativa, il legislatore ha equiparato in linea di principio il silenzio al provvedimento di accoglimento dell’istanza per l’ottenimento di un titolo abilitativo. Tuttavia, la portata generale dell’istituto non è illimitata. L’art. 20, comma 4, della I. 241/1990 configura ragguardevoli eccezioni a taleprincipio; tra esse rientra la materia della pubblica sicurezza. Proprio alla pubblica sicurezza si impronta la ratio dell’art. 23, comma 4, dlgs. 285/1992. Nel richiedere un provvedimento espresso per l’autorizzazione dell’attività di affissione, quest’ultima norma demanda alla Pubblica Amministrazione un preciso onere di verifica circa le condizioni ed i presupposti per lo svolgimento di essa, cosicché risulta illegittima la previsione del meccanismo del silenzio assenso ad opera di fonti secondarie. Per giunta, in attuazione dell’art. 20, comma 4, della I. 241/1990, il d.p.r. 26 aprile 1992, n. 300, concernente le attività private sottoposte alla disciplina degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, specifica i casi in cui il silenzio assume valenza significativa circa l’accoglimento dell’istanza. La normativa regolamentare è stata implementata dal d.p.r. 9 maggio 1994, n. 407 richiamato dal ricorrente. Tale ultimo regolamento, all’allegato 1, punto 81, integra la tabella C del d.p.r. 300 del 1992, includendo la materia “pubbliche affissioni” in relazione al “d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 639, art. 28, comma 4”, ricollegandovi la formazione del silenzio assenso trascorsi 30 giorni dalla presentazione dell’istanza al Comune competente. Nondimeno, come è agevole ricavare dal collegamento sistematico con l’art. 28, comma 4, del d.p.r. 639/1972 (peraltro abrogato) frutto del rinvio recettizio operato dal d.p.r. 407/1994, l’ambito di operatività del silenzio-assenso è limitato, giacché destinato a surrogare il consenso del Comune solo per l’ipotesi di “affissione diretta in spazi di pertinenza propri degli interessati”, mentre il provvedimento ampliativo tacito non è ammesso per il procedimento in esame, relativo alla installazione di cartelli pubblicitari su strada statale (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, III, 17 aprile 2002, n. 1490 e 16 dicembre 2004, n. 6479; T.A.R. Piemonte, I, 14 novembre 2005, n. 3523; v. anche T.A.R. Sardegna, 23 gennaio 2002, n. 56 e T.A.R. Lombardia, Milano, III, 24 ottobre 2005, n. 3891; T.A.R. Umbria, 3 febbraio 2010, n. 50).

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Sanzioni amministrative: buona fede ed onere della prova.

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Apriamo il 2018, rassegnando le più interessanti affermazioni giurisprudenziali in materia di sanzioni amministrative, muovendo dal tema della “rilevanza” della buona fede del trasgressore.

Ai sensi dell’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, per integrare l’elemento soggettivo dell’illecito è sufficiente la semplice colpa, l’errore sulla liceità della condotta, collegato alla buona fede, può rilevare in termini di esclusione della responsabilità amministrativa solo quando esso risulti inevitabile. A tal fine è necessario rintracciare un elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione, idoneo ad ingenerare in lui la convinzione della suddetta liceità, oltre alla condizione che da parte dell’autore sia stato fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, così che l’errore non sia suscettibile di essere impedito dall’interessato con l’ordinaria diligenza (v. Cass., 19759/2015, 16320/10, 13610/07, 11012/06, 9862/06, 5426/06 e 11253/04). L’onere della prova degli elementi positivi che riscontrano l’esistenza della buona fede è a carico dell’opponente e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 23019/09).

Queste, in buona sostanza, le parole dell’ordinanza della Cassazione civile, sez. VI, 3 gennaio 2018, n. 48.

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QUESITO: Circolare “Minniti”, presidio delle postazioni temporanee ed obbligo di contestazione.

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Quesito per passiamo: la risposta!
Risposta ai quesiti posti dai lettori

QUESITO

Ho assistito alla sua relazione al Convegno di Lacedonia sull’uso degli strumenti elettronici, ma non ho avuto il tempo di fare questa domanda. Mi riferisco alla circolare del 21 luglio scorso che il Ministero dell’Interno ha emanato sull’utilizzo dei misuratori della velocità dei veicoli, sia fissi che mobili.

La circolare al paragrafo 3 a pagina 29, così recita: “Nel caso di postazioni presidiate, ovvero in presenza dell’operatore di polizia stradale – non necessariamente visibile ma nelle immediate vicinanze – in occasione dell’espletamento del servizio con un dispositivo automatico, ai fini del controllo della funzionalità dello strumento lo stesso operatore deve essere in grado di verificare costantemente il corretto funzionamento del medesimo, che deve essere sotto il suo diretto controllo”, per poter tempestivamente intervenire in caso di alterazioni funzionali, o per poter determinare il veicolo in violazione nei casi dubbi per esempio se nel fotogramma risultano ripresi più veicoli non essendo pertanto sufficiente la mera e passiva presenza dell’agente accertatore. L’attività di presidio può essere effettuata anche verificando la funzionalità dei dispositivo di controllo previa l’utilizzo di supporti di controllo (tablet o palmari)”

Se quello che io penso leggendo quanto sopra può significare che un organo di Polizia può “verificare la funzionalità dei dispositivo di controllo con l’utilizzo di supporti di controllo (tablet o palmari)”, allora il servizio diventerebbe molto più semplice per gli agenti di polizia stradale, senza essere obbligati a stare sul posto.

 

 

RISPOSTA

Il passo della Circolare Minniti che mi ha sottoposto è di grande interesse, ma non va valorizzato al punto tale da ritenere escluso, per le postazioni temporanee, l’obbligo di contestazione immediata della violazione.

Il vero tema, secondo me, resta quello dell’obbligo di contestazione immediata della violazione, che cambia, a seconda che lo strumento sia utilizzato in uno dei tre luoghi indicati all’elenco (a-b-c) della pagina 28 della circolare.

È vero che (in ciascuno dei tre menzionati casi) “L’attività di presidio può essere effettuata anche verificando la funzionalità dei dispositivo di controllo previa l’utilizzo di supporti di controllo (tablet o palmari)” , ma è altrettanto vero che, se lo strumento, ad esempio, fosse posizionato in centro abitato, si ricadrebbe nell’ipotesi di doverosa contestazione immediata della violazione (per come specificato alle lettere b) e c) della pagina 28 della circolare). In questo caso, la motivazione reale della circostanza in base alla quale non si sia potuto procedere alla contestazione immediata, di volta in volta, va doverosamente ostesa sul verbale e resta verificabile dai giudici di pace in caso di ricorso contro il verbale. Sarebbe –in questo caso ipotetico- dura, dimostrare –senza il presidio fisico sul luogo dell’accertamento da parte di una pattuglia che tenti effettivamente di contestare qualche violazione, la bontà del verbale.

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Prendere a martellate le auto in sosta implica ancora danneggiamento penalmente punibile.

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Prendere a martellate le auto in sosta implica ancora danneggiamento penalmente punibile.

Anche dopo la depenalizzazione del reato di danneggiamento semplice, apportata dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, l’art. 635 c.p., comma 2, n. 1, ultima parte, sanziona tuttora penalmente il danneggiamento di beni esposti alla pubblica fede ai sensi dell’art. 625 c.p., comma 1, n. 7. Infatti l’abolitio criminis non è stata integrale poichè il nuovo testo dell’art. 635 c.p., comma 1, continua a reprimere penalmente il danneggiamento di beni altrui commessi con violenza alla persona o con minaccia, ovvero in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico del delitto di cui all’art. 331 c.p.; del pari, il comma 2 del novellato art. 635 ha mantenuto la sanzione penale dei fatti di danneggiamento commessi nei confronti di beni di particolari tipologie. La Corte di cassazione (da ultimo: Cass. pen. Sez. V, Sent., 13-11-2017, n. 51622) ha avuto modo di precisare che “In tema di danneggiamento, il fatto già previsto come reato dall’art. 635 c.p., comma 2, n. 3, in quanto commesso sulle cose indicate dall’art. 625, n. 7, conserva rilevanza penale anche nella vigenza del nuovo testo, introdotto dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 2, comma 1, lett. i), in quanto tra il nuovo ed il previgente testo della norma sussiste un nesso di continuità e di omogeneità, non avendo il D.Lgs. n. 7 del 2016 prodotto una generalizzata abolitio criminis della fattispecie, bensì solo la successione di una norma incriminatrice che ha escluso la rilevanza penale di alcune ipotesi, conservandola rispetto ad altre.” (Cfr. Anche: Sez. 7, n. 20635 del 16/02/2016). La ratio dell’aggravamento della pena, previsto dall’art. 625, n. 7, terza ipotesi, codice penale, non è correlata alla natura – pubblica o privata – del luogo ove si trova la cosa, ma alla condizione di esposizione di essa alla pubblica fede, trovando così protezione solo nel senso di rispetto per l’altrui bene da parte di ciascun consociato (Sez. 2, n. 11977 del 04/07/1989). La Cassazione, ha quindi ripetutamente affermato che nel caso di veicoli lasciati incustoditi non basta ad escludere la aggravante dell’esposizione alla pubblica fede un qualsiasi ostacolo frapposto alla sottrazione, ma occorre che l’ostacolo sia tale da affermare la non omissione della custodia e la difficoltà dell’intervento di terzi, per modo che il ladro non possa superare l’ostacolo senza dare l’allarme; onde ricorre l’aggravante nel caso di furto di automobile lasciata incustodita nella pubblica via, non avendo rilievo l’uso di congegni antifurto, sia perchè le esigenze del traffico attuale hanno fatto sorgere la consuetudine di lasciare incustodito in luoghi pubblici il predetto mezzo di locomozione, sia perchè l’ingegnosità dei delinquenti ha sempre trovato modo di superare tali ostacoli. (Sez. 2, n. 4557 del 07/01/1976). Il montaggio di un congegno antifurto non elimina quindi il pubblico affidamento della res (Sez. 2, n. 8504 del 16/05/1985). Parimenti è stata ritenuta sussistere l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 7 – sub specie di esposizione della cosa per necessità o per destinazione alla pubblica fede – nel caso in cui il soggetto attivo si impossessi di un’autovettura dotata di antifurto satellitare, che, pur attuando la costante percepibilità della localizzazione del veicolo, non ne impedisce la sottrazione ed il conseguente impossessamento, consentendo solo di porre rimedio all’azione delittuosa con il successivo recupero del bene (Sez. 5, n. 10584 del 30/01/2014; Sez. 5, n. 9394 del 20/01/2014). Con l’evolversi della tecnologia, le stesse considerazioni sono state estese all’ipotesi della presenza di un sistema di videosorveglianza, che, ancorchè consenta la conoscenza postuma delle immagini registrate dalla telecamera, non costituisce di per sè una difesa idonea a impedire la consumazione dell’illecito attraverso un immediato intervento ostativo (Sez. 5, n. 6682 del 08/11/2007 – dep. 2008). Pertanto, la presenza di sistemi di allarme e videoregistrazione, se può facilitare una reazione contro il furto o il danneggiamento del bene esposto alla pubblica fede o l’individuazione del colpevole, non elimina quell’affidamento alla protezione assicurata dal senso di rispetto per l’altrui bene da parte di ciascun consociato, che è a fondamento della previsione normativa, sì da giustificare l’aggravamento della pena e nella fattispecie la persistente rilevanza penale della condotta.

Merita, quindi, di essere condannato, in sede penale chi abbia colpito con un martello l’autovettura di un terzo parcheggiata sulla pubblica via, in quanto continuano a ricorrere le condizioni, per come sopra spiegato, della rilevanza penale di tale condotta o similari condotte di danneggiamento di beni esposti alla pubblica fede (come le auto in sosta).

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NCC e rimessa: partenza (dalla) e rientro (alla rimessa), necessità!

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la sentenza Cons. Stato Sez. V, 08/11/2017, n. 5152, conferma che, in materia di noleggio con conducente (NCC) la rimessa deve essere disponibile ed utilizzata, in quanto solo con lo stazionamento nella rimessa dichiarata risulta garantito che il servizio NCC cominci e termini nell’ambito del territorio che rilascia l’autorizzazione, pur potendosi poi svolgere senza limiti spaziali (L. n. 21/1992).

Dal quadro normativo discende che l’obbligo di utilizzare, nell’esercizio del servizio di NCC, esclusivamente una rimessa ubicata all’interno del territorio del Comune che rilascia l’autorizzazione, è immediatamente finalizzato a garantire che il servizio stesso, pur potendosi svolgere senza limiti spaziali, cominci e termini presso la medesima rimessa, ovvero entro il territorio comunale. Ciò risponde all’esigenza di assicurare che il detto servizio sia svolto, almeno tendenzialmente, a favore della comunità locale di cui il Comune è ente esponenziale. La prescrizione che la rimessa sia ubicata entro il territorio dell’ente è, quindi, coessenziale alla natura stessa dell’attività da espletare, diretta principalmente ai cittadini del Comune autorizzante a cui si vuol garantire un servizio, non di linea, complementare e integrativo rispetto “… ai trasporti pubblici di linea ferroviari, automobilistici, marittimi, lacuali ed aerei, e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta” (art. 1 della citata L. n. 21 del 1992) (in termini, Cons. Stato, V, 23 giugno 2016, n. 2806)

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Impugnativa dei regolamenti comunali.

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La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ripetutamente affermato, rispetto agli atti di contenuto normativo, che è soltanto con il successivo atto applicativo che si viene a radicare tanto l’interesse al ricorso, quanto la legittimazione a ricorrere (in tal senso – e in relazione alla materia che ne occupa -: Cons. Stato, V, sent. 1926 del 2016; id., V, 2294 del 2016; id., V, 2913 del 2016; id., V, 4130 del 2016).

L’atto applicativo, oltre a radicare l’interesse al ricorso, determina, inoltre, anche la legittimazione a ricorrere. L’interesse all’annullamento del regolamento, invero, all’interno della “categoria” o della “classe” dei suoi potenziali destinatari è un interesse indifferenziato, seriale, adesposta (nella sostanza un interesse diffuso): esso diventa interesse soggettivamente differenziato (e, quindi, interesse legittimo) solo nel momento in cui il regolamento è concretamente applicato nei confronti del singolo. Fino al momento dell’adozione dell’atto applicativo, quindi, il termine per l’azione di annullamento non può decorrere, perché non sono ancora sorte, per il singolo concessionario, le (necessarie) condizioni dell’azione, ovvero l’interesse al ricorso e la legittimazione al ricorso.

Secondo la sentenza -Cons. Stato Sez. V, 08/11/2017, n. 5145- l’ammissibilità (o la procedibilità) del ricorso avverso un regolamento non può essere subordinata all’ulteriore condizione che l’impugnazione dell’atto applicativo rientri anch’essa nella giurisdizione del Giudice Amministrativo. Un simile assunto porterebbe all’inaccettabile risultato di escludere l’azione di annullamento contro quei regolamenti che regolano canoni, corrispettivi, indennità o che, comunque, incidono, a valle, su rapporti paritetici, rispetto ai quali la giurisdizione sull’atto applicativo non appartiene di regola al Giudice Amministrativo. Una simile conclusione, oltre che palesemente irragionevole, solleverebbe profili di significativo contrasto con i principi costituzionali che garantiscono l’effettività diritto di azione contro gli atti della pubblica amministrazione (artt. 24, 103 e 113 Cost.), non consentendo che esso sia limitato o escluso per determinate categorie di atti (art. 113, comma 2, Cost.) (Riforma della sentenza del T.a.r. Calabria, Reggio Calabria, n. 902/2016).

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Revoca della patente (motivi morali) e giurisdizione del G.O.

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Una persona impugna, innanzi al TAR del Lazio, il decreto prefettizio recante la revoca della patente di guida, disposta nei suoi riguardi ai sensi dell’art. 120, comma 2, e dell’art. 219 del Codice della Strada, in presenza della sentenza di condanna irrevocabile, per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990, emessa nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p..

Il TAR (Lazio, sezione I ter, sentenza n°11201 del 11-10-2017), dopo aver sommariamente analizzato la fattispecie (“Considerato: che l’art. 120 del d.lgs. n. 285/1992 recita così:“1. Non possono conseguire la patente di guida … le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi…. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 75, comma 1, lettera a), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, se le condizioni soggettive indicate al primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida. La revoca non può essere disposta se sono trascorsi più di tre anni dalla data di … passaggio in giudicato della sentenza di condanna per i reati indicati al primo periodo del medesimo comma 1”; che è evidente che la norma richiamata individua, quale causa ostativa al rilascio della patente di guida e, ove intervenuta successiva al suo rilascio, quale elemento determinante la sua revoca, la sussistenza di una condanna, disposta ai sensi dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, non operando alcun distinguo tra le diverse fattispecie ivi specificate e ponendo unicamente il limite temporale di tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza che l’ha disposta; che il rimarcato dato letterale è inequivocabile, nel senso di escludere ogni apprezzamento discrezionale, non lasciando spazio ad una diversa interpretazione, di tipo sistematico; che l’unico caso eccettuato dal mancato rilascio della patente o, se sopravvenuto, dalla sua revoca, è quello di cui all’art. 75, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 309/1990 – detenzione per uso personale, qui senz’altro non ricorrente; che, quanto al tempo trascorso dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, qui è inferiore a tre anni.”), non decide nel merito ma si limita solo a declinare la giurisdizione in favore del giudice ordinario, dato che, secondo il Collegio: “si tratta dell’esercizio di un’attività del tutto vincolata, rispetto alla quale si configurano posizioni giuridiche soggettive aventi la consistenza di diritto soggettivo, con la conseguenza che, come affermato da un orientamento giurisprudenziale prevalente (cfr.: Consiglio di Stato, sez. III, 6.6.2016, n. 2413; T.a.r. Lazio, Roma, sez. I ter, 6.4.2017, n. 4316; T.a.r. Campania, Napoli, sez. V, 25.10.2016, n. 4952; T.a.r. Piemonte, sez. II, 26.2.2016, n. 273; T.a.r. Puglia, Lecce, sez. I, 5.10.2011, n. 1716)”.

 

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Spostamento del mercato da luoghi d’interesse artistico.

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E’ legittimo il Piano del commercio che, per riqualificare un’area d’interesse storico-artistico -d’accordo con la Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici storici, artistici ed etnoantropologici per le province di Firenze, Pistoia e Prato- ha disposto il parziale spostamento di alcuni posteggi del mercato cittadino in altre aree del territorio comunale.
La Sezione V del Consiglio di Stato (Cons. St., sez. V, 19 aprile 2017, n. 1816 – Pres. Severini, Est. Contessa), a supporto delle conclusioni cui è pervenuta, ha richiamato, tra l’altro, l’art. 52 (Esercizio del commercio in aree di valore culturale e nei locali storici tradizionali), d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), secondo cui, nel testo di un solo comma ancora vigente al tempo dell’adozione dell’atto impugnato (i successivi commi – specificativi, ma non innovativi – vi sono stati introdotti solo a partire dal d.l. 8 agosto 2013, n. 91, convertito dalla l. 7 ottobre 2013, n. 112), “con le deliberazioni previste dalla normativa in materia di riforma della disciplina relativa al settore del commercio, i comuni, sentito il soprintendente, individuano le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio”.
Si tratta di previsione di preservazione del decoro urbano – finalità essenziale per la salvaguardia effettiva dei centri storici, delle città d’arte e dei complessi monumentali – che consente espressamente ai Comuni di procedere fino all’estromissione, con eventuale delocalizzazione o rilocalizzazione, degli esercizi commerciali incongrui o divenuti incongrui con il contesto.

E’ quindi corretto, ha concluso la Sezione, che la difesa di un centro storico non si limiti alla conservazione della consistenza materiale, ma riguardi anche la qualità dell’ambiente. Il degrado, da lungo crescente, di San Lorenzo andava in direzione opposta e il Comune ha bene applicato, a questo proposito, le leggi vigenti per la salvaguardia del decoro urbano.

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Condotte gravi e sanzioni disciplinari: non è requisito di validità l’affissione del codice di comportamento.

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Secondo la Suprema Corte (Cass. civ. Sez. lavoro, 31/10/2017, n. 25977), anche nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato deve ritenersi, relativamente alle sanzioni disciplinari conservative, e non solo espulsive, che, in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale, non sia necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare prevista dall’art. 55 del D.Lgs. n. 150 del 2009, in quanto il dipendente pubblico, come quello del settore privato, ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta.

 

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Le Sezioni Unite fissano il tema della indipendenza tra trasgressore e obbligato in solido.

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Comprendo che questo è un tema caro ai soli appassionati del sistema sanzionatorio amministrativo (quindi ad essere entusiasti della sentenza della Cassazione Civile, a Sezioni Unite 22-09-2017, n. 22082, saremo solo io e Serafino Mauriello che me l’ha gentilmente segnalata), però siamo davanti ad un principio storico:

“All’interno del sistema dell’illecito amministrativo la solidarietà prevista dalla L. n. 689 del 1981, art. 6 non si limita ad assolvere una funzione di sola garanzia, ma persegue anche uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione. Pertanto, l’obbligazione del corresponsabile solidale è autonoma rispetto a quella dell’obbligato in via principale, per cui, non dipendendone, essa non viene meno nell’ipotesi in cui quest’ultima, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., si estingua per mancata tempestiva notificazione; con l’ulteriore conseguenza che l’obbligato solidale che abbia pagato la sanzione conserva l’azione di regresso per l’intero, ai sensi del citato art. 6, u.c. verso l’autore della violazione, il quale non può eccepire, all’interno di tale ultimo rapporto che è invece di sola rilevanza privatistica l’estinzione del suo obbligo verso l’Amministrazione”.

Questo significa che, se entro i rituali 90 giorni non si notifica il verbale al trasgressore, l’eventuale notifica fatta all’obbligato in solido entro il predetto termine resta valida. Insomma, la Cassazione marca benissimo la distinzione tra l’articolo 6 e l’articolo 7 della L.689/1981.

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Il calcolo delle capacità assunzionali per il personale di Polizia Locale

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La sezione controllo della Corte dei Conti della Toscana, nel rispondere ad un quesito proposto dal Comune di Livorno, ha spiegato (Delibera, 07/09/2017, n. 164) come si procede ad effettuare il calcolo delle facoltà assunzioni derivanti dal Decreto 14/2017.

