La Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza 24 novembre 2015, n. 46624, ha risposto al seguente quesito: “Se, nel caso di rifiuto a sottoporsi all’esame alcolemico previsto dall’ art. 186, comma 7, del codice della strada, il rinvio operato dalla norma all’art. 186, comma 2, lettera c), è limitato al trattamento sanzionatorio ivi previsto per la più grave delle fattispecie di guida in stato di ebbrezza o sia esteso anche alla previsione del raddoppio della durata della sospensione della patente di guida qualora il veicolo appartenga a persona estranea al reato”.
In via preliminare è opportuno ricordare il quadro normativo di riferimento, costituito dagli artt. 186, commi 7 e comma 2, lett. c) e dall’art. 187, comma 8, cod. strada.
L’art. 186, comma 