“La norma contenuta nel D.L. n. 14 del 2017, in materia di sicurezza delle città, è volta a consentire agli enti, nel calcolo delle facoltà assunzionali, l’applicazione di percentuali più alte alla spesa del personale di polizia locale cessato nell’anno precedente, rispetto al restante personale, in vista del rafforzamento delle attività rivolte al controllo del territorio e alla sicurezza urbana. Il dubbio del comune riguarda la possibilità di poter considerare, per l’assunzione di personale di polizia locale, anche la spesa relativa alle cessazioni del restante personale, e non solo la spesa concernente le cessazioni del personale di polizia locale. Considerata la finalità del legislatore e il tenore letterale della norma, l’interpretazione più corretta pare essere quella che consente agli enti di calcolare la capacità assunzionale sull’intera spesa che si riferisce alle cessazioni dell’anno precedente, ovviamente però applicando la percentuale più ridotta per essa prevista dall’art. 1, comma 228, L. n. 208 del 2015 (e non la percentuale superiore introdotta tramite il richiamo all’art. 3, comma 5, D.L. n. 90 del 2014). La percentuale superiore, infatti, può essere applicata solo sulla spesa relativa alle cessazioni del personale di polizia locale e, fra l’altro, in tal caso è precisato che tali cessazioni non rilevano ai fini del calcolo delle facoltà assunzionali del restante personale. Dunque, in sintesi, non sembra che siano determinati due budget assunzionali. Secondo l’interpretazione che appare più corretta, gli enti potranno calcolare la capacità assunzionale sull’intera platea dei dipendenti cessati, con le percentuali, per così dire, ordinarie, e poi utilizzare tale capacità anche (o solo) per il potenziamento del personale di polizia locale, in relazione al fabbisogno dell’ente e alla sua discrezionalità. Il tutto, naturalmente, nel rispetto di tutte le altre disposizioni normative relative ai vincoli posti alle assunzioni e al contenimento delle spese per il personale“.

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Ostacolo prevedibile, intersezione e velocità.

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Interessante pronuncia della Corte di Appello di Legge (App. Lecce, 19/07/2017) che incide sul rapporto di prevedibilità di cui all’articolo 141 del codice della strada.

“In tema di circolazione stradale se costituisce regola di prudenza e di attenzione nella guida prevedere che i limiti di velocità imposti possano non essere rispettati, così da compiere con particolare cautela la manovra di immissione in una strada rispetto alla quale si abbia l’obbligo di dare la precedenza, è un fatto del tutto straordinario che su una strada inserita nell’abitato urbano un mezzo possa viaggiare ad una velocità superiore al doppio di quella consentita. E non si tratta certamente di una violazione di poco conto se si considera che alla velocità è ovviamente collegato in modo inversamente proporzionale, il tempo impiegato per coprire una determinata distanza, tempo che chi è tenuto all’obbligo di precedenza deve necessariamente calcolare per verificare se vi sia in concreto la possibilità di impegnare l’incrocio in maniera tale da non costituire pericolo per i mezzi che sopraggiungono ed hanno diritto di precedenza. Quell’obbligo di prevedibilità non può dunque spingersi fino al punto di essere tenuti a considerare condotte sussumibili nell’ambito della assoluta eccezionalità, per essere ravvisabile una enorme sproporzione tra l’obbligo imposto e la violazione di tale obbligo posta in essere”.

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Fermi un veicolo, accerti che non è assicurato, non sanzioni né sequestri; tranquillo, non è abuso d’ufficio se il conducente non è un amico.

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Potrebbe essere come traccia di un concorso:

“Tizio, quale comandante della Stazione CC., nell’esercizio delle sue funzioni, in violazione di quanto prescritto dall’art. 193 C.d.S., avendo riscontrato nel corso di un controllo su strada che un’autovettura era priva di assicurazione RCA obbligatoria, ometteva di contravvenzionare il conducente e procedere al sequestro amministrativo dell’autovettura, così intenzionalmente procurando al predetto condicente un ingiusto vantaggio patrimoniale”.

A questo punto la traccia si completerebbe con l’inciso: “proceda il candidato ad individuare in quali reati sia incorso l’ipotetico autore della condotta omissiva descritta”.

In vero aspetto grottesco della fattispecie è, tuttavia, il seguente: Non si tratta di un caso teorico, ma di un fatto realmente accaduto e giudicato con la sentenza Cass. pen. Sez. VI, 11-10-2017, n. 46788.

La Cassazione ritiene, sul punto, che “nel delitto di abuso d’ufficio, per la configurabilità dell’elemento soggettivo è richiesto che l’evento costituito dall’ingiusto vantaggio patrimoniale o dal danno ingiusto sia voluto dall’agente e non semplicemente previsto ed accettato come possibile conseguenza della propria condotta, per cui deve escludersi la sussistenza del dolo, sotto il profilo dell’intenzionalità, qualora risulti, con ragionevole certezza, che l’agente si sia proposto il raggiungimento di un fine pubblico, proprio del suo ufficio (Sez. 6, n. 18149 del 07/04/2005, Fabbri ed altro, Rv. 231343); ancora, la prova dell’intenzionalità del dolo esige il raggiungimento della certezza che la volontà dell’imputato sia stata orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto. Tale certezza non può provenire esclusivamente dal comportamento “non iure” osservato dall’agente, ma deve trovare conferma anche in altri elementi sintomatici, quali la specifica competenza professionale dell’agente, l’apparato motivazionale su cui riposa il provvedimento ed i rapporti personali tra l’agente e il soggetto o i soggetti che dal provvedimento ricevono vantaggio patrimoniale o subiscono danno”.

In pratica, la Corte, ha annullato (con rinvio) la sentenza di condanna per abuso d’ufficio, in quanto pare che si sia omesso di motivare “sulla intenzionalità favoritrice rispetto ad una condotta tenuta nel corso di un occasionale controllo su strada nei confronti di un soggetto privo di relazioni con il ricorrente ed a seguito del quale non fu comunque consentita la prosecuzione della marcia del veicolo”.

A me pare una conclusione scellerata; quasi a dire: “se la multa non la fai ad uno sconosciuto, va bene, se non la fai ad un amico, meriti di essere condannato”; invero, una prospettiva avvilente.

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Opposizione a cartella di pagamento: la parola delle Sezioni Unite.

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L’opposizione alla cartella di pagamento, emessa ai fini della riscossione di una sanzione amministrativa pecuniaria comminata per violazione del codice della strada, va proposta ai sensi dell’art. 7 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 e non nelle forme della opposizione alla esecuzione ex art. 615 c.p.c., qualora la parte deduca che essa costituisce il primo atto con il quale è venuta a conoscenza della sanzione irrogata in ragione della nullità o dell’omissione della notificazione del processo verbale di accertamento della violazione del codice della strada. Pertanto, il termine per la proponibilità del ricorso, a pena di inammissibilità, è quello di trenta giorni decorrente dalla data di notificazione della cartella di pagamento.

Forse, con l’affermazione di questo principio, si mette la parola “fine” (Cass. Civ. Sez. Unite, Sent., 22-09-2017, n. 22080) al contrasto giurisprudenziale sorto per effetto della pronuncia della VI Sezione (Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., 30-09-2015, n. 19579) che aveva statuito che l’opposizione a cartella esattoriale diretta a far valere la tardività della notifica del verbale di contestazione di sanzione amministrativa non avesse funzione recuperatoria del mezzo di tutela ma di opposizione all’esecuzione volta a contrastare la legittimità dell’iscrizione a ruolo, sicché il giudice territorialmente competente andava individuato ai sensi degli artt. 27 e 480 c.p.c.

Con l’affermazione delle Sezioni Unite, quindi l’opposizione all’esecuzione degli atti della riscossione, quando si faccia valere un difetto di notifica dell’atto sanzionatorio che è alla base del credito –nel solco della prevalente pregressa dottrina- deve essere proposta nel rispetto dello speciale rito di cui all’art. 7 del D.Lgs n°150/2011. Ne consegue che, per l’opposizione: la competenza è del giudice del luogo della violazione; il rito da osservare per l’introduzione e lo svolgimento del giudizio; il termine per proporre l’opposizione stessa; l’instaurazione del contraddittorio (individuandosi il legittimo contraddittore nell’autorità titolare della pretesa contestata nel suo fondamento); l’oggetto del giudizio (consistente nell’accertamento della responsabilità dell’opponente e, quindi, della fondatezza della pretesa stessa); sono integralmente quelli di cui al menzionato articolo 7, se ci si ritrovi in materia di sanzioni stradali (articolo 6 del D.Lgs n°150/2011, se la questione attenga a sanzioni regolate integralmente dalla L.689/1981).

Qualora, invece, la procedura di contestazione e di irrogazione della sanzione amministrativa realizzatasi a monte si sia svolta regolarmente, la successiva notificazione della cartella esattoriale può dare adito, dinanzi al giudice ordinario, all’opposizione all’esecuzione a norma dell’art. 615 c.p.c., in relazione ai fatti estintivi asseritamente sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo, e all’opposizione agli atti esecutivi a norma dell’art. 617 c.p.c, in caso di deduzione di vizi di regolarità formale della cartella esattoriale, con la conseguenza che si devono utilizzare le forme proprie attinenti a tali rimedi oppositivi ed osservare i termini ed i criteri di competenza che li disciplinano rispettivamente.

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Omicidio stradale e causalità nella colpa.

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L’aver oggettivamente causato la morte di un uomo a seguito di un sinistro stradale non implica necessariamente la penale responsabilità, dal momento che la rimproverabilità della condotta esige quantomeno la rappresentabilità della verificazione dell’evento naturalistico (in ipotesi ‘non voluto’) e la violazione di una regola cautelare posta (però) proprio al fine di evitare la verificazione di eventi del tipo di quelli oggetto di accertamento nel processo. Ai fini dell’addebito di penale responsabilità inteso quale “rimproverabilità” per (e della) condotta occorre verificare se la regolare cautelare violata (in questo caso una regola di prudenza generica eppur specificata in una norma del Codice dellaStrada, comunque non esaustiva) fosse finalizzata ad evitare eventi del tipo di quello verificatosi in concreto.

Con queste parole, la Cass. pen. Sez. IV, 30/05/2017, n. 34375, ha annullato la sentenza della Corte di Appello di Bologna (che confermava la sentenza resa dal Tribunale di Rimini, in data 16.07.2010) mandando assolta una persona dal delitto di omicidio colposo aggravato della violazione delle norme sulla circolazione stratale ai danni di altra persona.

In entrambe le pronunce di merito la dinamica del sinistro veniva pacificamente ricostruita nel senso che il ciclomotore condotto dalla persona offesa, giunto in corrispondenza di un incrocio, rallentava la sua marcia e si accingeva a svoltare a sinistra approssimandosi alla linea di mezzeria, allorquando la conducente perdeva l’equilibrio e cadeva. Nel frangente, sopraggiungeva sulla carreggiata opposta un veicolo condotto dall’imputato che, giunto all’incrocio, urtava il corpo della persona, cagionandone la morte. Non vi era, dunque, stato alcun urto tra i mezzi poichè la persona conducente il ciclomotore era caduta in terra autonomamente in concomitanza con l’arrivo dell’autovettura. Così ricostruito l’episodio, i giudici del merito dichiaravano l’imputato colpevole del reato ascrittogli, individuando quale profilo di colpa la eccessiva velocità tenuta nel sopraggiungere all’incrocio, che non gli aveva consentito di evitare l’urto con il corpo della vittima.

“Occorre, in proposito, rammentare che è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che, in tema di reati colposi, l’elemento soggettivo del reato richiede non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione delle regole cautelari idonee a tal fine (cosiddetto comportamento alternativo lecito), non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione “ex ante”, non avrebbe potuto comunque essere evitato (Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016, Di Pietro, Rv. 269254; Sez. 4, n. 7783 del 11/02/2016, Montaguti, Rv. 266356, Sez. 4, n. 25648 del 22/05/2008, Ottonello, Rv. 240859). Il tema è stato di recente approfondito anche dalle Sezioni Unite della Suprema corte che, nel delineare i tratti distintivi tra la regola di giudizio relativa all’evitabilità dell’evento per effetto di condotte appropriate e quella relativa alla dimostrazione del nesso causale hanno precisato che è proprio la regola fissata dall’art. 43 cp , che, affermando che per aversi colpa l’evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole, implica che l’indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l’evento. Si ritiene infatti che non sarebbe razionale pretendere, fondando poi su di esso un giudizio di rimproverabilità, un comportamento che sarebbe comunque inidoneo ad evitare il risultato antigiuridico. Concludono, dunque, le Sezioni unite che la colpa si configura quando la cautela richiesta avrebbe avuto significative probabilità di successo; quando cioè l’evento avrebbe potuto essere ragionevolmente evitato, quando – insomma – si configura la cosiddetta “causalità della colpa” (Sez. U, n. 38343 del 24.04.2014, Espenhahn, in motivazione). In tale ambito ricostruttivo, la violazione della regola cautelare e la sussistenza del nesso di condizionamento tra la condotta e l’evento non sono, pertanto, sufficienti per fondare l’affermazione di responsabilità, giacchè occorre anche chiedersi, necessariamente, se l’evento derivatone rappresenti o no la “concretizzazione” del rischio che la regola stessa mirava a prevenire (Cass. Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009, dep. 17/11/2009, Rv. 245526). Difetta, in altri termini, l’evitabilità e quindi la colpa quando l’evento si sarebbe verificato anche qualora il soggetto avesse agito nel rispetto delle norme cautelari”.

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E’ competente il dirigente per l’adozione delle ordinanze di viabilità.

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I provvedimenti con i quali si disciplina la circolazione sulla viabilità comunale, la modalità di accesso alla stessa ed i relativi orari, l’eventuale divieto per talune categorie di veicoli, i controlli e le sanzioni, ai sensi degli artt. 6 e 7 del  Codice della Strada, assumono natura tipicamente gestoria ed esecutiva e quindi appartengono alla competenza dei dirigenti e non del Sindaco, anche avendo riguardo all’assenza di qualsiasi presupposto di urgenza che potrebbe giustificare l’adozione di un’ordinanza contingibile ed urgente. Con queste parole, il Consiglio di Stato, con sentenza della Sez. V, 13/07/2017, n. 3460 ( di Conferma della sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sez. II ter, n. 1101/2016), ha respinto (anche in grado di appello) il ricorso del titolare di un esercizio commerciale autorizzato per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, che intendeva demolire l’ordine di rimozione di una pedana antistante il suo esercizio, rimessogli dal Comune di Roma.

L’appellante ha  dedotto  che la determinazione dirigenziale impugnata sarebbe illegittima per difetto di competenza, in quanto non adottata dal sindaco, che avrebbe potuto disporre la rimozione della pedana abusivamente installato (quindi, secondo il ricorrente, il dirigente non avrebbe competenza in tale materia). Tale motivo non ha merita favorevole considerazione da parte del collegio: “E’ sufficiente ribadire al riguardo che, secondo l’orientamento ormai consolidatosi in giurisprudenza, i provvedimenti con i quali si disciplina la circolazione sulla viabilità comunale, la modalità di accesso alla stessa ed i relativi orari, l’eventuale divieto per talune categorie di veicoli, i controlli e le sanzioni, ai sensi degli artt. 6 e 7 del Codice della Strada, assumono natura tipicamente gestoria ed esecutiva e quindi appartengono alla competenza dei dirigenti e non del Sindaco, anche avendo riguardo all’assenza di qualsiasi presupposto di urgenza che potrebbe giustificare l’adozione di un’ordinanza contingibile ed urgente (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 5191 del 2015). Nel caso di specie, stante la pacifica natura gestoria e meramente vincolata dell’ordine di rimozione della pedana posta abusivamente in mancanza di un apposito provvedimento favorevole da parte dell’ente, non può negarsi la competenza dirigenziale alla relativa adozione”.

 

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Ordinanza Contingibile ed urgente per deviare i migranti: non si può fare.

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Ordinanza Contingibile ed urgente per deviare i migranti: non si può fare.

Com’era scontato che venisse deciso, il TAR del Lazio (Latina), con sentenza n°370 del 4 luglio 2017 ha annullato l’ordinanza con cui il Sindaco di Roccasecca ha tentato di “arginare” l’insediamento dei migranti nel suo Comune. L’atto impugnato dichiarava l’inabitabilità, per ragioni igienico sanitarie e di sicurezza, di un immobile locato dalla persona giuridica ricorrente per esercitare l’attività di accoglienza di soggetti richiedenti protezione internazionale.

Dalle norme che regolano la materia (D.lgs n. 142 del 2015), “si evince, quindi, che è riservata alla competenza del Ministero dell’Interno – Prefettura la individuazione delle strutture da adibire all’accoglienza degli immigrati irregolari e la valutazione in ordina alla idoneità delle stesse a soddisfare le esigenze indicate all’art. 10 comma 1 del D.lgs cit. (il rispetto della sfera privata, comprese le differenze di genere, delle esigenze connesse all’età, la tutela della salute fisica e mentale dei richiedenti, l’unità dei nuclei familiari composti da coniugi e da parenti entro il primo grado, l’apprestamento delle misure necessarie per le persone portatrici di particolari esigenze ai sensi dell’articolo 17. Sono adottate misure idonee a prevenire ogni forma di violenza e a garantire la sicurezza e la protezione dei richiedenti), oltre che al possesso dei requisiti indicati nel bando di gara. In tale contesto, quindi, si deve affermare che è illegittima, per incompetenza, l’ordinanza sindacale volta a incidere in materia di accoglienza agli immigrati irregolari, in quanto riservata alla esclusiva competenza del Ministero dell’Interno e delle Prefetture. Inoltre, nell’esercitare il potere attributo dall’art. 54 del Tuel il Sindaco quale ufficiale del Governo, è organo dello Stato e, come tale, è gerarchicamente sottoposto al Prefetto per cui non può adottare provvedimenti che contrastano con quelli emessi da quest’ultimo”.

Al di là dell’esito scontato del giudizio, la vicenda dimostra che la questione dell’accoglienza non è solo tema etico, ma anche economico…. Fare ricorso al TAR ha dei costi…. Se si spende è perché –in molti casi- il “bene della vita” ha un considerevole valore economico.

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Il Comune non può vietare il “volantino in buca”, nemmeno con regolamento.

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Il Comune non può vietare il “volantino in buca”, nemmeno con regolamento.

Molto forte e privo di qualsiasi comprensione per le ragioni della comunità locale è la sentenza del TAR per il Piemonte, n°742 del 15/06/2017 che annulla un articolo del regolamento comunale “Regolamento comunale per la Pulizia Urbana e il decoro ambientale” del comune di Ornavasso nella parte in cui prevedeva che: ““E’ consentita la distribuzione di volantini mediante consegna a mano e/o inserimento completo nella cassetta della posta nei soli giorni di mercoledì e giovedì. E’ vietato introdurre volantini nelle cassette della posta dove è espressamente evidente la volontà di non ricevere volantini (es. scritta no volantini) e la dove è evidente il fatto che non vengono ritirati (es. dove ci sono quelli vecchi non ritirati). Nel caso in cui non sia possibile individuare l’autore della violazione risponderà in solido per gli aspetti sanzionatori il beneficiario del messaggio contenuto nel volantino”.

Il regolamento, impugnato da un operatore economico del settore, viene mutilato in base alla seguente motivazione: “l’amministrazione comunale non dispone di poteri autorizzatori relativi all’attività di distribuzione di materiale pubblicitario. Si tratta infatti di un’attività essenzialmente libera, come la generalità dei servizi resi da privati (v. art. 10 del Dlgs. 26 marzo 2010 n. 59), e tutelata dalle norme che proteggono e favoriscono l’iniziativa economica (v. art. 1 del DL 24 gennaio 2012 n. 1). Gli obblighi imposti dal Comune sono quindi illegittimi per contrasto con i principi della liberalizzazione economica ormai codificati anche nell’ordinamento interno (TAR Lecce, sez. II, 26 maggio 2014, n. 1288; TAR Brescia, sez. I, 9 luglio 2015, n. 905 e 22 marzo 2013, n. 284). Sicché, della norma regolamentare, anche laddove intesa (nel senso sostenuto dalla parte resistente) come recante disposizioni direttamente impingenti sulla materia della distribuzione di materiale pubblicitario, non potrebbe che disporsi la disapplicazione, in quanto contrastante con sovraordinate disposizioni legislative. Né pare possibile trovare una giustificazione al regolamento neppure configurando le disposizioni contestate come introduttive di restrizioni alle attività economiche, in coerenza con la possibilità in tal senso prevista dall’art. 8, comma 1, lett. h) del D.Lgs. 59/2010 (di recepimento della c.d. Direttiva Bolkenstein) al ricorrere di “motivi imperativi d’interesse generale”, tra i quali sono inclusi anche quelli afferenti alla tutela dell’ambiente e del decoro urbano (oltre a quelli della salute, dei lavoratori, e dei beni culturali). È vero infatti che detta facoltà sussiste in astratto e che la stessa può esplicarsi in funzione della garanzia della sicurezza urbana, concetto comprensivo di una vasta serie di interessi pubblici, quali la vita civile, il miglioramento delle condizioni di vivibilità nei centri urbani, la pacifica convivenza e la coesione sociale. Tuttavia, al fine di evitare un effetto di facile elusione o di depotenziamento delle norme poste a tutela dell’iniziativa economica, si impone un’interpretazione cauta e restrittiva delle prevalenti esigenze di interesse generale quali ragioni ostative al libero esplicarsi dell’iniziativa economica. Proprio l’ampiezza del concetto di tutela dell’ambiente urbano e l’implicazione di rilevanti e diffusi interessi economici potenzialmente pregiudicati da misure di ordine pubblico, impongono di limitare i poteri di restrizione della libera attività economica alle sole situazioni di reale e comprovato disagio collettivo, tali da giustificare un proporzionato utilizzo di poteri invasivi della sfera di libertà dei privati. Siffatta conclusione è ulteriormente giustificata dal fatto che i comuni possono invece operare attraverso i normali poteri di vigilanza sul territorio per prevenire gli effetti indesiderabili del volantinaggio (maggiori rifiuti, intasamento delle cassette postali) e per sanzionare i singoli abusi, colpendo esclusivamente i responsabili e le imprese per cui gli stessi effettuano la distribuzione pubblicitaria. Le norme in materia di distribuzione della pubblicità non costituiscono espressione di una bilanciata e contingentata applicazione dei poteri restrittivi della libera iniziativa economica ai limitati casi di reale e accertata necessità: prova ne sia il carattere generalizzato e astratto con il quale vengono introdotti i divieti alla distribuzione del materiale pubblicitario”.

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Ma come fanno i marinai… a trovare sempre parcheggio…

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Le cause si promuovono anche solo per “questione di principio” e la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), n°10516 del 25 luglio 2017, dimostra che anche se si deve sudare un bel po’ di anni per veder spuntar l’applicazione delle regole giuridiche anche nei confronti dei potenti, un minimo di soddisfazione arriva sempre.

La questione concreta dedotta in giudizio attiene ad un “fattaccio romano” (che poi, nella sostanza, diventa “fattaccio nazionale”) nel quale un ministero (ma a livello locale ciò fanno i le Procure della Repubblica ed i Tribunali, le Forze di Polizia ed i Comuni) si impossessa di uno spazio pubblico, riservando la sosta alle “sole autovetture militari”. Un avvocato romano, per tigna (forse) e per amore di diritto (sicuramente), avendo lo studio in zona, ha inteso arginare questo fenomeno usurpativo consumatosi in Piazza della Marina, a Roma.

Si legge in sentenza: “Sulla stessa Piazza ha il proprio accesso il Ministero della Difesa-Marina, edificio che si trova collocato in posizione distaccata dalla Piazza e che ha a propria disposizione un ampio spazio parallelo alla Piazza medesima recintato e custodito in quanto di proprietà dell’Amministrazione che è da sempre destinato in parte al parcheggio delle autovetture del Ministero e in parte ad area verde. … mentre in corrispondenza dell’unico lato attraverso il quale si può accedere veicolarmente alla Piazza è stato apposto un cartello indicante il divieto di parcheggio su tutta la Piazza, alla metà dell’area costituita dalla Piazza sono stati collocato cartelli mobili contenenti la seguente indicazione: “Comando militare marittimo autonomo della Capitale – Ufficio Servizi Generali Palazzo Marina 1^ Sezione Dettagli e Sicurezza –Parcheggio riservato esclusivamente alle autovetture militari”. Di fatto, prosegue il ricorrente, si può riscontrare che mentre sulla Piazza vengono parcheggiate autovetture “blu” di pertinenza ministeriale, all’interno dell’area di pertinenza del Ministero vengono parcheggiate anche molte autovetture private.

Insomma, sotto il velo della riserva dei posti alle auto di servizio, si svela la solita faccenda: questi posti sono riservati ai dipendenti ed alle loro auto private, con spregio di ogni valore giuridico che colloca, il dipendete in divisa, in una non meglio giustificata posizione di vantaggio nei confronti della collettività di persone che- senza il munus della divisa o della funzione- va al lavoro in auto e deve trovarsi un posto (magari a a pagamento)

Secondo il ricorrente, il Comune di Roma ha consentito una vera e propria “appropriazione dell’area pubblica per la sostanziale soddisfazione di interessi settoriali” sono lesivi del proprio interesse da un duplice punto di vista, in quanto, “se la Piazza non deve avere utilizzazione di parcheggio, è interesse del ricorrente e di tutti i cittadini della zona di avere il godimento della fruibilità dell’area libera da auto; laddove, se la Piazza deve essere destinata a parcheggio, è interesse che il parcheggio sia libero per tutti i cittadini e non riservato”.

Per carità, nel 2002 (anno del ricorso) la sospensiva non fu accordata….. nel 2017 però la disposizione del Comune di Roma viene annullata, per eccesso di potere derivante da istruttoria contraddittoria, con la seguente motivazione: “La contraddittorietà intrinseca ed evidente tra la motivazione dell’atto di concessione e l’effettiva utilizzazione dell’area, tenuto conto del contesto stradale e delle carenze istruttorie sopra enucleate, ha fatto emergere, dunque una finalità non coerente con le paventate esigenze; la concessione è apparsa, invero, piuttosto finalizzata a consentire al Ministero di disporre di un’ulteriore e aggiuntiva (rispetto a quella ampia di cui già dispone all’interno dell’edificio) area di sosta per i mezzi del personale: circostanza che espone l’atto a profili di sviamento di potere nella misura in cui la richiesta avanzata dal Ministero abbia malcelato siffatta finalità”.

Dopo questa sentenza, nulla cambierà in Italia, ci mancherebbe. Resta il fatto che il sodalizio tra Comune di Roma e Ministero della Marina è stato sbugiardato dal TAR, con soddisfazione, magari piccola, di chi ha visto per decenni la pratica di abusare dello spazio demaniale.

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Direttiva “Minniti” parte quinta: la tutela della privacy.

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La direttiva “Minniti” (o meglio, il suo allegato relativo all’uso dei misuratori di velocità e di atri strumenti simili, idonei all’accertamento automatico delle violazioni), effettua anche una ricognizione delle questioni inerenti il rapporto tra tutela della privacy e potestà di accertamento (Cfr. punto 6 dell’allegato).

Cosa più rilevante di tutte: “i dispositivi… devono essere impiegati nel rispetto delle norme sulla riservatezza personale (D.Lgs n°196/2003)…. Gli apparecchi di rilevazione, pur potendo effettuare un continuo monitoraggio del traffico, memorizzano le immagini solo in caso di infrazione”.

Questo passaggio risveglia una mia precisa convinzione, già articolata in precedenti scritti, inerente la generale impossibilità di “abusare” degli strumenti automatici di rilevazione delle targhe, per poi trattare questi dati in vista di una ipotetica violazione, da confermarsi tramite il meccanismo offerto dall’articolo 180 del Codice della strada (quindi, con i miei scritti -tra cui anche uno qui in allegato-, criticavo –restando bersagliato da numerose critiche da parte soprattutto dei produttori e venditori di tali strumenti- l’abuso dei meccanismi previsti dal codice per altri fini).

Il punto 6.2 si riferisce alle particolari cautele che occorre porre in essere nel caso in cui siano coinvolti nel procedimento di trattamento dei dati, anche i soggetti privati che svolgano attività sussidiarie. I punti 6.3 e 6.4 trattano –rispettivamente- la visione delle fotografie da parte degli interessati (interessante il collegamento con la connessa vicenda dell’accesso agli atti) e le riprese frontali.

Vigile Urbano -7&8 2016- NAPOLITANO (stralcio riservatezza dati personali) 2017-n_-05620_del_21_07_2017 (nuova direttiva autovelox)

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Fuga dal luogo del sinistro e dolo eventuale.

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Nella vicenda considerata da Cass. pen. Sez. IV, Sent., 04-07-2017, n. 32114, importante in tema di dolo eventuale quale elemento idoneo a configurare la sussistenza del reati di fuga dal luogo del sinistro, scuote più il fatto che non la situazione di diritto.

Si tratta di due incidenti che si sono susseguiti a distanza ravvicinata di tempo l’uno dall’altro. Nel primo, la Renault Clio condotta dall’imputato, a causa di una brusca accelerazione, ruotando di 90 gradi rispetto al suo senso di marcia, finiva con l’urtare violentemente la parte posteriore del veicolo Fiat Palio, nel cui interno erano presenti due persone (che riportavano lesioni a causa dell’impatto), una delle quali riusciva ad annotare la targa del veicolo che le aveva urtate. Dalla Renault scendevano due giovani di origine nordafricana (uno dei quali, il soggetto alla guida, successivamente identificato per l’imputato), visibilmente alterati da sostanze stupefacenti o alcoliche. I due, dopo aver raccolto la targa anteriore della loro vettura, staccatasi a causa dell’urto, risalivano sul veicolo e si allontanavano a gran velocità, nonostante i danni subiti e le lesioni inferte alle due donne. Nel secondo, avvenuto poco dopo il primo, la stessa Renault Clio andava a tamponare violentemente una Ford Focus ferma al semaforo, causando ad un’altra persona, passeggera della stessa, una contusione al ginocchio destro. Il guidatore della Renault, lungi dal fermarsi per prestare soccorso, invertiva il senso di marcia con una brusca manovra e si allontanava, facendo perdere le proprie tracce.

Siamo al cospetto di un giorno di ordinaria follia stradale e di profonda inciviltà umana e sociale, sulla quale occorre riflettere, a prescindere dalla massima di diritto che la sentenza della Cassazione (da cui è estratta la narrativa del fatto) pone.

Sul piano giudiziario, l’imputato aveva proposto ricorso in Cassazione in relazione al fatto che nel giudizio di merito non fosse stata acquisita la prova del dolo.

La sentenza evidenzia che: “si deve rammentare che nel reato di “fuga”, previsto dall’art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, il dolo deve investire non solo l’evento dell’incidente, ma anche il danno alle persone e, conseguentemente, la necessità del soccorso, che non costituisce una condizione di punibilità; tuttavia, la consapevolezza che la persona coinvolta nell’incidente ha bisogno di soccorso può sussistere anche sotto il profilo del dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l’esistenza (Sez. 4, n. 34134 del 13/07/2007)”.

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La nullità dei verbali per “eccesso di delega ai privati”.

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Riprendendo, per singoli passi, la direttiva “Minniti”, proponiamo alcuni spunti di riflessione.

Lo spunto di riflessione che rispecchia il titolo di questo breve contributo lo estraiamo da pagina 8, dell’allegato 1, alla menzionata direttiva.

Qui si afferma: l’accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale…ricade tra le attività di cui all’art. 11 coma 1, lett.a), C.d.S., e pertanto, costituendo servizio di polizia stradale, non può essere delegato a terzi, pena la nullità degli accertamenti”.

Nulla di nuovo, ci mancherebbe! Solo che è stentoreo il tono, che parla di nullità. Resta da capire, quindi, quale sia il limite di intromissione che il privato può avere nelle fasi di accertamento delle violazioni con misuratori di velocità.

Per capire il limite in parola, si legga con attenzione, il punto 5.2 del menzionato allegato, rubricato alla voce: “attività che possono essere affidate a privati: servizi sussidiari all’accertamento”.

Unico viatico per non incorrere nell’ “eccesso di delega” è il rispetto puntuale di questo capo dell’allegato.

stralcio direttiva autovelox

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Introduzione del reato di “tortura”: L. 110/2017

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Con la Legge, 14 luglio 2017, n. 110 (Pubblicata nella Gazz. Uff. 18 luglio 2017, n. 166) si è pervenuti alla “Introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano”.

Nel libro secondo, titolo XII, capo III, sezione III, del codice penale dopo l’art. 613, sono aggiunti i seguenti:

«Art. 613-bis (Tortura). – Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.
Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni.
Il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti.
Se dai fatti di cui al primo comma deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà.
Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo.

Art. 613-ter (Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura). – Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».

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Accesso atti: esposti e denunce, di norma vanno ostesi (diniego illegittimo).

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E’ illegittimo il diniego di accesso ad un esposto a seguito del quale è stato attivato un procedimento di verifica o ispettivo, e ciò in quanto colui il quale subisce tale procedimento ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti di iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti.

 Ha chiarito il Tar (Tar Toscana, sez. I, 3 luglio 2017, n. 898) che il privato, che subisce un procedimento di controllo, vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l’esercizio del potere – inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l’azione dell’autorità – suscettibili per il loro particolare contenuto probatorio di concorrere all’accertamento di fatti pregiudizievoli per il denunciato. Infatti, l’esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell’amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un’attività ispettiva o di un intervento in autotutela, e di conseguenza il denunciante perde consapevolmente e scientemente il “controllo” e la disponibilità sulla propria segnalazione: quest’ultima, infatti, uscita dalla sfera volitiva del suo autore diventa un elemento del procedimento amministrativo, come tale nella disponibilità dell’amministrazione. La sua divulgazione, pertanto, non è preclusa da esigenze di tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi.

 

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Opposizione ad atti della riscossione. Promemoria del GDP meneghino.

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Il G.d.P. di Milano (Giudice di pace Milano Sez. VI, Sent., 05-04-2017) ci ricorda che secondo la giurisprudenza di merito e di legittimità, la cartella esattoriale, primo atto esecutivo, sia impugnabile ai sensi della L. n. 689 del 1981, purché il ricorrente lamenti la mancata regolare notifica del verbale da cui la cartella è poi scaturita, così da poter recuperare un ineludibile momento di tutela. Avverso la cartella esattoriale emessa ai fini della riscossione di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni del codice della strada sono esperibili sono diversi rimedi “a) l’opposizione ai sensi della L. n. 689 del 1981, allorché sia mancata la notificazione dell’ordinanza-ingiunzione o del verbale di accertamento di violazione al codice della strada, al fine di consentire all’interessato di recuperare il mezzo di tutela previsto dalla legge riguardo agli atti sanzionatori; b) l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., allorché si contesti la legittimità dell’iscrizione a ruolo per omessa notifica della stessa cartella, e quindi per la mancanza di un titolo legittimante l’iscrizione a ruolo, o si adducano fatti estintivi sopravvenuti alla formazione del titolo; c) l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cod. proc. civ., qualora si deducano vizi formali della cartella esattoriale o del successivo avviso di mora. Mentre nel primo caso, ove non sia stato possibile proporre opposizione nelle forme e nei tempi previsti dall’art. 204 codice della strada, il ricorso deve essere proposto nei termine di trenta giorni dalla notifica della cartella, determinandosi altrimenti la decadenza dal potere di impugnare, nel caso di contestazione di vizi propri della cartella esattoriale l’opposizione – all’esecuzione o agli atti esecutivi – va proposta nelle forme ordinarie previste dagli artt. 615 e ss. cod. proc. civ., e non è soggetta alla speciale disciplina dell’opposizione a sanzione amministrativa dettata dalla L. n. 689 del 1981.” Cass. n. 9180 del 2006.

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Accesso civico a procedimento disciplinare, diniego, legittimità.

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Il Provvedimento del 31/05/2017, n. 254, adottato dal Garante per la protezione dei dati personali, è di grande interesse con riguardo alla tematica del bilanciamento tra il diritto alla conoscenza ed il diritto alla riservatezza. Il provvedimento è, nella sostanza, la risposta alla richiesta di parere, rimessa al predetto garante a norma del novellato D.Lgs 33/2013 dal RPC di un piccolo Comune, inerente un’istanza di accesso civico -che, esitata negativamente, pendeva in riesame- avente ad oggetto la copia degli atti relativi alla sanzione disciplinare inflitta ad un dipendente comunale. Nella richiesta di parere al Garante, il Responsabile della prevenzione della corruzione ha aggiunto che il soggetto controinteressato «benché vi sia prova dell’avvenuta ricezione della comunicazione, non ha fornito alcun riscontro alla suddetta richiesta» e che il dipendente destinatario del provvedimento disciplinare «ha fatto ricorso avverso il predetto atto per il quale, allo stato attuale, pende un giudizio dinanzi al Giudice del Lavoro», pertanto è stato chiesto al Garante: «se il fatto che trattasi di provvedimento disciplinare inerente [un] dipendente […], in un contesto in cui il Comune ha fatto richiesta di aderire alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ex art. 243 bis T.U.E.L. sia di per sé sufficiente a far ritenere che l’interesse della collettività alla conoscenza del provvedimento disciplinare debba addirittura essere prevalente su quello della tutela dei dati personali; [considerando anche] che, al momento, è ancora in corso l’istruttoria […], per cui alcun taglio sui servizi ai cittadini è stato – ad oggi – attuato»;- «se in questa fase, come apparrebbe necessario, visto anche che c’è un contenzioso lavoristico in corso e che potrebbero avviarsi anche attività di altre autorità giudiziarie, debba ritenersi comunque prevalente l’interesse del privato e quindi la tutela dei dati della persona – incisa dal provvedimento disciplinare: in tal caso infatti andrebbe reiterato, come sembra necessario, il diniego già opposto alla richiesta di accesso generalizzato, per le suddette motivazioni, in quanto l’ostensione dell’atto sarebbe potenzialmente in grado di ledere l’immagine della persona nella comunità torittese di circa 9000 abitanti».

Con particolare riferimento al caso sottoposto all’attenzione del Garante, risulta che l’accesso civico aveva a oggetto atti relativi alla sanzione disciplinare inflitta a un dipendente comunale, contro la quale risulta tuttora pendente un contenzioso nei confronti del Comune dinnanzi al Giudice del Lavoro. In tale contesto, l’accesso civico è stato negato, in quanto l’amministrazione ha valutato che l’accesso generalizzato ai predetti atti può arrecare un pregiudizio concreto alla protezione dei relativi dati personali in conformità alla disciplina legislativa in materia. Ciò anche se il soggetto controinteressato, pur avendo avuto comunicazione dell’istanza di accesso civico, non ha presentato opposizione.

In questo caso, il garante ritiene: “che la conoscenza delle informazioni contenute negli atti relativi alla sanzione disciplinare inflitta al dipendente comunale unita al citato regime di pubblicità degli atti oggetto dell’accesso generalizzato – considerando proprio la natura disciplinare del procedimento e la circostanza che per lo stesso è ancora pendente un contenzioso giudiziario – è suscettibile di determinare, a seconda delle ipotesi e del contesto in cui le informazioni fornite possono essere utilizzate da terzi, proprio quel pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. a), del d. lgs. n. 33/2013….Nel caso sottoposto all’attenzione del Garante, la legittima esigenza conoscitiva rappresentata dal richiedente l’accesso generalizzato, come si evince dalla richiesta di riesame, dovrebbe trovare soddisfazione nella conoscenza dei fatti connessi all’emergenza finanziaria che ha coinvolto il Comune, confluente nella richiesta dell’amministrazione di aderire alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ex art. 243-bis T.U.E.L, indipendentemente dalle valutazioni connesse alla responsabilità disciplinare del singolo dipendente.

 

I documenti richiesti tramite l’accesso generalizzato contengono invece, nel caso di specie, dati personali che risultano in ogni caso sproporzionati, eccedenti e non pertinenti rispetto alla soddisfazione del bisogno conoscitivo manifestato dall’istante (cfr. anche Linee guida dell’ANAC par. 8.1). Per tutti i motivi considerati, allo stato degli atti e ai sensi della normativa vigente, si ritiene che l’amministrazione abbia correttamente respinto l’istanza di accesso civico”.

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Sanzioni amministrative: termine, notifica, lingua e rigetto. (Trib. Treviso)

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I legali rappresentanti di una ditta di autotrasporto proponevano opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Prefetto di Treviso con la quale era irrogata la sanzione amministrativa di Euro 4.130,00 per violazione dell’art. 46 L. n. 298 del 1974, in quanta da un controllo l’autista non era in grado di esibire un valido attestato del conducente in occasione di un trasporto internazionale soggetto a licenza comunitaria. I ricorrenti lamentavano l’inesistenza/nullità dell’ordinanza ingiunzione per vizio di notifica, in quanto comunicata in Polonia direttamente alla sede della ditta proprietaria del mezzo, la nullità/inesistenza/illegittimità/annullabilità del provvedimento impugnato per omessa traduzione, per vizio sostanziale di forma non riportando avviso o informazione circa la possibilità o modalità di difesa o i tempi e i modi di opposizione, per decorrenza del termine di conclusione del procedimento e, nel merito, per insussistenza della fattispecie contestata, avendo il conducente il possesso del documento, pur non esibito.

Osserva il Tribunale di Treviso (Sez. I, Sent., 05-06-2017) che “La notifica ha raggiunto lo scopo e pertanto ogni eventuale vizio deve considerarsi sanato ex art. 156 c.p.c., avendo avuto i ricorrenti la possibilità di esercitare appieno il proprio diritto di difesa. Il primo motivo di impugnazione deve andare quindi disatteso”.

Con il secondo e il terzo motivo, i ricorrenti lamentano rispettivamente la nullità/inesistenza/illegittimità/annullabilità del provvedimento impugnato per omessa traduzione e per vizio sostanziale di forma, mancando l’indicazione di informazioni circa la possibilità o le modalità di difesa, nonché circa i tempi e i modi di opposizione.

Al riguardo, il Tribunale, osserva che: “l’ordinanza-ingiunzione redatta in lingua italiana ha consentito ai ricorrenti di esercitare appieno il proprio diritto di difesa. Per giurisprudenza costante inoltre la mancata indicazione del termine entro il quale ricorrere o la mancata indicazione dell’Autorità Giudiziaria competente non inficia la validità dell’atto, costituendo una mera irregolarità del provvedimento (si vedano in proposito: Cass. n. 5453 del 4.6.1999, Cass. n. 17361 del 25.6.2008; Cass. n. 26204 del 14.12.2009 e Cass. 7730 del 30.3.2009. Ne deriva che anche tali motivi di impugnazione debbono essere respinti”.

Con il quarto motivo d’impugnazione, i ricorrenti invocano l’inesistenza, nullità o annullabilità del provvedimento per decorrenza del termine di conclusione del procedimento, asserendo che la Prefettura aveva 90 giorni per emettere l’ordinanza-ingiunzione dal deposito degli scritti difensivi.

Secondo il giudice: “ La giurisprudenza ha chiarito che, nel caso di mancata contestazione immediata, il termine di 90 giorni di cui all’art. 14 L. n. 689 del 1981 non decorre dal momento della violazione e nemmeno dal momento della mera conoscenza dei fatti nella loro materialità, bensì dal compimento delle operazioni volte ad acquisire la ragionevole certezza dell’esistenza del fatto criminoso ed idonee a formulare la contestazione. In tal senso si veda tra le altre la sentenza della Cassazione Civile n. 5467 del 2008, secondo la quale “costituisce jus receptum in tema di sanzioni amministrative che, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata, la conclusione dell’accertamento della violazione, in relazione alla quale collocare il dies a quo del termine di novanta giorni stabilito dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2, per la notifica degli estremi della violazione, non coincide con la conoscenza dei fatti nella loro materialità, ma si perfeziona con l’acquisizione, da parte dell’autorità alla quale è stato trasmesso il rapporto, di tutti i dati afferenti gli elementi oggettivi e soggettivi della violazione e con la indispensabile valutazione di questi ai fini di una corretta formulazione della contestazione” (si vedano anche: Cass. Civ. n. 10621 del 2010, Cass. Civ. n. 9311 del 2007, Cass. Civ. n. 3043 del 2009, Cass. Civ. n. 25916 del 2006. Cass. Civ. n. 12830 del 2006)”.

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Quesito: Invocazione della causa di giustificazione da parte del trasgressore; decisione.

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Quesito per passiamo: la risposta!
Risposta ai quesiti posti dai lettori

Quesito: Invocazione della causa di giustificazione da parte del trasgressore; decisione.

QUESITO

Gentile Dott. Napolitano, durante un suo corso sulla L. 689/1981 ho sentito che richiamava che il Ministero dell’interno, con una sua circolare, aveva sostenuto che la decisione sulla esistenza della causa di giustificazione, invocata dal trasgressore, quando si contesta una sanzione, non poteva essere decisa dall’accertatore ma solo dall’autorità decidente.

Posso avere gli estremi della circolare?

Grazie.

 

RISPOSTA

Sperando che il quesito non nasca dalla voglia di testare l’affidabilità delle mie affermazioni, ma dal puro desiderio di avere certezza del fatto che NON SI PUO’ DESISTERE DALL’ACCERTARE UNA VIOLAZIONE punita con sanzione amministrativa ai sensi della L.689/1981, SOLO PERCHE’ IL TRASGRESSORE HA INVOCATO L’ESISTENZA DI UNA DELLE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE di cui all’art. 4 della L.689/1981, le preciso che la circolare ministeriale cui mi riferivo è “Circolare M/2413/11 del 24 febbraio 2000” , secondo cui: “Nel caso in cui, viceversa, l’organo accertatore … ritenga presente una causa di esclusione della responsabilità prevista dall’art. 4 legge 24 novembre 1981, n. 689, l’esclusione della illiceità del comportamento altrimenti vietato deve   essere   formalmente   dichiarata   dall’Autorità   amministrativa   competente   a   ricevere il rapporto alla quale, pertanto, deve essere inviato il verbale di accertamento   notificato,   non   potendo   l’organo   di   polizia   archiviare   direttamente …”.

La circolare menzionata non aggiunge nulla di nuovo a quanto già sapevamo; essa è una mera conferma di principi giuridici immanenti al sistema.

Cordiali Saluti.

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I due termini per la notifica valgono anche per le sanzioni amministrative.

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Il principio della scissione degli effetti tra notificante e destinatario dell’atto è applicabile anche ove si tratti di atti di un procedimento amministrativo sanzionatorio, non ostandovi la loro recettizietà, le volte in cui dalla conoscenza dell’atto stesso decorrano i termini per l’esercizio del diritto di difesa dell’incolpato, e, ad un tempo, si verifichi la decadenza dalla facoltà di proseguire nel menzionato procedimento in caso di mancata comunicazione, entro un certo termine, delle condotte censurate.

Con questa massima, le Sezioni Unite della S.C. (Cass. civ. Sez. Unite, 17/05/2017, n. 12332) hanno ribadito che non è assolutamente pensabile che il sistema sanzionatorio amministrativo possa essere eccentrico rispetto alle altre materie, in tema di notifica. La decadenza matura, quindi, se entro il termine di Legge non si deposita il piego all’ufficiale postale, non già se entro il termine l’atto non sia stato ricevuto.

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Ordinanza anti movida a Torino, polemiche e fatti.

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Dopo gli scontri della notte tra il 20 ed il 21 giugno 2017, tra Polizia e gruppi antagonisti (più o meno organizzati), infiamma sulla stampa e sul web la polemica, tra quelli che considerano sbagliata l’ordinanza, sbagliato l’approccio poliziesco al fenomeno, inadeguato il sindaco, inadeguato il questore o in mala fede (questa è una prospettiva non sufficientemente valorizzata, per la verità) molte delle persone coinvolte negli scontri.

Personalmente non conosco i dettagli, né le concrete modalità di sviluppo dei fatti. Quindi non sono in grado di esprimermi su molti dei fatti oggetto di polemica. Ho però pensato che, a monte di ogni riflessione, fosse doveroso leggere la celebrata (e criticata) ordinanza “antimovida” del sindaco (rectius: della sindaca) Appendino. L’ho letta (qui l’allego) e l’ho trovata: ben scritta; equilibrata; istruita sulla base di un robusto supporto motivazionale che ha espresso i fatti e le difficoltà concrete, nella gestione della folla, nel cuore della notte, versante in condizioni di ubriachezza; orientata esclusivamente non ad incidere sulle libertà di circolazione delle persone ma solo a contenere la vendita di alcolici in contesti spaziali ben definiti e circoscritti, per motivi del tutto ragionevoli.

Se per garantire l’attuazione della predetta ordinanza, occorre la Polizia in tenuta anti sommossa, non credo sia colpa della Polizia stessa né di chi abbia coordinato gli interventi; credo –al contrario- che il desiderio di “sballo” superi la pacifica adesione a regole non particolarmente rigide (come quelle lette nell’ordinanza) e spinga il concetto di libertà, oltre il segno dell’equilibrio con il diritto di chi desideri, nel cuore della notte, una certa tranquillità.

Una cosa è sicura: le ordinanza sindacali, declassate per alchimia giuridica del dl 17/2017, dal tema della sicurezza urbana a quello del decoro, dimostrano che non si può pensare di dividere il tema dell’ordine pubblico dal tema della polizia amministrativa locale, pensando che il confine non sia labile e mobile. La faccenda di Torino dimostra che occorre coesione di intenti e sforzi congiunti tra Comune, Prefettura e Questura, in quanto il fenomeno è trasversale.

Se per garantire l’osservanza di una banale ordinanza che vieta la vendita di alcolici dopo le 20.00, in un piccolo pezzo di centro storico, occorre l’impiego della Polizia in tenuta anti sommossa, occorre interrogarsi su come stia sfuggendo di mano la gestione della vita nelle città alle istituzioni preposte alla loro regolazione, piuttosto che cercare responsabili, colpevoli o inadeguati gestori delle concrete azioni verificatesi nella notte tra il 20 ed il 21 giugno a Torino.

Vedo, leggendo qualche commento di sindacati di polizia o di politici torinesi, che i fatti stanno portando alla frattura della coesione istituzionale che aveva garantito l’assistenza della polizia di Stato all’assicurazione dell’ordinanza sindacale.

Se si fa leva su questa frattura, allargandola, sarà bene che i sindaci ricordino che resterà inutile scrivere ordinanze. Non serve lasciare su carta un ordine, occorre farlo rispettare; se le forze chiamate a far rispettare l’ordine vengono delegittimate, all’indomani resteranno i problemi e le sterili enunciazioni di principio.

Comunque sia, allego l’ordinanza; merita una lettura per capire come non si sia disposto nulla di strano.

Ordinanza limitazione orari vendita alcolici Torino

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Nel giudizio di impugnazione della sanzioni, il potere di disapplicazione dell’atto presupposto non può andare oltre l’ordinanza.

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Nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione per mancata esposizione della scheda di sosta in parcheggio a pagamento, il sindacato del Giudice non si estende agli eventuali vizi di legittimità della deliberazione della giunta comunale di concessione della gestione del servizio ad un’impresa privata, che non si inserisce nella sequenza procedimentale che sfocia con l’adozione dell’ordinanza sindacale, nè condiziona la sussistenza della violazione accertata.

Con questa statuizione, Cass. civ. Sez. II, 07/04/2017, n. 9125, conferma che (Cass. 21173/2006; Cass. 396/95; Cass. Sezioni Unite 5705/1990), nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione avente ad oggetto l’irrogazione di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, il giudice ordinario, al quale spetta la giurisdizione, essendo in contestazione il diritto del cittadino a non essere sottoposto al pagamento di somme al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, ha il potere di sindacare incidentalmente, ai fini della disapplicazione, gli atti amministrativi posti a fondamento della pretesa sanzionatoria (SU 116/07). la giurisprudenza della Corte, ha però sottolineato che la delibera di concessione della gestione del servizio di parcheggio è un atto amministrativo con cui la giunta comunale si è limitata ad affidare lo svolgimento di un’attività a rilevanza pubblicistica a una società, ma non è atto presupposto della violazione contestata al trasgressore, che è costituito dalla istituzione di una zona adibita al parcheggio a pagamento. Il sindacato incidentale di legittimità, al fine della eventuale disapplicazione, può rivolgersi solo nei confronti del provvedimento cosiddetto presupposto, e cioè quello integrativo della norma la cui violazione è stata posta a fondamento di detta sanzione (Cass. civ., 24-01-2013, n. 1742; Cass. n. 21173/06), come appunto è l’ordinanza istitutiva del parcheggio a pagamento, che fa sorgere la violazione del conseguente divieto.

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Sanzioni amministrative, responsabilità personale colpevole e potere del giudice.

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La sentenza, Cass. civ. Sez. II, 11-05-2017, n. 11573, ci offre la ricognizione di due importanti temi afferenti alle sanzioni amministrative:

A) LA RESPONSBAILITA’ COLPEVOLE DELLA PERSONA UMANA NELLA COMMISSIONE DEL FATTO ILLECITO

Secondo il consolidato orientamento della Cassazione, in tema di sanzioni amministrative, nella disciplina della L. 24 novembre 1981, n. 689 (in particolare, artt. 2, 3, 7 e 11), l’autore della violazione rientrante nell’ambito di applicazione della legge, e quindi il diretto destinatario dell’ordinanza ingiunzione che irroga la sanzione pecuniaria e ne intima il pagamento, può essere soltanto la persona fisica, e giammai una società o un ente, mentre la circostanza che tale persona fisica abbia agito come organo o rappresentante di una persona giuridica spiega rilievo solo al diverso fine della responsabilità solidale di quest’ultima, ai sensi dell’art. 6 della legge citata, prevista in funzione di garanzia del pagamento della somma dovuta dall’autore della violazione, rispondendo anche alla finalità di sollecitare la vigilanza delle persone e degli enti chiamati a rispondere del fatto altrui. Tuttavia, l’autonomia e la distinzione delle posizioni del trasgressore e dell’obbligato solidale si desume chiaramente dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, norma che, oltre a disporre che la violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa, stabilisce che l’obbligazione si estingue soltanto per la persona nei cui confronti è stata omessa la notificazione nel termine prescritto, sicchè l’obbligo della persona giuridica può sussistere anche senza che più sussista l’obbligo del trasgressore. La distinta responsabilità solidale della persona giuridica per essere fatta valere richiede, perciò, a norma della L. n. 689 del 1981, art. 14, un’autonoma contestazione, operata non nella qualità di autore dell’illecito, bensì di corresponsabile del pagamento della sanzione. Ove, tuttavia, il trasgressore persona fisica coincida col rappresentante a norma di legge o di statuto, la contestazione della violazione può anche essere effettuata a costui con riguardo ad ambedue le qualità, senza che occorra la consegna di un doppio esemplare del verbale di accertamento, ma rimanendo indispensabile che il destinatario della contestazione venga considerato nella duplice sua qualità di trasgressore e di responsabile solidale (Cass. n. 23875 del 2011; Cass. n.5885 del 1997; da ultimo, Cass. n. 17023 del 2016).

B) IL POTERE DEL GIUDICE DI DETERMINARE L’IMPORTO DELLA SANZIONE PECUNIARIA

Costituisce orientamento pacifico nella giurisprudenza della Cassazione quello per il quale (Cass. n. 2406 del 2016; Cass. n. 6778 del 2015; Cass. n. 9255 del 2013) in tema di sanzioni amministrative pecuniarie, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi. Peraltro, il giudice non è tenuto a specificare nella sentenza i criteri adottati nel procedere a detta determinazione, nè la Corte di Cassazione può censurare la statuizione adottata ove tali limiti siano stati rispettati e dal complesso della motivazione risulti che quella valutazione è stata compiuta.

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Il TAR ordina alla Polizia Locale di Milano di cambiare la dicitura sui verbali.

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L’associazione “Altroconsumo” ha proposto ricorso contro il Comune di Milano, innanzi al TAR Meneghino, per sentir dichiarare ” illegittima la prassi comunale di indicare nei verbali di accertamento delle infrazioni al Codice della Strada una dicitura errata in ordine al rispetto dei tempi di notifica dei verbali, unitamente alla violazione della predetta tempistica”.

Invero anomala la domanda, esitata nella sentenza Tar Lombardia, sez. III, sentenza 7 giugno 2017, n. 1267.

“La ricorrente ha rilevato una prassi del Comune di notificare i verbali del Codice della Strada oltre i termini di legge, nel periodo successivo al marzo 2014, coincidente con l’avvio delle rilevazioni di 7 nuovi autovelox comunali. Per tali ragioni ha notificato al Comune una diffida preliminare in data 26.02.2015, dandone anche informazione sul sito internet dell’Associazione, ricevuta dal Comune in data 03.03.2015, seguita da un ulteriore sollecito ricevuto in data 05.07.2015, con la quale ha chiesto: 1. l’immediata cessazione della notifica di verbali di accertamento di sanzioni amministrative oltre i 90 giorni dall’infrazione, perché tale notifica costringe il cittadino a dover presentare ricorso al Prefetto o al Giudice di Pace, nonostante la Polizia locale e il Comune siano pienamente a conoscenza del superamento del termine; 2. l’annullamento in autotutela di tutti i verbali di accertamento di infrazione del Codice della strada notificati oltre i 90 giorni dall’infrazione; 3. l’immediata modifica del testo contenuto nei verbali di accertamento, con la precisa indicazione che il termine di 90 giorni decorre dalla data dell’infrazione e non da quella di visione dei fotogrammi da parte degli Agenti; 4. l’attuazione di una procedura per la restituzione delle somme incassate illegittimamente a fronte di verbali notificati tardivamente in violazione dell’art. 201, Cod. strada; 5. l’annullamento e/o immediata sospensiva, in ogni caso, di qualsivoglia procedura esecutiva e/o di riscossione coattiva basata sui verbali illegittimi notificati tardivamente, con l’impegno di non domandare, anche tramite Equitalia, le somme non versate; 6. l’annullamento e/o l’immediata sospensione delle procedure di emissione dei verbali di cui all’art. 126-bis, Cod. strada, per non avere i presunti trasgressori comunicato i dati del soggetto che si trovava alla guida”.

 Non avendo il Comune di Milano mai fornito alcun riscontro alle suddette richieste, la ricorrente ha chiesto dal TAR di adottare i provvedimenti necessari per ripristinare la legalità e l’efficienza del servizio di rilevazione e notifica dei verbali di infrazione al Codice della Strada”.

I complessi ed intriganti problemi di giurisdizione che hanno portato ad escludere che il TAR possa sindacare la legittimità dei verbali fatti o revocare in dubbio la chiusura dei procedimenti oblati, li saltiamo a piedi pari. Quelle erano domande non accoglibili.

ma la sentenza dice cose interessantissime che, qui non si commentano, ma meramente riproducono a beneficio della buona gestione dei procedimenti sanzionatori amministrativi:

“La ricorrente contesta la seguente dicitura, contenuta nei verbali della Polizia Municipale: “il verbalizzante […] in servizio presso l’Ufficio Varchi della Polizia locale di Milano in data […], data dalla quale decorrono i termini di notifica del presente verbale, ha accertato che il conducente del veicolo targato […] in data […] alle ore […] ha commesso le seguenti violazioni ….”. E’ chiaro quindi dai verbali prodotti in giudizio che rispondono ad uno schema comune e che forniscono al lettore la chiara informazione che i termini di notifica del verbale decorrono dal momento in cui l’agente di polizia locale prende conoscenza in ufficio delle foto scattate dalle stazioni automatiche di rilevamento. In merito occorre rilevare che l’art. 201 del Codice della strada stabilisce che “Qualora la violazione non possa essere immediatamente contestata, il verbale, con gli estremi precisi e dettagliati della violazione e con la indicazione dei motivi che hanno reso impossibile la contestazione immediata, deve, entro novanta giorni dall’accertamento essere notificato all’effettivo trasgressore o, quando questi non sia stato identificato e si tratti di violazione commessa dal conducente di un veicolo a motore, munito di targa, ad uno dei soggetti indicati nell’art. 196, quale risulta dai pubblici registri alla data dell’accertamento”. Secondo l’interpretazione effettuata dal Ministero, con comunicazione del 07.11.2014 alla Prefettura di Milano, “La disposizione [ad. 201, Cod. strada], che riproduce pressoché alla lettera il disposto della sopra citata decisione della Corte Costituzionale, costituisce un’ulteriore conferma all’assunto che, in linea di principio e salva la necessità di acquisire informazioni indispensabili da altri organismi, il dies a quo per la decorrenza dei termini non può che essere individuato in quello della commessa violazione”. Facendo propria la suddetta interpretazione deve ritenersi che il verbale della polizia municipale debba indicare o che il termine di notifica del verbale decorre dall’accertamento, come indicato dalla legge, oppure che i termini decorrono dalla commessa violazione, salva la necessità di acquisire informazioni indispensabili da altri organismiIl ricorso va quindi accolto con conseguente ordine al Comune di Milano di porvi rimedio entro un termine di 90 giorni, modificando i verbali di contestazione delle sanzioni al codice della strada.

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Atti osceni in luogo pubblico: sanzione amministrativa anche se assiste un minore.

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L’art. 527 c.p., nel testo novellato dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, art. 2, comma 1, lett. a) e lett. b), prevede che chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 5.000 a Euro 30.000, applicandosi invece la pena della reclusione da quattro mesi a quattro anni e sei mesi se il fatto è commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano.

A seguito della novella di depenalizzazione, pertanto, rimane come reato, punibile con la reclusione, l’atto osceno “commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori”, se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano.

Nel caso di specie, un tizio aveva praticato autoerotismo a bordo della propria autovettura, in luogo pubblico ed in presenza di una ragazza minorenne, senza specificazione che l’episodio si fosse svolto nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori. Atteso ciò, ed ai sensi dell’art. 8 del medesimo D.Lgs 8/2016, non essendo stato il procedimento penale definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili (alla data di entrata in vigore della novella del 2016) il Tribunale di Vicenza, ha trasmesso gli atti al Prefetto, affinchè contestasse la sanzione amministrativa.

Contro questa decisione del tribunale di Vicenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale. La sentenza Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-02-2017) 01-03-2017, n. 10025, dà ragione al Tribunale: il fatto va punito con sanzione amministrativa pure se una minorenne ha assistito al fatto, atteso che esso si è consumato in luoghi diversi da quelli considerati dalla parte della norma che ancora trattiene, in sede penale, la punizione del fatto.

Se qualcuno ha sbagliato, insomma, è stato il Legislatore… se ha sbagliato?!?!?!

 

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Accesso civico: la circolare del Ministro per la Funzione Pubblica.

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Il Ministro per la Funzione Pubblica ha diramato, con circolare n°2/2017, istruzioni per l’attuazione dell’accesso civico generalizzato. Le istruzioni attengono, in particolare a:

  • le modalità di presentazione della richiesta (“…Nell’ipotesi di richiesta generica o meramente esplorativa, nelle Linee guida A.N.AC si ammette la possibilità di dichiarare la domanda inammissibile, ma si chiarisce che, prima di dichiarare l’inammissibilità, “l’amministrazione destinataria della domanda dovrebbe chiedere di precisare l’oggetto della richiesta” (Allegato, § 4). Pertanto, questa ipotesi di inammissibilità deve essere intesa in senso restrittivo: l’amministrazione dovrebbe ritenere inammissibile una richiesta formulata in termini generici o meramente esplorativi soltanto quando abbia invitato (per iscritto) il richiedente a ridefinire l’oggetto della domanda o a indicare gli elementi sufficienti per consentire l’identificazione dei dati o documenti di suo interesse, e il richiedente non abbia fornito i chiarimenti richiesti”);
  • gli uffici competenti (“…La disciplina dettata dall’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 presuppone la distinzione tra diverse tipologie di competenze: a ricevere le richieste, a decidere su di esse, e a decidere sulle richieste di riesame. Di seguito, sono illustrate le implicazioni organizzative di questa distinzione.”);
  • i tempi di decisione ( “si ribadisce quanto segue: il termine di trenta (30) giorni entro il quale concludere il procedimento non è derogabile, salva l’ipotesi di sospensione fino a dieci giorni nel caso di comunicazione della richiesta al controinteressato (art. 5, c. 5, d.lgs. n. 33/2013); la conclusione del procedimento deve necessariamente avvenire con un provvedimento espresso: non è ammesso il silenzio-diniego, né altra forma silenziosa di conclusione del procedimento; l’inosservanza del termine sopra indicato costituisce “elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione” ed è comunque valutata “ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili” (art. 46 del d.lgs. n. 33/2013)”;
  • i controinteressati (“…La circostanza che i dati o documenti richiesti facciano riferimento a soggetti terzi, di per sé, non implica che questi debbano essere qualificati come controinteressati. Occorre comunque valutare il pregiudizio concreto agli interessi privati di cui all’art. 5-bis, c. 2, che i controinteressati potrebbero subire come conseguenza dell’accesso. Al fine di identificare i controinteressati in modo corretto, è indispensabile procedere a questa valutazione soltanto dopo un puntuale esame di tutti i dati e i documenti oggetto della domanda di accesso generalizzato”;
  • i rifiuti non consentiti (“…Il differimento dell’accesso – previsto dall’art. 5-bis, c. 5, d.lgs. n. 33/2013 – è ammesso soltanto quando ricorrano cumulativamente due condizioni: che l’accesso possa comportare un pregiudizio concreto a uno degli interessi pubblici o privati di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 5-bis; che quel pregiudizio abbia carattere transitorio, in quanto i limiti di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 5- bis si applicano “unicamente per il periodo nel quale la protezione è giustificata in relazione alla natura del dato”. Nel caso in cui ricorrano queste condizioni, l’accesso non deve essere negato: per soddisfare l’interesse conoscitivo è “sufficiente fare ricorso al potere di differimento” (art. 5-bis, c. 5) e, quindi, il differimento dell’accesso è imposto dal principio di proporzionalità (v. anche Linee guida A.N.AC., §§ 5.1, 6.3 e 7.7). L’inutilizzabilità del potere di differimento ad altri fini è confermata dall’art. 5, c. 6, d.lgs. n. 33/2013, secondo cui il differimento dell’accesso deve essere motivato, appunto, “con riferimento ai casi e ai limiti stabiliti dall’art. 5-bis”. Pertanto, tale potere non può essere utilizzato per rimediare alla tardiva trattazione della domanda e alla conseguente violazione del termine per provvedere. Vi si può ricorrere, invece, a titolo esemplificativo, per differire l’accesso a dati o documenti rilevanti per la conduzione di indagini sui reati o per il regolare svolgimento di attività ispettive (art. 5- bis, c. 1, lett. f e g), fino a quando tali indagini e attività siano in corso. Una volta conclusi questi procedimenti, quei dati o documenti diverranno accessibili, qualora non vi si oppongano altri interessi pubblici o privati indicati dall’art. 5-bis. “);
  • il dialogo con i richiedenti(“ …nel più rigoroso rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa, occorre tener conto della particolare rilevanza, ai fini della promozione di un dibattito pubblico informato, delle domande di accesso provenienti da giornalisti e organi di stampa o da organizzazioni non governative, cioè da soggetti riconducibili alla categoria dei “social watchdogs” cui fa riferimento anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (da ultimo, caso Magyar c. Ungheria, 8 novembre 2016, § 165). Nel caso in cui la richiesta di accesso provenga da soggetti riconducibili a tale categoria, si raccomanda alle amministrazioni di verificare con la massima cura la veridicità e la attualità dei dati e dei documenti rilasciati, per evitare che il dibattito pubblico si fondi su informazioni non affidabili o non aggiornate“);
  • il Registro degli accessi(“…L’obiettivo finale è la realizzazione di un registro degli accessi che consenta di “tracciare” tutte le domande e la relativa trattazione in modalità automatizzata, e renda disponibili ai cittadini gli elementi conoscitivi rilevanti. Realizzare tale obiettivo richiede opportune configurazioni dei sistemi di gestione del protocollo informatico“).

Quelle sopra trascritte sono solo alcune delle fondamentale indicazioni provenienti dalla circolare.

Interessante è anche la limitazione all’esercizio dei potere regolamentare, che va contenuto entro margini strettissimi: “… ciascuna amministrazione può disciplinare con regolamento, circolare o altro atto interno esclusivamente i profili procedurali e organizzativi di carattere interno. Al contrario, i profili di rilevanza esterna, che incidono sull’estensione del diritto (si pensi alla disciplina dei limiti o delle eccezioni al principio dell’accessibilità), sono coperti dalla suddetta riserva di legge. In particolare, diversamente da quanto previsto dall’art. 24, c. 6, l. n. 241/1990 in tema di accesso procedimentale, non è possibile individuare determinare (con regolamento, circolare o altro atto interno) le categorie di atti sottratti all’accesso generalizzato. Ciascuna amministrazione è chiamata ad applicare le previsioni legislative rilevanti (art. 5-bis, d.lgs. n. 33/2013), tenendo nella dovuta considerazione le richiamate Linee guida dell’A.N.AC., oggetto di periodico aggiornamento in base all’evoluzione della prassi”.

Qui in allegato, la circolare

circolare accesso civico

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I verbali “ad orecchio” non si devono fare! (in merito all’art. 141 CdS)

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Per chi abbia letto qualche mio scritto, non apparirà un fatto nuovo scoprire che sono un profondo sostenitore della necessità che gli operatori di Polizia Stradale (quale che sia l’organo o l’ente di appartenenza), non trascurino di accertare e contestare, anche nelle fasi dinamiche della circolazione (quindi non solo a seguito del rilievo di un sinistro stradale), le violazioni all’articoli 141 del codice della strada, in materia di “velocità non adeguata”. Questa norma valorizza il ruolo del predetto operatore come tutore effettivo della sicurezza stradale e avvicina (sebbene in fase di contestazione) all’utente, creando anche un efficace rapporto rieducativo.

Tutto ciò sostengo a patto e condizione che la condotta illecita sia stata vista e -per l’effetto- valutata come non adeguata sulla base di coordinate empiriche ragionevoli; posto che su questa ragionevolezza, in caso di opposizione, il giudice potrà sindacare la fondatezza della pretesa sanzionatoria della P.A. Qui va, difatti, rimarcato, che gli elementi costitutivi dell’esistenza dell’illecito vanno provati dall’Amministrazione e che ancora esiste (Cfr: art. 7 D.Lgs 150/2011) l’annullamento del verbale per mancato raggiungimento della prova della responsabilità.

Il titolo di questo breve scritto è comunque pertinente in quanto, nel caso valorizzato dalla sentenza del Giudice di Pace di Cagliari n°1299 del 3 gennaio 2016, l’agente accertatore (non riferirò di quale forza di polizia per non esporre l’istituzione al ludibrio che merita il singolo accertatore, nel caso specifico), nel giudizio di opposizione ad un verbale da lui contestato per violazione all’articolo 141 CdS, ha dovuto dichiarare il vero, affermando che il veicolo sanzionato non lo aveva visto procedere a velocità non adeguata, ma aveva dedotto, ad orecchio, sentendo i giri del motore del veicolo in avvicinamento, che presumibilmente stesse correndo.

Il percorso esegetico del Giudice non fa una grinza. Insomma, non è vero che i Giudici di pace sono propensi ad annullare i verbali di cui all’art. 141 CDS; è vero solo che -nella maggior parte dei casi- chi accerta la violazione, lo fa in maniera molto, ma molto superficiale.

La sentenza è allegata, per chi volesse leggerla.

sentenza GDP Cagliari su Art. 141

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Il danneggiamento delle cose esposte alla pubblica fede.

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L’abrogazione di taluni reati, secondo quanto previsto dal D.Lgs n°7/2016, ha comportato effetti concreti in un giudizio di merito, in relazione a fatti di danneggiamento (fattispecie esclusivamente a matrice dolosa di cui all’art. 635 cp) maturati in pubblici parcheggi. Difatti, un Tizio, veniva proscioloto in primo grado, ma –proposto ricorso il P.G- la vicenda si capovolgeva in sede di legittimità.

Cass. Pen Sez. II, n°24131 del 16 maggio 2017, ritiene –in relazione all’azione di chi urti violentemente un veicolo fermo in un parcheggio in modo doloso (quindi con il puro intento di danneggiare) che tale condotta: “non è affatto interessata dalle disposizioni in materia di abrogazione di reati previste dal d. Igs. 7/2016, a seguito della cui introduzione continua a essere previsto come reato, ai sensi dell’ art. 635, comma 2, n. 1, c.p. nella sua attuale formulazione, il danneggiamento delle cose altrui indicate nel numero 7 dell’ art. 625 c.p.. Non vi dubbio poi sul fatto che un’ imputazione del tenore sopra indicato riguardi il danneggiamento di una cosa esposta alla pubblica fede. La giurisprudenza di questa corte ha infatti chiarito che la ratio dell’ aggravamento della pena previsto dall’ art. 625 n. 7, terza ipotesi, c.p., non è correlata alla natura – pubblica o privata – del luogo ove si trova la cosa, ma alla sua condizione di esposizione alla pubblica fede, che ricorre quando la cosa trovi protezione solo grazie al senso di rispetto per l’ altrui bene da parte di ciascun consociato; è perciò possibile ritenere che questa condizione possa sussistere anche se la cosa si trovi in un luogo privato a cui, per mancanza di recinzioni o sorveglianza, si possa liberamente accedere (si veda in questo senso Sez. 5, n. 9022 del 08/02/2006 – dep. 15/03/2006, Giuliano, Rv. 23397801)”.

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Anche il B&B deve comunicare all’autorità di PS la presenza dell’ospite.

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Con sentenza del 18 aprile 2016 il Tribunale di Savona condannava una persona alla pena di euro 206,00 di ammenda, in quanto ritenuta responsabile del reato di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 109, contestatole perché, in qualità di esercente attività di affittacamere, … ometteva di comunicare all’autorità di p.s., entro le ventiquattrore successive al loro arrivo, le generalità degli ospiti. Avverso detta sentenza ha proposto appello (poi riqualificato ricorso per cassazione) l’imputata, deducendo di non aveva svolto attività qualificabile come affittacamere, ma quale attività non imprenditoriale di bed and breakfast, non soggetta alla normativa di cui al T.u.l.p.s..

La Corte di cassazione (sezione I penale), con sentenza n°23308, del 11 maggio 2017 ha rigettato il ricorso e sostenuto che “la norma precettiva non autorizza alcuna differenziazione basata sulle dimensioni strutturali e sul numero di camere dell’alloggio che offre ospitalità, perché assoggetta i proprietari o gestori di alberghi, ma anche di tutte le altre strutture ricettive, senza distinzioni di sorta, comprese quelle non convenzionali, al rispetto dell’obbligo di comunicazione delle generalità dei clienti entro il termine di ventiquattrore, adempimento che nel caso di specie non è stato del tutto effettuato”.

Utile resta, inoltre, la ricostruzione della materia che ha subito, nel tempo, notevoli variazioni.

Per chi sia interessato alla materia, si acclude la sentenza.

Cass_ PEN_ 23308_2017

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Circolare del Ministero dell’interno sul DL sicurezza urbana

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Per mera informazione, si annota che, il Ministero dell’interno, con circolare prot. 300/A/4228/17/149/2017/08, del 23/05/2017, ha dettato orientamenti esplicativi in ordine a “Legge 18 aprile 2017, n.48. Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 20 febbraio 2017, n. 14, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”.

Ben poche sono le annotazioni interpretative, atteso che il testo in epigrafe (qui allegato)si limita ad un breve riepilogo (in favore del personale delle specialità della Polizia di Stato) dell’articolo 9 del DL 14/2017.

Un solo spunto: la decisione dell’importo della sanzioni pecuniaria per inottemperanza all’ordine di allontanamento (rispetto al quale, in relazione ad un testo di legge confuso, c’erano disparità di vedute: “Contestualmente all’accertamento, l’organo accertatore ordina per iscritto al trasgressore di allontanarsi dal luogo in cui ha commesso il fatto, specificando i motivi, la durata del divieto (quarantotto ore dall’accertamento del fatto) e che l’inottemperanza comporterà la sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 9, comma 1, aumentata del doppio, ovvero da euro 300 ad euro 900. Copia del provvedimento è immediatamente trasmesso al Questore competente per territorio, con contestuale segnalazione ai servizi socio sanitari ove ne ricorrano le condizioni”.

2017-SERV_POLST(n_04228_del_25_05_2017-Dispos_urgenti_in_materia_di_sicurezza_citta)

 

 

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Sanzione per inottemperanza all’ordine di demolizione e pendenza di sequestro.

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Grazie alla puntuali e professionali interlocuzioni con Gaetano Alborino, (Amico mio, nonchè studioso di diritto ambientale sopraffino), arricchisco la platea delle mie conoscenze in materia di sanzioni amministrative in materia edilizia e –per chi abbia interesse- divulgo le connesse informazioni.

L’argomento è particolarmente interessante per quei casi in cui, rispetto al medesimo immobile, penda il sequestro penale e le sanzioni amministrative connesse all’inottemperanza dell’ordine di demolizione. Insomma, quanto pesa la pendenza della misura cautelare penale rispetto alla colpa del destinatario dell’ordine di demolizione che non abbia ottemperato, proprio perché coesiste anche un procedimento penale?

A fare chiarezza sulla questione è interessante vedere come in primo grado, il TAR marchigiano ha esitato negativamente un ricorso sostanzialmente fondato sulla non ascriviibilità della colpa per l’inottemperanza, mente, in fase di appello, il Consiglio di Stato è arrivato alla soluzione opposta.

Sul primo grado basti sapere che, TAR Marche, Sezione Prima, Sentenza 18 ottobre 2016, nr. 566, trattando l’impugnativa dell’atto con il quale un’Amministrazione comunale aveva irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria per non avere (il suo destinatario) provveduto ad ottemperare al contenuto dell’ordinanza di riduzione in pristino delle opere abusive (ai sensi dell’art. 31, comma 2, del DPR n. 380/2001), rigetta il ricorso con le seguenti motivazioni: ”… la sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4 bis, del citato DPR n. 380/2001 è conseguenza della constatata inottemperanza all’ingiunzione di demolizione….” Non è quindi una valida giustificazione per invocare l’impossibilità ad ottemperare all’ordine il fatto che l’immobile sia gravato anche da sequestro penale, in quanto ben il proprietario può chiedere il dissequestro, specie se la richiesta sia fondata sull’intento di procedere al ripristino dello stato dei luoghi (“emerge dagli atti, … che le istanze di dissequestro proposte dall’interessata all’autorità giudiziaria penale, in uno all’istanza di accesso all’immobile .., da essa invocate a sostegno della dedotta impossibilità di dare esecuzione alla demolizione, sono state precedenti alla citata ordinanza …comunque, sono state presentate per ragioni del tutto diverse dall’intento di provvedere alla riduzione in pristino… Nei circa tre anni successivi all’emanazione di tale ordine di demolizione, invece, non risulta che la ricorrente si sia in alcun modo attivata”).

Sempre sul punto, in secondo grado, Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza 17 maggio 2017, nr. 2337, capovolge la predetta decisione e stabilisce che: “le misure contemplate dall’art. 31, commi 3 e 4-bis, del d.P.R. n.380 del 2001, rivestono carattere chiaramente sanzionatorio e, come tali, esigono, per la loro valida applicazione, l’ascrivibilità dell’inottemperanza alla colpa del destinatario dell’ingiunzione rimasta ineseguita, in ossequio ai canoni generali ai quali deve obbedire ogni ipotesi di responsabilità. Sennonchè, nella situazione considerata, non è dato ravvisare alcun profilo di rimproverabilità nella condotta (necessariamente) inerte del destinatario dell’ordine di demolizione, al quale resta, infatti, preclusa l’esecuzione del comando da un altro provvedimento giudiziario che gli ha sottratto la disponibilità giuridica e fattuale del bene. Come si vede, quindi, l’irrogazione di una sanzione (chè di questo si tratta) per una condotta che non può in alcun modo essere soggettivamente ascritta alla colpa del soggetto colpito dalla sanzione stessa, non può che essere giudicata illegittima per il difetto del necessario elemento psicologico della violazione… Merita evidenziarsi che l’assunto, qui propugnato, che il destinatario dell’ordine di demolizione non possa considerarsi giuridicamente onerato di richiedere il dissequestro per poter demolire non implica affatto né che ciò gli sia precluso (potrebbe, infatti, avervi interesse, per esempio per azzerare la situazione di abusivismo e poter così richiedere ex novo un titolo edilizio urbanisticamente conforme per riprendere l’attività edificatoria secundum legem); né che il dissequestro non possa essere richiesto all’Autorità giudiziaria penale da parte di chiunque altro vi abbia interesse: ossia, in primis, dalla stessa Amministrazione che abbia ingiunto (prima del sequestro, secondo la tesi qui condivisa) o che intenda ingiungere (non appena venuto meno il sequestro) la demolizione, con l’effetto di far ripartire prima possibile il decorso del termine per demolire e di far produrre, in difetto, le ulteriori conseguenze (acquisitive) che la legge riconnette all’inutile decorso di detto termine; ma anche, nei congrui casi, ai soggetti pubblici e privati controinteressati al mantenimento dell’opera edilizia abusiva, che abbiano comunanza di intenti e di interessi con l’Amministrazione procedente. Infatti, il venir meno del sequestro – da chiunque provocato o indotto, e anche se spontaneamente disposto dall’Autorità giudiziaria procedente – consente ex se all’Amministrazione di ingiungere, o di reiterare, la demolizione; ovvero produce, parimenti in via automatica, l’effetto di far cessare la causa di sospensione (o interruzione) del decorso del termine entro cui deve essere eseguita la demolizione, con ogni ulteriore conseguenza di legge in difetto. Sicché, come ognun vede, si riduce a una mera petizione di principio – non suffragata, però, da adeguati indici normativi a suo supporto – l’assunto che il sistema non possa prescindere dall’onerare il proprietario di richiedere, contra se, il dissequestro al fine di demolire, e che perciò tale onere sia necessariamente insito nel sistema stesso”.

Gli uffici comunali dovranno opportunamente riflettere sulla coesistenza di queste misure, ai fini dell’applicazione delle sanzioni pecuniarie.

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La riemersione del diritto penale: peculato d’uso, in tema di veicoli sequestrati circolanti.

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Qualche giorno fa, il collega ed ottimo conoscitore del codice della strada, Serafino Mauriello, mi coinvolgeva in un’interessante analisi sul rapporto tra l’articolo 213 CdS, l’art. 334 cp e la rassegnata  (nel senso di “passata in rassegna”) posizione della Cassazione penale che ha confermato, nel 2012, la sentenza della Corte di appello di Catania, che condannò un custode non proprietario per peculato d’uso, in relazione alla circolazione con il veicolo affidato alle sue cure.

Mi ha partecipato gli estremi della sentenza che non conoscevo e che -sebbene non nuovissima- si è rivelata di grande interesse; per questo motivo ritengo doveroso parteciparla a tutti i lettori.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., 18-09-2012, n. 35767, afferma il seguente principio: “la fattispecie di impossessamento, consumata dal custode che non sia proprietario del mezzo o che non agisca in suo concorso o nel suo interesse e che si realizzi con la condotta di abusiva circolazione di mezzo sottoposto a sequestro, configura il delitto di peculato d’uso (Sez. 6, 15 giugno 2011, dep. 8 luglio 2011, n. 26812)”.

Dalla sentenza si comprende bene il contesto di riferimento; le Sezioni unite  hanno affermato il principio di diritto che la condotta di chi circola abusivamente con il veicolo sottoposto a sequestro amministrativo integra esclusivamente l’illecito previsto e sanzionato dall’art. 213 CdS., comma 4, perchè il concorso tra la norma penale di cui all’art. 334 cp e quella amministrativa costituita dal medesimo art. 213 C.d.S. va giudicato solo apparente, la seconda essendo norma speciale rispetto alla prima, limitatamente, appunto, alla sola circolazione abusiva (Sez. un. 28 ottobre 2010, dep. 21 gennaio n. 1963).

“Ad avviso del Collegio, il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite rileva per il solo caso in cui sussista una relazione in qualche modo personale, diretta o indiretta che sia, tra la titolarità del bene sequestrato, cui si riferisce la violazione, e l’autore della condotta di abusiva circolazione, che per sè realizza con immediatezza la condotta di sottrazione. Infatti, la fattispecie sottoposta all’esame delle Sezioni unite era appunto relativa a un contesto che avrebbe altrimenti sollecitato l’applicazione dell’art. 334 cp. e cioè una situazione nella quale rileva la condotta o del proprietario o di soggetto che in qualche modo agisca con il consenso o nell’interesse del primo, sottraendo alla custodia il bene mediante la circolazione abusiva. Tale relazione necessaria è, sia pure indirettamente, confermata dalla previsione, nell’art. 213 C.d.S., della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, che risulta effettivamente congrua a ricollegare anche la stessa fattispecie amministrativa ad una sorta di “patologia” di una situazione altrimenti “fisiologica” di circolazione del mezzo e di idoneità alla guida di chi ne ha la legittima disponibilità d’uso. Diversa e la situazione del custode, persona terza e che agisca per proprio interesse, poichè in tal caso rileva la sua qualifica pubblicistica e la funzione conseguentemente svolta, nell’interesse pubblico che comporta l’appropriazione da parte di un soggetto del tutto estraneo ad ogni relazione con il bene sequestrato e in violazione degli obblighi propri dello svolgimento di uno specifico servizio pubblico”.

Invero, la posizione della Suprema Corte mi convince poco, in quanto anche questa fattispecie dovrebbe entrare, per assorbimento, nella fattispecie amministrativa definita dalla norma del codice della strada.

Un ritorno, in buona sostanza alla giurisprudenza che da sempre resiste alla piana applicazione dell’articolo 9 della L.689/1981 (Cfr.: Cass. pen., Sez. I, 28 gennaio 2008, n. 4238). Ma la mia opinione vale poco… la Cassazione è Cassazione….

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Da “stracciabiglietti” a investigatori: il controllo del TPL fa (pochi) passi avanti.

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Non valga il titolo ad offendere alcuno: si tratta di un omaggio a dei carissimi discenti d’aula (Napoletani) che dovendo imparare ad accertare e contestare violazioni amministrative per fruizione abusiva dei mezzi del TPL, si schernivano (scherzandoci su, ovviamente!) nel definirsi “stracciabiglietti”, per evidenziare le pesanti difficoltà insite in un lavoro di relazione con il pubblico carico di tensioni emotive e fisiche.

Il fenomeno della fruizione dei mezzi di trasporto pubblico senza pagare il biglietto, specie al SUD, è grave e conosciuto, ma meno conosciuto è il commendevole sforzo che, da anni, con spirito di sacrificio e servizio, fanno i controllori, sovente vittime di aggressioni da passeggeri renitenti al pagamento e refrattari alla sanzione amministrativa fino al punti di aggredire lo stesso controllore.

A loro è andato il mio pensiero quando ho letto la novella che tra poco trascriverò.

Con il D.L. 24 aprile 2017, n. 50, recante: “Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo”, Mediante il comma 12 dell’articolo 48, sono state apportate dal DPR n°753/1980, alcune significative innovazioni.

Quindi, a decorrere dallo scorso 24 aprile (GU n.95 del 24-4-2017 – Suppl. Ordinario n. 20) vengono “doppiate” e meglio articolate alcune previsioni già contemplate da molte Legge Regionali, a sostegno della necessità che il prezzo dei trasporto pubblico (specie quello locale) sia pagato dai suoi fruitori.

Nel dettaglio:

“comma 12. All’articolo 71 del decreto dei Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi: “Al fine di assicurare il più efficace contrasto al fenomeno dell’evasione tariffaria, i gestori dei servizi di trasporto pubblico possono affidare le attività di prevenzione, accertamento e contestazione delle violazioni alle norme di viaggio anche a soggetti non appartenenti agli organici del gestore medesimo, qualificabili come agenti accertatori. Gli stessi dovranno essere appositamente abilitati dall’impresa di trasporto pubblico che mantiene comunque la responsabilità del corretto svolgimento dell’attività di verifica e che ha l’obbligo di trasmettere l’elenco degli agenti abilitati alla prefettura-ufficio territoriale del Governo di competenza. Per lo svolgimento delle funzioni loro affidate gli agenti accertatori esibiscono apposito tesserino di riconoscimento rilasciato dall’azienda e possono effettuare i controlli previsti dall’articolo 13 della legge 24 novembre 1981, n. 689, compresi quelli necessari per l’identificazione del trasgressore, ivi incluso il potere di richiedere l’esibizione di valido documento di identità, nonché tutte le altre attività istruttorie previste dal capo I, sezione II, della stessa legge. Il Ministero dell’interno può mettere a disposizione agenti ed ufficiali aventi qualifica di polizia giudiziaria, secondo un programma di supporto agli agenti accertatori di cui al comma precedente, con copertura dei costi a completo carico dell’ente richiedente e per periodi di tempo non superiori ai trentasei mesi.”. 13. Le rilevazioni dei sistemi di video sorveglianza presenti a bordo dei veicoli e sulle banchine di fermata possono essere utilizzate ai fini del contrasto dell’evasione tariffaria e come mezzo di prova, nel rispetto della normativa vigente in materia di trattamento dei dati personali, per l’identificazione di eventuali trasgressori che rifiutino di fornire le proprie generalità agli agenti accertatori, anche con eventuale trasmissione alle competenti forze dell’ordine”.

In termini di ricognizione, si evidenziano due aspetti di interesse: 1) la conferma della teoria dottrinale (dello scrivente, nella specie) della necessità di un riconoscimento da parte di fonte normativa della qualità di accertatore a norma della L.689/1981; 2) la valorizzazione (problematica, ma gestibile) della videosorveglianza, rispetto alla tematica dei reati di cui agli articoli 651 cp o del più grave e pur frequentemente ricorrente art. 496 cp. (False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri).

Si rammenta che il DL è in fase di conversione, quindi ogni commento di approfondimento è riservato alla avvenuta stabilizzazione della menzionata vicenda di innovazione normativa.

Nelle more, facciamoci due risate con bastardidentro.com

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Sanzioni amministrative edilizie e giurisdizione del G.O. (secondo il TAR Puglia)

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Certo non è elementare, per gli addetti ai lavori, orientarsi in materia di riparto di giurisdizione, quando la materia di riferimento sia costituita da “edilizia ed urbanistica”.

Senza riepilogare il complesso e dibattuto rapporto tra le norme processuali (CPA e D.Lgs. 150/2011) sono gli stessi giudici amministrativi che confondono le idee, talvolta trattenendo la giurisdizione ad ogni costo, pur ammettendo l’applicabilità della L.689/1981 alle sanzioni amministrative in materia edilizia, altre volte declinandole in favore dei Giudice Ordinario.

Il caso, da ultimo qui evidenziato, anche grazie alla amicale e sempre attenta segnalazione dell’Amico Gaetano Alborino, lo cogliamo i due distinte sentenze del TAR pugliese.

Le sanzioni gravate nei ricorsi cui afferiscono le sentenze (TAR Puglia, Sezione Terza, 9 marzo 2017, nr. 225 – Sezione Terza, 10 aprile 2017, nr. 380) che declinano la giurisdizione in favore del giudice ordinario riguardano le sanzioni pecuniarie previste dalla L.R. Puglia n°56/1980 (art. 47) inerenti l’uso dell’immobile in difetto della declaratoria di agibilità.

In questo caso la sezione III del TAR barese, arriva a conclusioni opposte rispetto a quelle cui sono arrivate gli omologhi giudici campani (TAR della Campania -Sez. III- con Sentenza del 31-10-2016, n. 501) dichiara la giurisidizone del G.O. sulla scorta delle seguenti motivazioni:

“La fattispecie portata all’esame del Collegio, infatti, ha ad oggetto l’impugnativa di una sanzione amministrativa con cui è stato ingiunto al ricorrente il pagamento di una somma di danaro in relazione a violazioni di carattere edilizio. Essa rientra a pieno titolo, tra le ipotesi in cui, pur avendo gli atti amministrativi impugnati un collegamento con la materia edilizia, la relativa giurisdizione è devoluta al Giudice Ordinario, in quanto la sanzione amministrativa impugnata interferisce direttamente su un diritto soggettivo perfetto del ricorrente, che è in definitiva il diritto a non vedersi depauperare il patrimonio in forza di provvedimenti amministrativi non sorretti da una effettiva causale. Occorre rilevare, in proposito, che nella emissione della ingiunzione di pagamento non vi è esercizio di discrezionalità, costituendo essa un atto dovuto, conseguente all’accertamento dell’illecito amministrativo, potendosi al più ravvisare l’esercizio di discrezionalità nella quantificazione della sanzione non determinata dalla legge in misura fissa. Tuttavia, anche l’impugnazione di una ordinanza –ingiunzione si traduce sempre nella contestazione di non dover pagare, in tutto o in parte, una somma di danaro, e per tale ragione finisce sempre per incidere su un diritto soggettivo perfetto (Cfr. in tal senso T.A.R. Puglia Bari, Sez. III, sent. n. 2019 del 3 settembre 2008)”. A ciò si aggiunga quanto sostenuto dalla giurisprudenza condivisa dal Collegio, secondo cui “Le norme sancite dagli artt. 22, co. 1, e 22 bis, l. n. 689 del 1981 (quest’ultima disposizione ora abrogata e sostituita dall’art. 6, d.lgs. n. 150 del 2011, inapplicabile ratione temporis ai sensi dell’art. 36 del medesimo decreto), affidano al giudice ordinario la cognizione sulle controversie aventi ad oggetto sanzioni amministrative e, nel ripartire la competenza tra giudice di pace e tribunale per le opposizioni alle inflitte sanzioni, confermano l’attribuzione dell’intera «materia» delle sanzioni amministrative alla giurisdizione <<piena>> del giudice ordinario (potendo annullare o riformare l’atto sanzionatorio), salvo diversa e specifica previsione di legge e, in particolare, quanto previsto dall’art. 133 c.p.a. che non include, nel suo tassativo catalogo, le controversie come quella oggetto del presente giudizio; in quest’ottica è sufficiente rilevare, per completezza, che l’art. 296 d.lgs. n. 152 del 2006 cit. –Controlli e sanzioni – nel richiamare espressamente la l. n. 689 del 1981, si colloca nell’alveo della su esposta impostazione sistematica”. (Cons. Stato, Sez. V, sent. 3787 del 27.06.2012)”. In relazione all’impugnazione dell’ingiunzione di pagamento della sanzione amministrativa deve, pertanto, essere dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo in favore del Giudice ordinario presso il quale la controversia potrà essere riproposta nel termine di legge (art. 11 c.p.a.), fatte salve le eventuali decadenze e preclusioni intervenute”.

Forse questa evidente condizione di contrasto ermeneutico ha un senso, ma per vero, sarebbe bene che sulla vicenda si arrivasse ad un’unità di visione.

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La Cassazione rilancia il principio di specialità delle sanzioni amministrative ed il concorso nell’illecito.

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La condotta del custode di un’autovettura sottoposta a sequestro e contestuale fermo amministrativo che, per colpa, agevola la circolazione abusiva del veicolo ad opera di terzi, integra non il reato di cui all’art. 335 cod. pen., ma un’ipotesi di concorso nell’illecito amministrativo di cui all’art. 213, comma quarto, C.d.S., ai sensi dell’art. 5 legge 24 novembre 1981, n. 689.

La S.C., in motivazione, ha richiamato la sentenza n. 58 del 2012 e l’ordinanza n. 175 del 2012 della Corte costituzionale, sottolineando, altresì, la necessità di privilegiare un’interpretazione più consona ai principi di specialità e di ragionevolezza, anche perchè l’ordinamento sottopone alla sola sanzione amministrativa la condotta, non meno grave, di colui che sottrae e circola abusivamente con veicolo sottoposto a fermo amministrativo.

Cass. pen. Sez. VI, Sent.,11-03-2016, n. 10164

“La conclusione raggiunta è conforme ai principi generali dell’ordinamento in tema di concorso di persone in una violazione amministrativa (l’art. 5 della legge di depenalizzazione prevede, infatti che “quando più persone concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di essere soggiace alla sanzione per questa disposta salvo che sia diversamente stabilito dalla legge”) sicchè la condotta di colui il quale agevoli colposamente la sottrazione da parte di un terzo di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo ed affidato alla propria Custodia, con conseguente circolazione abusiva, deve ritenersi integrare – piuttosto che l’ipotesi autonoma di reato ex art. 335 cod. pen. – un’ipotesi di concorso colposo nella condotta oggi integrante l’illecito amministrativo di cui all’art. 213 C.d.S., comma 4, tenuto conto che il sistema penale ammette il concorso colposo nel reato doloso sia nel caso in cui la condotta colposa concorra con quella dolosa alla causazione dell’evento, secondo lo schema del concorso di cause indipendenti, sia in quello della cooperazione colposa purchè, in entrambi i casi, il reato del partecipe sia previsto dalla legge anche nella forma colposa e nella sua condotta siano presenti gli elementi della colpa, in particolare la finalizzazione della regola cautelare violata alla prevenzione del rischio dell’atto doloso del terzo e la prevedibilità per l’agente dell’atto del terzo (ex plurimis Sez. 4, n. 4107 del 12/11/2008, Calabrò, Rv. 242830). Requisiti sussistenti nella specie alla stregua della diffusa motivazione della sentenza impugnata sul punto della colpa dell’imputato e della prevedibilità del comportamento di terzi nell’appropriarsi del veicolo per la facilità di avvio dello stesso. Giova precisare che, in caso di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, ma solo come illecito amministrativo, il giudice non ha l’obbligo di trasmettere gli atti all’autorità amministrativa competente a sanzionare l’illecito amministrativo qualora la legge di depenalizzazione non preveda norme transitorie analoghe a quelle di cui L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 40 e 41, la cui operatività è limitata agli illeciti da essa depenalizzati e non riguarda gli altri casi di depenalizzazione (Cass. Sez. U, n. 25457 del 29/03/2012, Campagne Rudie Rv. 252694)”.

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Ci sono Handicappati più Handicappati degli altri: guai a chi ci incappa!

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Inquietante la sentenza n°17794 del 7 aprile 2017, pronunciata dalla sezione quinta penale della Suprema Corte, che conferma la condanna per violenza privata (art. 610 cp) nei confronti di una persona che ha lasciato l’auto in sosta vietata su un posto auto riservato ad una persona con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta.

“Con sentenza del 26 settembre 2016, la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza del locale Tribunale che aveva ritenuto (omissis) colpevole del delitto di cui all’art. 610 cod. pen., per avere, il 25 maggio 2009, parcheggiato la propria autovettura in uno spazio riservato a (omissis), affetta da gravi patologie, così impedendole di utilizzarlo fino alla rimozione della sua autovettura. Il compendio probatorio si fonda sulle dichiarazioni della (omissis) che aveva riferito di non avere potuto parcheggiare la propria autovettura nello spazio appositamente riservatole dal Comune di Palermo fin dal 2005 perché occupata da un’altra vettura e ciò dalle 10.40 alle 2.20 del giorno successivo quando la Polizia municipale, più volte allertata, provvedeva alla rimozione del mezzo…La condotta consumata concretava il delitto contestato avendo impedito alla persona offesa di usufruire del parcheggio riservatole”.

Contro questa sentenza è insorto il condannato, ricorrendo in Cassazione. Qui l’amara scoperta dell’insufficienza delle sanzioni amministrative per punire questo comportamento sì poco commendevole, ma certo non criminale.

La motivazione in diritto di questa sentenza ci lascia, a dir poco, perplessi: “La difesa, nel primo motivo di ricorso, eccepisce l’insussistenza degli elementi oggettivi del delitto contestato posto che i precedenti giurisprudenziali sono nel senso che costituisce violenza privata la condotta di chi impedisca la marcia di un’altra autovettura la quale quindi è immediatamente identificabile da chi ne ostacola la marcia, una condotta diversa da quella contestata al ricorrente. Deve invece sottolinearsi come anche il ricorrente abbia impedito, ponendo la propria autovettura negli spazi riservati, all’avente diritto di parcare la propria autovettura. Con la piena consapevolezza di quanto andava facendo non avendo affatto affermato di non avere notato la segnaletica orizzontale e verticale che segnalava lo spazio come riservato ad un singolo utente, disabile. Certo, se lo spazio fosse stato genericamente dedicato al posteggio dei disabili la condotta del ricorrente avrebbe integrato la sola violazione dell’art. 158, comma 2, Codice della strada, che punisce, appunto, con sanzione amministrativa, chi parcheggi il proprio veicolo negli spazi riservati alla fermata o alla sosta dei veicoli di persone invalide. Ma, in questo caso, quando lo spazio è espressamente riservato ad una determinata persona, per ragioni attinenti al suo stato di salute (come non si contesta essere avvenuto nel presente caso specifico), alla generica violazione della norma sulla circolazione stradale si aggiunge l’impedimento al singolo cittadino a cui è riservato lo stallo di parcheggiare lì dove solo a lui è consentito lasciare il mezzo. Sussiste pertanto l’elemento oggettivo del delitto contestato. Ne sussiste anche l’elemento soggettivo, contestato dalla difesa sempre nel primo motivo di ricorso, in considerazione del fatto che l’imputato, avendo visto la segnaletica, era cosciente di lasciare l’autovettura in un posto riservato ad una specifica persona, così impedendole di parcheggiare nello stesso spazio e non l’aveva fatto per quei pochi minuti che avrebbero consentito di dubitare della sua volontà ma aveva parcheggiato l’autovettura la mattina, prima delle 10.40, lasciandovela fino alla notte e quindi impedendo al disabile, a cui era stato assegnato il posto, di parcheggiare il veicolo anche al suo ritorno serale nella propria abitazione. Tanto che, solo alle 2.00, l’autovettura veniva rimossa ma coattivamente dalla polizia locale”.

Quindi, parcheggiare in un posto, genericamente riservato ai portatori di handicap è fatto punibile solo con sanzione amministrativa; se invece, si parcheggia, magari per qualche ora, in un posto riservato ad un particolare portatore di handicap, allora la sanzione amministrativa non basta.

Sembra una fakenews…. Ma purtroppo è storia vera!

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Scorrimento graduatorie e vincoli di riduzione della spese del personale.

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Ove il Comune prospettasse l’ipotesi d’effettuare assunzioni di unità di personale a tempo determinato e part time al 50% dell’orario di servizio per lo svolgimento delle funzioni di polizia locale, attingendo ai fondi ex art. 208 (comma 4, 5 e 5-bis) del Nuovo Codice della Strada e destinando al predetto scopo una quota pari sino al 50% di tali fondi, tale destinazione deve comunque aver luogo a seguito dell’adozione di apposite disposizioni regolamentari, tenendo conto del fatto che le spese che ne derivano vanno integralmente computate nel novero di quelle sostenute per i contratti del personale temporaneo/con rapporto flessibile, proprio in relazione all’obbligo di riduzione della spesa rispetto a quella sostenuta nel 2009. Dalla normativa vincolistica operante in materia di assunzione di personale alle dipendenze degli Enti Locali, e alla luce del recente arresto giurisprudenziale amministrativo, è possibile desumere il principio per cui risponde a logiche di contenimento della spesa pubblica il cd. “scorrimento” delle graduatorie disponibili presso le p.a., ove esse si riferiscano a concorsi espletati per assunzioni a tempo indeterminato, rendendosi così le medesime utilizzabili anche per assunzioni a tempo determinato. Non può, per contro, attuarsi il cd. “scorrimento” delle graduatorie stilate in riferimento a procedure concorsuali svolte per il reclutamento di personale di cui l’ente intenda avvalersi a tempo determinato; ciò in quanto, ai sensi dell’art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 165 del 2001, il lavoro a tempo determinato è ammesso “per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale”; in tal modo restando le graduatorie approvate all’esito di procedure concorsuali all’uopo svolte, utilizzabili solo ai fini del reclutamento dei vincitori delle medesime procedure, senza possibilità di “scorrimento”.

C. Conti Campania Sez. contr. Delibera, 16/02/2017, n. 31

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Disapplicabile il decreto prefettizio che abilita l’installazione di misuratori fissi di velocità.

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E’ illegittimo e può essere disapplicato nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa il provvedimento prefettizio che abbia autorizzato l’installazione delle strumenti di rilevamento della velocità a distanza in una strada urbana che non abbia le caratteristiche “minime” della “strada urbana di scorrimento”, in base alla definizione recata dal Codice della Strada.

La Cassazione civile (Sez. II, Ord., 06-03-2017, n. 5532) ha con questa massima definito una questione relativa a sanzioni per violazione dei limiti di velocità, nata a Torino e vagliata per i due precedenti giudizi di merito con soddisfazione per le amministrazioni resistenti.

In sede di Legittimità la vicenda assume un contorno diverso rispetto al merito.

Nelle fasi di merito erano state disattese le istanze di disapplicazione del decreto prefettizio che aveva incluso il (OMISSIS) nella categoria delle strade per le quali, non essendo possibile il fermo del veicolo in condizioni di sicurezza, potevano essere istallati i dispositivi di cui al comma 1 dello stesso art. 4, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di comportamento ivi indicate; al riguardo il tribunale ha affermato che i decreti prefettizi non sarebbero sindacabili nel merito da parte dell’autorità giudiziaria e, per altro verso, che la strada ove era stato accertato l’illecito era stata dichiarata “strada urbana di scorrimento” con delibera della giunta comunale di (OMISSIS). “Come questa Corte ha già avuto modo di evidenziare con la sentenza n. 7872/11, il provvedimento prefettizio di individuazione delle strade lungo le quali è possibile installare apparecchiature automatiche per il rilevamento della velocità, senza obbligo di fermo immediato del conducente,  può includere soltanto le strade del tipo imposto dalla legge mediante rinvio alla classificazione di cui all’art. 2 C.d.S., commi 2 e 3, e non altre; è, pertanto, illegittimo – e può essere disapplicato nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa – il provvedimento prefettizio che abbia autorizzato l’installazione delle suddette apparecchiature in una strada urbana che non abbia le caratteristiche “minime” della “strada urbana di scorrimento”, in base alla definizione recata dal comma 2, lett. D), del citato art. 2 C.d.S.; alla stregua di tale principio di diritto il tribunale di Torino ha dunque errato nel ritenere di non poter sindacare la legittimità del provvedimento prefettizio, dovendo anzi, al contrario, procedere a tale sindacato e, a tal fine, verificare se le caratteristiche oggettive della strada in questione consentissero di ricondurla nell’ambito della categoria di cui all’art. 2 C.d.S., lett. D)”.

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Dissuasori di sosta… Tar Campania.

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E’ inammissibile per carenza di legittimazione attiva l’impugnativa di un provvedimento comunale che ha previsto l’istallazione di paletti “dissuasori di sosta” in una strada di un centro storico, presentato da titolari di esercizi commerciali a causa della perdita di prestigio degli esercizi commerciali e a tutela della salvaguardia della fruizione libera e sicura da parte degli avventori.

Con questa pronuncia il T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 16/03/2017, n. 1523, non  ha ammesso il ricorso di alcuni esercenti che ritenevano leso l’interesse connesso ai propri esercizi commerciali, in relazione alla scelta dell’Amministrazione comunale di proteggere la vigenza dei divieti di sosta con specifici paletti dissuasori.

Forse il mezzo di tutela prescelto è stato sbagliato, a prescindere dal merito della doglianza.

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Il parere del Consiglio di Stato sullo schema di Decreto, istitutivo del “documento unico di circolazione”

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L’Ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione ha trasmesso, al Consiglio di Stato, ai fini dell’acquisizione del prescritto parere, lo schema di decreto legislativo recante disposizioni relative alla “Razionalizzazione dei processi di gestione dei dati di circolazione e di proprietà di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, finalizzata al rilascio di un documento unico, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera d), della legge 7 agosto 2015, n. 124”, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 23 febbraio 2017.

In data 11 aprile 2017 è stato reso noto il prescritto parere che apre la strada alla approvazione definitiva del DLgs che –in buona sostanza- prevede: l’introduzione, a decorrere dal 1° luglio 2018, del “documento unico di circolazione e di proprietà degli autoveicoli” (in sostanza costituito dall’incorporazione nella carta di circolazione, delle informazioni contenute nel certificato di proprietà, con attribuzione del rilascio al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti); l’accesso del MIT, a titolo gratuito e in via telematica, a tutte le informazioni contenute nel P.R.A.; la salvezza delle disposizioni in materia di imposta provinciale di trascrizione; le necessarie disposizioni transitorie, disponendo che le carte di circolazione e i certificati di proprietà, anche in formato elettronico, rilasciati anteriormente all’entrata in vigore del decreto mantengano la loro validità fino a che non intervenga una modifica che richieda l’emissione di una nuova carta di circolazione; alcune modifiche al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (il “Nuovo codice della strada”), nonché all’articolo 231, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, rinviando all’adozione di successivi regolamenti le conseguenti modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 (il “Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada”), e al decreto del Presidente della Repubblica 19 settembre 2000, n. 358, (il “Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento relativo alla immatricolazione, ai passaggi di proprietà e alla reimmatricolazione degli autoveicoli, dei motoveicoli e dei rimorchi”), con il quale è stato istituito lo Sportello telematico dell’automobilista.

Il parere, che si allega, non è negativo, ma nemmeno appare entusiasta, rispetto al modo -ridimensionato e di basso profilo- con cui il Legislatore delegato ha approcciato la sfida della immaginata soppressione del PRA.

Buona lettura.

parere CDS su schema di Disegno di legge documento unico di circolazione

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LA SCANSIONE DEL “PERMESSO DISABILI”…. REATO? Falso si, truffa no!

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Con sentenza in data 28 aprile 2016 la Corte di Appello di Torino, in totale riforma della decisione del Tribunale di Verbania, assolveva una persona dal reato ascrittole per insussistenza del fatto. Siffatta persona era stata rinviata a giudizio per aver tratto in inganno in più occasioni il personale della Polizia Municipale del Comune di Verbania in merito al suo diritto a parcheggiare l’ autovettura da lei utilizzata nelle aree di sosta a pagamento tramite l’esposizione di un permesso per disabili contraffatto mediante scannerizzazione, evitando così di corrispondere il prezzo della sosta e ricavando un ingiusto profitto con pari danno per l’ amministrazione municipale.

Contro questa sentenza il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Torino, ha proposto ricorso per cassazione, culminato nella sentenza n°11492 del 9 marzo 2017.

Secondo il Collegio, premesso che “integra il reato di falsificazione materiale commessa dal privato in autorizzazioni amministrative (artt. 477- 482 cod. pen.) e non quello di uso di atto falso (art. 489 cod. pen.), la condotta di colui che espone all’interno della propria autovettura una riproduzione fotostatica a colori di un contrassegno con autorizzazione per invalidi al parcheggio di autoveicoli” (in quanto l’uso personale – nell’interesse proprio – del documento falso consente di ritenere che il soggetto in questione, direttamente o ricorrendo all’opera altrui, sia l’autore della contraffazione Sez. 5, n. 47079 del 24/06/2014 – dep. 13/11/2014), non ci sono gli estremi per sommare, con questa condotta, anche quella di truffa.

In disparte altre considerazioni giuridiche inerenti la complessa struttura del reato di truffa “nel quarto e nel quinto comma dell’ art. 188 C.d.S. sono infatti contemplate tutte le possibili ipotesi di abuso delle strutture stradali riservate agli invalidi, dalla loro utilizzazione in assenza di autorizzazione, o fuori delle condizioni e dei limiti dell’autorizzazione, all’ uso improprio dell’ autorizzazione. Soprattutto il confronto tra l’ “eccesso d’uso” e l’uso improprio” dell’ autorizzazione – a cui pare riconducibile anche la duplicazione del talloncino altrui mediante scannerizzazione – è illuminante della volontà del legislatore di “coprire” con la norma speciale anche il caso di chi utilizzi indebitamente un permesso invalidi altrui, consentendo per una simile evenienza l’ operatività del principio di specialità di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9, applicabile quando il medesimo fatto sia punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa.

Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso.

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NULLA l’ordinanza di sgombero, se l’immobile ricade nel patrimonio disponibile.

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Secondo Tar Napoli, sez. VII, 20 marzo 2017, n. 153, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto l’ordinanza con la quale il Comune ha diffidato a sgomberare un locale occupato, appartenente al proprio patrimonio disponibile, trattandosi di ordinanza emessa in carenza assoluta di potere e, quindi, nulla.

Pesante segnale di allarme del TAR Campano che ha messo il Comune di Caserta sull’avviso: non produrre atti nulli e non provare ad eseguirli in via amministrativa.

Il Tar – premesso che il Comune ha inteso esercitare un potere autoritativo e non inviare una semplice diffida iure privatorum – ha richiamato, a supporto delle conclusioni cui è pervenuto, la giurisprudenza secondo cui: a) l’art. 823 c.c. ammette il ricorso dell’Amministrazione all’esercizio dei poteri amministrativi solo per tutelare i beni del demanio pubblico e del patrimonio indisponibile; di conseguenza, l’eventuale ordinanza emessa in carenza assoluta di potere, trattandosi di bene che appartiene al patrimonio disponibile dell’ente, va qualificata come atto nullo secondo i principi sanciti dall’art. 21 septies, l. 7 agosto 1990, n. 241; b) l’atto nullo non produce alcun effetto degradatorio delle posizioni soggettive di cui si assume la lesione, e se dall’esecuzione del provvedimento sono derivati effetti pregiudizievoli, gli stessi vanno considerati come violazioni di diritti soggettivi la cui tutela appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario (Cons. St., sez. V, 8 marzo 2010, n. 1331); c) la controversia relativa ad un ordine di sgombero di un locale di proprietà comunale facente parte del patrimonio disponibile dell’ente territoriale appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di un rapporto di matrice negoziale, da cui derivano in capo ai contraenti posizioni giuridiche paritetiche qualificabili in termini di diritto soggettivo, nel cui ambito l’Amministrazione agisce iure privatorum – al di fuori cioè dell’esplicazione di qualsivoglia potestà pubblicistica – non soltanto nella fase genetica e funzionale del rapporto, ma anche nella fase patologica, il che, più specificamente, si traduce nell’assenza di poteri autoritativi sia sul versante della chiusura del rapporto stesso, sia su quello connesso del rilascio del bene (Tar Napoli, sez. VII, 6 febbraio 2015, n. 931).

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Quesito: la verbalizzazione delle misurazioni (Violazioni D.Lgs 151-2007).

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Quesito per passiamo: la risposta!
Risposta ai quesiti posti dai lettori

Quesito: la verbalizzazione delle misurazioni (Violazioni D.Lgs 151-2007).

Egregio Avvocato… le vorrei sottoporre un quesito relativo ad un verbale … nel quale viene contestata la violazione al Reg.CE 1/2005. Nella fattispecie il peso per metro quadro di superficie utile del veicolo. Nel verbale di contestazione della violazione si afferma che la superficie utile del veicolo è stata definita da misurazioni senza specificare chi ha fatto le misurazioni e con quali strumenti. In questo caso è possibile impugnare l’atto sulla base di un rilievo basato su definizioni sommarie e non dimostrabili (almeno se vale il discorso del rilevatore di velocità lo stesso dovrebbe essere per le misurazioni).

 

Risposta

E’ bene premettere, a beneficio di tutti i lettori, che il quesito si riferisce alle sanzioni pecuniarie previste dal D.Lgs n°25 luglio 2007, n. 151, recante “Disposizioni sanzionatorie per la violazione delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1/2005 sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate”. Le violazioni in questa materia sono regolate dalla L.689/1981 e pur contenendo alcuni richiami al codice della strada per limitati effetti inerenti le sanzioni accessorie o i particolari vincoli di oblazione brevi manu per i conducenti stranieri, restano disciplinate solo dalla menzionata norma del 1981.

Venendo al quesito, sarebbe sempre buona norma effettuare, a monte del verbale di contestazione della violazione, la verbalizzazione dell’operazione tecnica (in questo caso di misurazione e raffronto), a valere come atto di accertamento prodromico alla contestazione della violazione, a norma dell’articolo 13 della L. n°689/1981.

Tuttavia, la mancanza di questo atto non invalida ex se la dichiarazione del verbale di contestazione dalla quale si rileva che gli accertatori hanno misurato (assumendosi la relativa responsabilità) una determinata superficie. In tal senso, per allargare il proprio panorama conoscitivo, nulla vieta all’Autorità amministrativa di chiedere integrazioni all’ufficio da cui dipendono gli agenti accertatori per assicurarsi della correttezza delle procedure e della verità delle dichiarazioni che fanno parte del verbale di contestazione. Peraltro, in caso di impugnazione dell’eventuale ordinanza ingiunzione, innanzi al giudice è possibile discutere della verità del fatto incorporato nel verbale di contestazione della violazione, solo proponendo querela di falso.

Giova rimarcare che la materia oggetto del quesito non è regolata dal D.Lgs n°285/1992 ma dalla L. n°689/1981, quindi non c’è nessuna inferenza, in questo caso, dell’articolo 45 del codice della strada che impone specifici vincoli di omologazione ed approvazione, per la validità delle rilevazioni; ne deriva che non è pertinente il parallelismo (accennato nel quesito) con la misurazione delle velocità. Solo quando la Legge prevede che determinate misurazioni (es.: velocità) siano soggette a verifiche metrologiche periodiche e vincolate a metodologie specificamente previste dalla stessa disciplina normativa, la mancata evidenza del metodo o dello strumento resta causa di illegittimità. In questo caso, peraltro, la misurazione resta ripetibile, trattandosi di un rapporto tra peso documentato e superficie utile, ricavabile dalla documentazione tecnica, dalla descrizione delle modalità di carico e dai documenti di circolazione dei veicoli.

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Quesito: casellario giudiziario per prevenire la pedofilia; obblighi e sanzioni

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Quesito per passiamo: la risposta!
Risposta ai quesiti posti dai lettori

QUESITO: sanzioni amministrative per il datore di lavoro che non chiede il certificato penale di cui all’art. 25 bis del D.P.R. n°313/2002.

Ci riferiamo alla D.Lgs. 4 marzo 2014 n. 39 “Attuazione della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI” pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 68 del 22 marzo 2014 – in vigore dal 6 aprile 2014.

In relazione a tale norma: Quale è l’autorità competente per la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 15.000 prevista dall’art.2?

 

RISPOSTA

Giova premettere che con l’art. 2 del menzionato D.Lgs n°39/2014 è stata introdotta la seguente norma: “1. Nel decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, dopo l’articolo 25 è inserito il seguente: «Art. 25-bis Certificato penale del casellario giudiziale richiesto dal datore di lavoro. 1. Il certificato penale del casellario giudiziale di cui all’articolo 25 deve essere richiesto dal soggetto che intenda impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, al fine di verificare l’esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies e 609-undecies del codice penale, ovvero l’irrogazione di sanzioni interdittive all’esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori.». 2. Il datore di lavoro che non adempie all’obbligo di cui all’articolo 25-bis del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre, n. 313, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 10.000,00 a euro 15.000,00”.

Si tratta di una norma che desta non poche preoccupazioni e che ha trovato alcune indicazioni di prassi, comunque insufficienti alla bisogna, come osservato in dottrina.

Nessuna evidenza ho reperito, tra dottrina e giurisprudenza, nel cercare di orientarsi nel rispondere all’oggetto del quesito.

Pertanto, in mancanza di indicazioni specifiche, ci si deve riferire alla normativa generale che disciplina la designazione delle “autorità amministrative competenti”, muovendo dalla premessa che la sanzione sopra indicata ricade tra quelle regolate dalla L.n°689/1981, in relazione alla potenzialità espansiva insita nel suo articolo 12.

Alla luce di tale inquadramento, il riferimento generale utile a ricostruire chi sia l’autorità competente, è l’articolo 17 della predetta L.n°689/1981, a mente del cui comma 1: “Qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta, il funzionario o l’agente che ha accertato la violazione, salvo che ricorra l’ipotesi prevista nell’art. 24, deve presentare rapporto, con la prova delle eseguite contestazioni o notificazioni, all’ufficio periferico cui sono demandati attribuzioni e compiti del Ministero nella cui competenza rientra la materia alla quale si riferisce la violazione o, in mancanza, al prefetto”.

A parere di chi scrive, la norma pone una disciplina che attiene al rapporto di lavoro ed ai doveri datoriali da esplicare all’atto dell’incardinamento di siffatto rapporto; ne deriva che la competenza dovrebbe naturalmente afferire, anche agli effetti della L.n°689/1981, al Ministero del Lavoro che, sull’argomento, sebbene in materie diversa dall’applicazione delle sanzioni, si è dimostrato aver competenza rispondendo a specifico interpello. Ovviamente, l’organo che abbia accertato e contestato la violazione si dovrà preoccupare di designare, alla luce del testo dell’articolo 17 sopra evidenziato, l’autorità amministrativa decidente, sulla base dei pochi indicatori fin qui ricostruibili. Solo la pratica potrà poi specificare se la competenza sarà di questo ministero, o declinata alla prefettura che, in materia, resta sempre residualmente un punto di riferimento.

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Il piano comunale per il commercio non può essere usato per fini di sicurezza urbana.

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Il piano comunale per il commercio non può essere usato per fini di sicurezza urbana; quindi la limitazione degli orari di vendita degli alcolici non può essere effettuata con questo strumento “atipico”.

Il TAR Liguria (Sez. I) con sentenza n°93, del 8 febbraio 2017, ha annullato una deliberazione consiliare del Comune di La Spezia, nella parte in cui nella parte in cui –modificando il piano comunale per il commercio- poneva limiti (di orario e di modalità) alla vendita di alcolici nel centro storico.

Ottime le intenzioni del Comune, sbagliato lo strumento usato per metterle in atto!

Le limitazioni -che si basavano sul fine di “contrastare l’abuso del consumo di bevande alcoliche e di evitare l’abbandono dei contenitori in vetro per bevande su suolo pubblico con grave pregiudizio alla pulizia, decoro e sicurezza urbana”- sono state ritenute illegittime per contrasto con i principi dettati dalla legislazione vigente in materia di liberalizzazione degli orari di vendita e per illogicità manifesta del provvedimento rispetto alle finalità perseguite.

Secondo il Collegio il potere comunale di regolare gli orari delle attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici –accordato dal vigente testo dell’articolo 50 del TUEELL- già inidoneo a regolare fenomeni di sicurezza urbana, è stato ulteriormente ridimensionato dall’art. 31 del D.L. 201/2011, convertito nella legge 214/2011 (c.d. decreto “salva Italia”), che ha riformato l’art. 3 del D.L. 223/2006 statuendo, che “le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni … (quali) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio”. L’art. 3 del D.L. n. 138/2011, convertito nella legge n. 148/2011, sempre in tema di abrogazione delle restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche, ha poi disposto che “l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge”, affermando un principio, derogabile soltanto in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute). La circostanza che il regime di liberalizzazione degli orari sia applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude all’amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica; tuttavia, ciò è consentito dal legislatore solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati quali quelli richiamati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), interessi che non possono essere regolati in sede di ordinanza ex art. 50 TUEELL.

Tutto ciò resterà vero fino a quando non entrerà in vigore il Decreto “Sicurezza Urbana” che cambia l’assetto delle norme di riferimento.

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Confermata la giurisdizione del G.O. per le ordinanze di rimozione degli impianti pubblicitari.

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La sentenza del TAR Lazio n°2274 del 10 febbraio 2017 (Roma sez. II bis), conferma quanto ormai da anni si è stabilizzato: la giurisdizione del giudice ordinario in tema di impugnazione delle ordinanze comunali che impongono la rimozione degli impianti pubblicitari abusivi. Secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 31 ottobre 2012, n. 5556; 27 giugno 2012, n. 3786 e 3787; 27 marzo 2013 n. 1777; Cass. civ., Sez. Un., 19 agosto 2009, n. 18357; TAR Lazio – Roma, Sez. II, 20 marzo 2013 n. 2859; Sez. II, 26 giugno 2014 n. 6779), non sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo con riguardo all’impugnazione dei provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 23, comma 13-quater, del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, con i quali viene disposta la rimozione di impianti pubblicitari abusivamente posizionati su strada pubblica, perché tale ordine deriva direttamente, quale misura consequenziale, dall’accertamento della violazione e dall’irrogazione della prescritta sanzione pecuniaria, con riferimento al Codice della Strada. Pertanto il provvedimento del Comune che ne dispone la rimozione costituisce un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal precedente comma 11 dell’art. 23, per l’installazione di impianti pubblicitari su strade demaniali abusivamente installati, e non un mezzo accordato all’Ente pubblico proprietario della strada per assicurare il rispetto delle disposizioni di cui al suddetto art. 23, con la conseguenza che l’atto deve essere conosciuto dal giudice ordinario, competente ai sensi del combinato disposto degli artt. 22 e 23, della legge 24 novembre 1981, n. 689, irrilevante essendo, ai fini della giurisdizione, che gli impianti siano collocati su aree di proprietà privata. Del resto è inidonea a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo la circostanza che, in relazione all’installazione di insegne pubblicitarie sussistano anche poteri dei Comuni in materia urbanistica ed edilizia (occorrendo per l’installazione non solo un’autorizzazione ex art. 23, del decreto legislativo n. 285 del 1992, ma anche un provvedimento di concessione dell’uso del suolo su cui insiste l’impianto), laddove tali poteri non siano stati concretamente esercitati, come nel caso in esame. Aggiungasi, sotto altra visuale, che conformemente a giurisprudenza consolidata (Cons. Stato, Sez. V, 27 giugno 2012, n. 3786 e 3787; 27 marzo 2013 n. 1777) l’impugnazione di una violazione amministrativa o di un verbale di accertamento esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, poiché la situazione giuridica di cui si chiede tutela ha la consistenza di diritto soggettivo e l’esercizio dell’attività sanzionatoria non è espressione di attività discrezionale ma vincolata dell’Amministrazione, perché retta dal principio di legalità, sicché, ove l’amministrazione accerti che un comportamento integri gli estremi di un illecito previsto da una norma di legge, deve applicare la sanzione, senza alcun margine di scelta.

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Non impugnabile l’atto che rigetta il ricorso sul sequestro amministrativo.

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Con la sentenza del Tribunale di Roma Sez. II, Sent., 15-01-2016 è stato ribadito che l’illegittimità del sequestro amministrativo non inficia la validità del provvedimento di irrogazione della sanzione e che non è impugnabile il provvedimento che rigetta il ricorso amministrativo.

Il provvedimento opposto faceva riferimento ad un verbale di accertamento con cui gli accertatori contestavano la violazione degli art. 28 e 29 D.Lgs. n. 114 del 1998 poiché ” esercitava il commercio su aree pubbliche sprovvisto di autorizzazione amministrativa. Nello specifico avendo titolo autorizzativi per la somministrazione a rotazione in data odierna si è collocato per la sosta e contestuale somministrazione abusivamente in zona/spazio/particella non coperta da titolo autorizzativi”. Contestualmente veniva redatto verbale di sequestro amministrativo delle merci di generi alimentati presenti e impianti di vendita collocati nel veicolo uso negozio: (6 frigoriferi n. 2 piastre su cui, apposti i sigilli, venivano lasciati in custodia alla parte e messi a disposizione dell’Amministrazione per l’adozione dei provvedimento di confisca come previsto dall’art. 29 del D.Lgs. n. 114 del 1998). Avverso il verbale di sequestro veniva proposto ricorso per il dissequestro dei beni, con atto del 15.05.2015, a cui faceva seguito la determina dirigenziale di rigetto.

Nel giudizio di opposizione il giudicante osserva che in tema di sanzioni amministrative il procedimento di sequestro, da un lato, e quello di irrogazione della sanzione pecuniaria e della sanzione accessoria della confisca, dall’altro, sono del tutto autonomi con la conseguenza che i vizi dell’uno non inficiano gli altri (Corte cass. I sez. 6.8.1988 n. 4866 ; Corte cass. I sez. 30.12.1994 n. 11293)”. L’autonomia dei due atti amministrativi riverbera anche nella differente disciplina procedimentale, poiché art. 19 L. n. 689 del 1981 detta per il dissequestro una autonoma e completa procedura, improntata alla rapidità, che prevede l’obbligo per l’Amministrazione di provvedere entro dieci giorni, in presenza di presentazione di ricorso della parte, scaduti i quali qualora la istanza non sia stata rigettata con atto espresso deve ritenersi accolta. Con la procedura prevista dall’art. 19 il Legislatore, ritenuta la particolare afflittività del provvedimento di sequestro, ha all’evidenza inteso privilegiare la rapidità della decisione in sede amministrativa che tende : ” a provocare da parte dell’autorità competente l’esame della legittimità ed opportunità del sequestro, nella prospettiva di ottenere la restituzione delle cose, anche in pendenza del procedimento di applicazione della sanzione amministrativa” e “determina nell’autorità l’onere di adottare sulla opposizione un provvedimento espresso di conferma del sequestro e di rigetto della opposizione, in mancanza del quale e trascorso il breve termine di dieci giorni la misura cautelare perde efficacia”: in relazione alla verifica della legittimità del provvedimento “l’opposizione al sequestro assolve alla stessa funzione degli scritti difensivi che gli interessati possono rivolgere all’autorità competente ad emettere l’ordinanza ingiunzione e provvedere alla confisca, giacché tende a provocare un accertamento negativo e la chiusura del procedimento con ordinanza di archiviazione, anziché con ordinanza di ingiunzione (art. 18 co. 1 e 2).” ,( cass. III sez. 14.1.12002 n. 348). La determina dirigenziale opposta dalla ricorrente si colloca nella fase procedimentale del sequestro dei beni ex art. 19 L. n. 689 del 1983, che ha termine con l’emanazione del provvedimento definitivo di confisca. Infatti, i beni sequestrati sono soggette a provvedimento di confisca in adempimento dell’obbligo di cui al comma 4 dell’art. 20 e 21 L. n. 689 del 1981, a cui l’autorità dovrà necessariamente procedere nel caso di rigetto del l’istanza di dissequestro espresso, come nella fattispecie.

Ciò comporta l’inammissibilità del giudizio di opposizione proposto dalla parte ex art. 22 L. n. 689 del 1981 avverso la determina dirigenziale di rigetto dell’istanza di dissequestro. Infatti, Il giudizio disciplinato dalla L. n. 689 del 1981, art. 22 , va instaurato contro il provvedimento finale ingiuntivo o di confisca dei beni emanato dall’autorità competente. Solo avverso l’ordinanza-ingiunzione è possibile proporre ricorso giurisdizionale ai sensi dell’art. 22 L. n. 689 del 1981 il quale espressamente dispone ” contro l’ordinanza ingiunzione di pagamento e contro l’ordinanza che dispone la confisca, gli interessati possono proporre opposizione..”.

Con riguardo al sequestro cautelare di cose che possono formare oggetto di confisca amministrativa ( art. 13 L. n. 689 del 1981) l’atto che dispone la misura cautelare non è impugnabile autonomamente davanti al giudice ordinario, mentre l’accertamento della illegittimità della suddetta misura può essere chiesto nel ricorso giurisdizionale contro il provvedimento di confisca ( Cass. n. 6708/1991) o, comunque, non disgiuntamente rispetto all’accertamento sulla legittimità del verbale di accertamento della violazione.( Cass civ. sez. II 22/12/2011 n. 28362).

Ed ancora, “In tema di sanzioni amministrative, la confisca si configura come sanzione autonoma e distinta rispetto alla misura del sequestro. Ne consegue che, intervenuta la conversione del sequestro in confisca, il destinatario dell’atto può agire solo contro il provvedimento sanzionatorio della confisca e non contro quello del sequestro, le cui vicende non spiegano effetti rispetto alla confisca stessa. ( cass civ. 27225 del 04/12/2013).

 

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Se il primo verbale è tardivo, la mancata comunicazione del conducente non è sanzionabile.

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Pronunciando sull’appello proposto da un cittadino, nei confronti della Prefettura di Palermo (in fattispecie di opposizione ad ordinanza- ingiunzione) per violazione dell’art. 126-bis del codice della strada, il Tribunale di Palermo, con sentenza in data 5 febbraio 2014, respinse il gravame e posto a carico del soccombente le spese del giudizio.

Non pago dell’ingiustizia patita, il predetto cittadino ricorreva in Cassazione consegnando ad un motivo (giudicato essenziale dal Collegio) la sua doglianza: “Il Tribunale ha rigettato l’appello ritenendo non applicabile, nella specie, il principio (espresso da Cass., Sez. II, 20 maggio 2011, n. 11185) secondo cui l’obbligo di comunicazione del proprietario ex art. 126-bis del codice della strada può scattare solo se sorretto da notificazione tempestiva del verbale di accertamento dell’infrazione presupposta, e ciò dando rilievo al “ridottissimo scarto temporale tra lo spirare del termine di cui all’art. 201 del codice della strada e la notifica effettiva”.

La sezione VI Civile (2) del Supremo Consesso, con sentenza n°26964 del 23 dicembre 2016, ritiene che il ricorrente colga nel segno ed accoglie il ricorso, posizionando tutte le spese di tutti i gradi di giudizio sulle spalle della Prefettura.

Secondo gli Ermellini, “Così decidendo, il giudice di appello si è discostato dal principio, anche di recente ribadito (Cass., Sez, VI-2, 11 aprile 2016, n. 7003), secondo cui in tema di violazione per omessa comunicazione dei dati del conducente di un veicolo ai sensi dell’art. 126-bis cod. strada, ove la contestazione della violazione principale sia avvenuta tardivamente, va esclusa la sussistenza dell’obbligo, per il proprietario del veicolo, di comunicare gli estremi del conducente del mezzo al momento del rilevamento dell’infrazione, in quanto la tempestività della contestazione risponde alla ratio di porre il destinatario in condizione di difendersi, considerato che il trascorrere del tempo rende evanescenti i ricordi”.

Certo, che una circostanza diventi evanescente al 91° giorno e bene presente il giorno prima, stride con il buon senso e con la logica. Tuttavia, un criterio oggettivo i giudici pur devono darselo. In fondo, la natura tranciante dello scadere del termine di notifica resta un valore, da questa sentenza in poi, anche idoneo a propagarsi agli annessi logici del primo verbale.

 

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Lampadine “cinesi”, sanzioni amministrative e mancanza di buona fede del venditore.

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“Il commerciante al dettaglio ha il dovere di controllare la merce pervenuta dopo l’acquisto e verificare che possegga le qualità ed i requisiti richiesti dalla legge, e di rimandarla al venditore ove riscontri irregolarità”.

Questo è un principio interessante che viene isolato da una sentenza di merito (Trib. Nocera Inferiore Sez. I, Sent., 25-05-2016) che ha rigettato l’opposizione all’ordinanza ingiunzione di pagamento ed al connesso sequestro dei materiali elettrici privi della prescritta marcatura CE.

Nel merito:

“La signora D.L.C. proponeva opposizione avverso ordinanza di ingiunzione n 2015/1102 emessa dalla Camera di Commercio di Salerno …, con la quale è stata sanzionata la commissione di violazioni amministrative concernenti la messa in commercio di materiale elettrico destinato ad essere utilizzato ad una tensione nominale compresa fra 50 e 1000 Volt in corrente alternata e fra 75 e 1500 Volt in corrente continua, priva del marchio CE o con marchio CE apposto irregolarmente in violazione del D.Lgs. n. 626 del 1996 sanzionata dall’art. 9, comma 5, L. n. 791 del 1977, nonché la messa in commercio sul territorio nazionale di qualsiasi prodotto o confezione di prodotto che non riporti, in forme chiaramente visibili e leggibili, le indicazioni di cui agli artt. 6, 7 e 9 D.Lgs. n. 206 del 2005”.

Secondo il giudice: “Nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa, il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonché alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti ed alle valutazioni del verbalizzante né ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero ai fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche” (Cass. n. 23800/14); nel caso di specie il verbale di accertamento si basa sulla constatazione percettiva degli operanti della GdF che sui beni sequestrati non era apposto/o era apposto in maniera irregolare il marchio CE su 187 prodotti elettrici esaminati e che per n. 599 articoli non erano visibili le informazioni richieste dagli articoli 6, 7 e 9 del D.Lgs. n. 206 del 2005. Tale accertamento ispettivo ha l’efficacia privilegiata riconosciutale dalla Suprema Corte di Cass. in quanto proveniente da agenti accertatori, i quali si sono limitati ad applicare la sanzione sulla base delle irregolarità riscontrare senza valutazioni personali; né l’odierna opponente ha compulsato attività istruttoria volta a superare gli esiti di tale accertamento. In proposito, la giustificazione addotta a comprova della buona fede dell’opponente non appare decisiva: in considerazione della natura dell’attività commerciale esercitata che richiede l’assolvimento di obblighi di tutela e di protezione nei confronti dei consumatori, il commerciante al dettaglio ha il dovere di controllare la merce pervenuta dopo l’acquisto e verificare che possegga le qualità ed i requisiti richiesti dalla legge, e di rimandarla al venditore ove riscontri irregolarità. Pur aderendo alla tesi della buona fede della D.L., non si può negare che abbia mostrato nell’occasione una certa negligenza nell’esercitate questi doveri di controllo sulla merce messa in vendita a tutela dei consumatori. Tra l’altro la stessa opponente richiama una fattura di pagamento per l’acquisto della merce sequestrata, dal che può ricavarsene l’acquisto a titolo derivativo, e ciò consente di superare anche la seconda motivazione posta a fondamento dell’opposizione e concernente l’illegittimità del sequestro eseguito ai sensi dell’art. 20 L. n. 689 del 1981”.

Interessante, infine il motivo per il quale nemmeno si aderisce alla richiesta d riduzione… “Infine non merita accoglimento neppure la richiesta di riduzione della sanzione in quanto esaminando gli articoli che disciplinano le violazioni applicate può notarsi come già gli agenti accertatoti abbiano applicato la sanzione in misura ridotta. L’opposizione va in definitiva rigettata”.

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Elementi di diritto ambientale: acque, rifiuti, edilizia e paesaggio. Il Libro di Angelo Frattini.

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Il dott. Angelo Frattini (nella foto), magistrato che vanta un’esperienza ventennale nella trattazione dei temi della tutela dell’ambiente e del territorio, in occasione del convegno organizzato a Cava de’ Tirreni, nei giorni 25 e 26 novembre 2016, ha ritenuto di fare omaggio a tutti i partecipanti, della sua ultima fatica editoriale.

Il Volume “Elementi di diritto ambientale: acque, rifiuti, edilizia e paesaggio”, esprime –per dote di sintesi e profondità di analisi- il materiale di base su cui costruire la cultura giuridica essenziale per lo svolgimento, in materia ambientale delle funzioni di polizia giudiziaria.

Noi ringraziamo il dott. Frattini, per la vicinanza al mondo della Polizia Locale e per la simpatia dimostrata a P.A.sSiamo.

Sappiamo anche, altresì, che il miglior ringraziamento sta nella lettura e nello studio che ciascuno farà di questo lavoro.

Troppo spesso, difatti, si assiste al triste spettacolo di operatori di polizia municipale che –invece di studiare ciò che occorre per essere professionali ed indipendenti- si limitano a “fare la telefonata” per avere la risposta che risolva il dubbio.

Lavorare con professionalità richiede qualche sforzo in più della mera emulazione di “Mike Buongiorno improvvisato al telefono con il collega più sapiente”.

L’auspicio è quindi che non sia vano lo sforzo nè sia dispersa la liberalità del dott. Frattini; quindi il miglior ringraziamento che possiamo fargli consiste nel chiedere ad ognuno che scaricherà questo volume, di leggerlo.

Leggete, almeno una volta, prima di domandare ad altri: “come si fa questa cosa”?

Il Presidente P.A.sSiamo

Michele Pezzullo

Il Libro è qui allegato

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Ancora imperversa la truffa assicurativa della “copertura breve”: FARE ATTENZIONE!

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L’IVASS, lo scorso 3 novembre, ha reso noto che la commercializzazione di alcune polizze tramite taluni siti internet (http://www.assicurazioni-temporanee.it http://www.assicurazioni-temporanee.net) è ILLEGALE! Si tratterebbe di ipotetiche agenzie plurimandatarie (ma non consentono l’identificazione dell’intermediario né l’accertamento della relativa iscrizione nel Registro degli intermediari assicurativi e riassicurativi) che garantiscono la copertura assicurativa, a prezzi economici, per 5 giorni.

E’ una vecchia truffa, ma ancora molti sono gli automobilisti presi all’amo.

L’IVASS richiama l’attenzione degli utenti (ed il nostro rilancio notizia vale per far avvedere utenti ed operatori della cosa) e degli intermediari sulla circostanza che i siti web degli intermediari che esercitano l’attività di intermediazione tramite internet devono sempre indicare: a)  i dati identificativi dell’intermediario; b)  l’indirizzo della sede, il recapito telefonico, il numero di fax e l’indirizzo di posta elettronica; c)  il numero e la data di iscrizione al Registro unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi nonché l’indicazione che l’intermediario è soggetto al controllo dell’IVASS. Per gli intermediari del SEE abilitatati ad operare in Italia, il sito web deve riportare, oltre ai dati identificativi ed ai recapiti sopra indicati, l’indicazione dell’eventuale sede secondaria nonché la dichiarazione del possesso dell’abilitazione all’esercizio dell’attività in Italia con l’indicazione dell’Autorità di vigilanza dello Stato membro di origine.

L’istituto avvisa altresì che i siti web o i profili facebook che non contengono le informazioni sopra riportate non sono conformi alla disciplina in tema di intermediazione assicurativa ed espongono il consumatore al rischio di stipulazione di polizze contraffatte. L’IVASS raccomanda sempre di adottare le opportune cautele nella sottoscrizione tramite internet di contratti assicurativi, soprattutto se di durata temporanea, verificando, prima della sottoscrizione dei contratti, che gli stessi siano emessi da imprese e tramite intermediari regolarmente autorizzati allo svolgimento dell’attività assicurativa e di intermediazione assicurativa, tramite la consultazione sul sito www.ivass.it:   degli elenchi delle imprese italiane ed estere ammesse ad operare in Italia (elenchi generali ed elenco specifico per la r. c. auto); dell’elenco degli avvisi relativi a “Casi di contraffazione o società non autorizzate; siti internet non conformi alla disciplina sull’intermediazione”; del Registro unico degli intermediari assicurativi e dell’Elenco degli intermediari dell’Unione Europea.

Insomma, a prescindere, ricordate…. non esistono polizze legittime, che garantiscono coperture così brevi ed economiche.

I consumatori possono inoltre chiedere chiarimenti ed informazioni al Contact Center dell’IVASS al numero verde 800-486661 dal lunedì al venerdì dalle 8,30 alle 14,30.

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Non basta aver violato una norma del codice della strada per essere condannato per omicidio stradale.

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Con la Legge 41/2016 si è andata radicando l’opinione che, per essere condannati per “omicidio stradale” sia sufficiente aver violato una norma del codice della strada e, in connessione a ciò, si sia verificata la morte della persona.

Detto teorema, che di solito non fallisce, tollera delle significative eccezioni, specie quando la condotta sanzionabile a norma del codice della strada abbia contenuto omissivo.

E’ il caso di leggere, in proposito, qualche passaggio della sentenza Cass. pen. Sez. IV, Sent.,  22-04-2016, n. 16995 che, sebbene inerente a fatto maturato sotto la vigenza della precedente norma, è estremamente conferente in ordine a quanto qui stiamo trattando.

“All’imputato era stato contestato il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme sulla circolazione stradale per avere lasciato la sua autovettura in sosta sulla corsia di emergenza del G.R.A. di Roma per un numero di ore maggiore di quello consentito senza avere collocato l’apposito segnale mobile… In particolare, il Tribunale aveva sottolineato la negligenza dell’imputato, che aveva impegnato il G.R.A. con autovettura non adeguatamente provvista di carburante, essendo in conseguenza di ciò costretto ad arrestare il veicolo in corsia di emergenza per un periodo di tempo pari al triplo rispetto a quello massimo consentito dal D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 176, comma 6… In linea di principio, deve essere chiarito che nell’ambito della circolazione stradale la linea di demarcazione tra rischio consentito e rischio illecito è, nella maggior parte dei casi, anche se non esaustivamente, individuata dal legislatore, che pone le regole cautelari dettate dal codice stradale. L’articolata disciplina prevista in tale testo normativo consente al giudice di individuare quali siano i comportamenti che l’utente della strada è tenuto ad osservare onde evitare determinati rischi, ben individuati. Ma solo nel caso in cui dalla violazione di una regola cautelare sia derivata la concretizzazione del rischio che la norma tendeva ad evitare si istituisce il nesso di causalità tra la condotta umana e l’evento”.

Da qui la massima: “La condotta di colui che lasci in sosta in corsia di emergenza di un’automobile priva di carburante non è causa dell’evento mortale occorso a un motociclista che si sia scontrato con il veicolo fermo, ma mera occasione dell’evento, in quanto il rischio che la condotta doverosa omessa tendeva ad evitare appartiene ad un’area diversa da quella in cui si è concretizzato l’evento”.

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L’importo della sanzione stradale dopo il rigetto del ricorso.

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La sentenza Cass. civ. Sez. VI – 2, Sent., 22-07-2016, n. 15158, conosciuta ai più (che sono sempre pochissimi) per la confermata fruttuosità (dal punti di vista degli interessi moratori) della sanzione amministrativa stradale non oblata entro i sessanta giorni dalla contestazione della violazione, contiene anche un’affermazione secondaria, che resta di primaria importanza per quanti si occupano di contenzioso in materia di sanzioni amministrative.

Il tema specifico è il seguente: quid iuris, allorquando il giudice di pace (in sede di giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative stradale: rectius: in sede di impugnazione del verbale innanzi al G.d.P.), respinto il ricorso, ometta di stabilire la somma da pagare determinandone l’importo? Secondo molti (che dal punto di vista della teoria del diritto non versano in torto), la sentenza avrebbe comunque un effetto novativo rispetto al rapporto sanzionatorio sottostante; in tale ipotesi, la ripresa della vicenda legata alla riscossione del credito non dovrebbe muovere dal verbale originario, bensì dalla sentenza. Su un versante opposto, altri (che dal punti di vista della pratica del diritto non versano in torto), ritengono che, quante volte il giudice di pace (venendo meno al proprio dovere –di cui al comma 11 dell’art. 7 del D.Lgs n°150/2011- di determinare l’importo della sanzione quando rigetti il ricorso) non stabilisca la somma da pagare, la partita della riscossione si debba giocare muovendo dalla somma emergente dalla previsione dell’articolo 203 comma 3 del codice della strada (“3. Qualora nei termini previsti non sia stato proposto ricorso e non sia avvenuto il pagamento in misura ridotta, il verbale, in deroga alle disposizioni di cui all’art. 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, costituisce titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo della sanzione amministrativa edittale e per le spese di procedimento”).

Rispetto a questa querelle la sentenza 15158/2016 chiarisce che: “in mancanza di determinazione da parte del giudice di pace della sanzione, una volta definito il giudizio sulla violazione, la sanzione viene determinata non già con autonoma e nuova valutazione da parte dell’Amministrazione, ma soltanto in applicazione dei meccanismi normativi previsti. La mancata determinazione la sanzione da parte del giudice di pace non determina, quindi, alcun giudicato sul punto, restando, come si è detto, applicabile il meccanismo normativo che disciplina il calcolo della sanzione in relazione al pagamento nei 60 giorni dalla contestazione o dalla notifica della violazione o successivamente, anche a seguito di eventuale controversia”.

La vicenda, anche nei termini così descritta dalla cassazione non resta del tutto chiara. Posto che l’ “oblazione” può avvenire nei sessanta giorni dalla contestazione e notificazione, mentre il ricorso va proposto entro i 30 giorni da questa data, si pone il problema della esistenza di un obbligo di valutazione, in termine di favor rei, della facoltà di far estinguere la violazione nel residuo termine utile all’oblazione che è stato sospeso tra la data di deposito del ricorso e la data di deposito della sentenza, ammettendo al pagamento del minimo edittale. E sempre nell’ottica del favor rei, occorre considerare l’inciso del secondo periodo del comma 11 dell’articolo 7 del D.Lgs n°150/2011 che fa obbligo all’Amministrazione di notificare la sentenza, intimando il pagamento entro trenta giorni. Da qui la conseguenza ragionevole (ma confutabile, visto che trattasi di opinione) che con la notifica della sentenza a cura dell’Amministrazione riprende un termine di 30 giorni per pagare l’importo della sanzione nel suo valore minimo edittale e che, solo successivamente alla scadenza di questo termine si possa “iscrivere a ruolo” (o quel che sarà con l’annunciata riforma della riscossione) il debitore per una somma pari alla metà del massimo edittale.

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La pericolosa moda di rinunciare agli interessi (nota in margine a Cass. Civ. 15158-2016).

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Grazie alla celerità e professionalità degli autori del sito polizialocale.com ho potuto prendere conoscenza della circolare n. 676/2014 del 23 settembre 2016, che sintetizza alcune importanti questioni relative all’applicazione delle sanzioni amministrative in materia di circolazione stradale (dalla vicenda antica e stucchevole della sanzionabilità della protrazione della sosta a pagamento, a singolari quanto interessanti temi processuali in materia di opposizione all’esecuzione).

In questo momento, dalla articolata circolare intendo mettere a fuoco un solo aspetto: quello derivante dal consolidamento (e quindi dal definitivo superamento della questione) relativa alla applicabilità delle maggiorazioni semestrali alle sanzioni stradali non oblate.

In proposito, il Ministero dell’interno si riporta (aderendovi) alla sentenza “Cass. civ. Sez. VI – 2, Sent., 22-07-2016, n. 15158”.

Leggiamone un passo saliente che muove dal superamento della precedente sentenza 2007 n. 3701: “Tale precedente non è condiviso da questa Corte, che ha avuto occasione, anche di recente, di affrontare nuovamente la questione delle maggiorazioni ex articolo 27… Ritiene il Collegio di dare continuità alla successiva giurisprudenza di questa Corte (Cass. 22.10.2007 n. 22100), che ha ritenuto che il verbale costituisce titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo edittale e per le spese di procedimento, prevedendosi poi (L. n. 689 del 1981, art. 27) che quella misura va aumentata di un decimo per ogni semestre di ritardo a decorrere da quello in cui la sanzione è esigibile, e ciò sino a quando il ruolo non è trasmesso all’esattoria. Si osservava allora, e si conferma oggi, che si tratta di meccanismi automatici, per i quali nessuna discrezionalità sussiste in capo al decidente, in mancanza di un provvedimento dell’autorità amministrativa relativo al rigetto o accoglimento di opposizione. Da ciò consegue l’applicazione della maggiorazione del 10% per ogni semestre di ritardo a decorrere da quello in cui la sanzione era esigibile (e ciò sino a quando il ruolo non venga trasmesso all’esattore, trattandosi di previsione compatibile con un sistema afflittivo di carattere sanzionatorio) in caso di ulteriore ritardo nel pagamento. Del resto Corte Cost. 14.7.1999 n. 308 – ord. – ha qualificato tale sanzione non risarcitoria o corrispettiva ma aggiuntiva, dichiarando manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata, decisione richiamata espressamente da Consiglio di Stato 4.12.2007. In particolare i Giudici della Consulta hanno precisato trattarsi di sanzione aggiuntiva nascente al momento in cui diviene esigibile la sanzione principale escludendo, stante la diversità di presupposto e di finalità delle discipline menzionate, l’omogeneità dei termini di raffronto, necessaria a fondare un eventuale giudizio di disparità di trattamento rilevante ai sensi dell’art. 3 Cost., comma 1. Il Consiglio di Stato, richiamando detta decisione, ha valorizzato il momento della esigibilità della sanzione”.

Nulla di strano né di criticabile nelle parole della Corte. Si riferisce, quindi, un orientamento chiaro e ben argomentato.

Questa decisione, tuttavia, suscita in me una riflessione su talune prassi che si stanno diffondendo (sarebbe meglio dire “diffuse da anni”) nelle azioni di recupero delle somme inerenti a sanzioni non oblate, in via di recupero stragiudiziale o bonario. Queste prassi tendono a favorire il pagamento della somma non oblata, attivando (e così gravemente errando) un meccanismo seduttivo interessante: “la rinuncia agli interessi che, di contro, maturerebbero se –non aderendo al meccanismo bonario di pagamento proposto- si dovesse arrivare alla riscossione coattiva”. Leggendo la sentenza sopra epigrafata, diventa evidente (laddove già non lo fosse) che la rinuncia agli interessi diventa sistematicamente un “danno erariale” dato che la maggiorazione diventa doverosa dal momento in cui la sanzione è diventata esigibile e sino a quando il ruolo non venga trasmesso all’esattore. Le prassi inaugurate dalla sentenza Cass. Civ. 3701/2007 (che recitava: “alle sanzioni, come nella specie stradali, si applica l’art. 203 C.d.S., comma 3, che, in deroga alla L. n. 689 del 1981, art. 27, in caso di ritardo nel pagamento della sanzione irrogata nell’ordinanza – ingiunzione, prevede, l’iscrizione a ruolo della sola metà del massimo edittale e non anche degli aumenti semestrali del 10%”) vanno decisamente abbandonate.

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Studi di Polizia Locale III Edizione. Temi a programma ed iscrizioni.

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STUDI DI POLIZIA LOCALE III EDIZIONE

CAVA DE’ TIRRENI 25 E 26 NOVEMBRE 2016.

TRE SESSIONI:

  1. Studi in onore del 35 anni di vigenza della Legge 24 novembre 1981 n°689 (Convegno).
  2. La tutela del territorio, dall’edilizia all’ambiente (Seminario).
  3. Diritto d’iniziativa economica, semplificazione e controllo pubblico (Convegno).

puoi già iscriverti….clicca sul link del convegno

http://www.passiamo.it/evento/studi-polizia-locale-terza-edizione/

iscrizione”. Contenuto: Nome e cognome di ogni partecipante; amministrazione o ente di appartenenza; indirizzo mail per contatti ed invio attestato)

Non saranno ammesse registrazioni utili al rilascio dell’attestato, senza pre-iscrizione via mail.

La segreteria del convegno registra solo -per conferma di presenza- quanti si siano già iscritti via mail entro il 24 novembre 2016.

LA PARTECIPAZIONE E’ GRATUITA.

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QUI IL FILE PDF

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L’estensione della responsabilità penale: reati in materia alimentare e responsabilità colpevole.

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Un tizio, nel 2011, proprietario di una catena di macelleria di cui una in Torino, “poneva in commercio sostanze destinate all’alimentazione pericolose per la salute pubblica”; in particolare, venivano riscontrate gravi carenze igienico sanitarie ed inoltre “deteneva a temperatura ambiente, per la successiva commercializzazione, polpette che, alle analisi effettuate dal competente laboratorio dell’Istituto zooprofilattico sperimentale di Torino, hanno evidenziato la presenza di salmonella”.

Questo caso, apparentemente semplice, ha dato luogo ad una complessa vicenda giudiziaria, trattata, in via definitiva, dalla Corte di cassazione, sezione III penale, con sentenza n° 40324, del 28 settembre 2016.

I temi di interesse giuridico sono diversi; tra questi, in particolare: l’estensione della responsabilità penale e la riprovevolezza della condotta del proprietario che, per le dimensioni aziendali difficilmente è in grado di presidiare e controllare che tutti gli esercizi che costituiscono la rete aziendale applichino con puntualità le regole igieniche.

Secondo la sezione: “in tema di disciplina degli alimenti, il legale rappresentante di una società gestrice di una catena di punti vendita o supermercati non è per ciò solo responsabile, qualora essa sia articolata in plurime unità territoriali autonome, ciascuna affidata ad un soggetto qualificato ed investito di mansioni direttive, in quanto la responsabilità del rispetto dei requisiti igienico-sanitari dei prodotti va individuata all’interno della singola struttura aziendale, senza che sia necessariamente richiesta la prova dell’esistenza di una apposita delega in forma scritta, fermo restando che è fatta salva la responsabilità all’art. 43 cod. pen., qualora il fatto derivi da cause strutturali correlate a scelte riservate al titolare dell’impresa, quali, per esempio, l’omessa adozione delle procedure di autocontrollo previste dalla normativa europea (Sez. 3, n. 44335 del 10/09/2015, D’Argenio, Rv. 265345), piano di controllo della cui esistenza dà atto la sentenza impugnata”.

Resta importante, quindi, verificare e (se incomplete o omesse) sanzionare –in via amministrativa- l’omessa adozione o applicazione delle procedure di autocontrollo. Non è scontato, infatti che –denunciato il fatto penalmente rilevante- pervenga a risultato la condanna per i vari reati previsti dalla disciplina degli alimenti.

Infatti, nel caso concreto: “Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non aver il ricorrente commesso il fatto”.

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Principio di specialità (art.9 L.689/1981) e sua trasversalità tra illecito penale ed amministrativo.

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L’art. 9 della L:689/1981 è norma tra le più sofferte dell’ordinamento, in quanto persiste una forte resistenza alla sua applicazione, non solo quando emerga la specialità tra due fattispecie punite con sanzioni amministrative, ma soprattutto quando, detto rapporto di specialità corra tra una norma penale ed una amministrativa, entrambe fissanti sanzioni per il medesimo “fatto”.

La cassazione, non senza periodiche contraddizioni, di tanto in tanto ci rammenta il valore dell’articolo 9 predetto, come nel caso che ci accingiamo a recensire.

In relazione alla indebita percezione di esenzione dal pagamento del ticket sanitario (esenzione dovuta ad una autocertificazione poi rivelatasi falsa) la Suprema Corte (Cass. pen. Sez. V, Sent., 15-01-2014, n. 1574) ha rammentato che: “integra il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato la falsa attestazione circa le condizioni reddituali per l’esenzione dal pagamento del ticket per prestazioni sanitarie e ospedaliere che non induca in errore, ma determini al provvedimento di esenzione sulla base della corretta rappresentazione dell’esistenza dell’attestazione stessa. La Corte, superando un precedente contrasto tra le sezioni semplici, ha infatti ritenuto che nel concetto di conseguimento indebito di una “erogazione” da parte di enti pubblici rientrano tutte le attività di “contribuzione” ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l’elargizione precipua di una somma di danaro, ma pure attraverso la concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma dagli stessi dovuta, perchè, anche in questo secondo caso, il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico, che viene posto a carico della comunità. La nozione di “contributo” va intesa, infatti, quale conferimento di un apporto per il raggiungimento di una finalità pubblicamente rilevante e tale apporto, in una prospettiva di interpretazione coerente con la ratio della norma, non può essere limitato alle sole elargizioni di danaro…Atteso il rapporto di parziale identità tra le fattispecie di cui agli artt. 316 e 483 il primo reato assorbe quello di falso, in quanto l’uso o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituisce un elemento essenziale per la sua configurazione, nel senso che la falsa dichiarazione rilevante ex art. 483, ovvero l’uso di un atto falso, ne costituiscono modalità tipiche di consumazione (Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007); la fattispecie di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato o di altri enti pubblici, infatti, si configura come fattispecie complessa, ex art. 84 cod. pen., che contiene tutti gli elementi costitutivi del reato di falso ideologico (Sez. U, n. 7537 del 16/12/2010 – dep. 25/02/2011,); non ha rilievo, proprio per tale motivo, la diversità del bene giuridico tutelato dalle due norme, dato che in ogni reato complesso si ha per definizione pluralità di beni giuridici protetti, a prescindere dalla collocazione sistematica della fattispecie incriminatrice”.

Orbene, la parte più interessante di questa sentenza, per i fini che qui ci occupano resta la seguente: “a tale conclusione deve pervenirsi anche nella ipotesi in cui, per il non superamento della soglia minima del valore economico del contributo o della erogazione, sia configurabile una mera violazione amministrativa, perchè rientra nelle valutazioni discrezionali del legislatore la scelta della natura e qualità delle risposte sanzionatorie a condotte antigiuridiche, e quindi l’assoggettabilità dell’autore, in una determinata fattispecie, a sanzioni amministrative, pur se frammenti di queste condotte, ove non sussistesse la fattispecie complessa, sarebbero sanzionabili con autonomo titolo di reato, dovendosi fare applicazione anche in questa ipotesi del principio di specialità intercorrente tra fattispecie penali e violazioni amministrative stabilito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9 (Sez. U, n. 7537 del 25/02/2011, Sez. 6, n. 28665 del 31/05/2007, Sez. 5, n. 31909 del 26/06/2009,  da ultimo Sez. 2, n. 17300 del 16/04/2013).

 

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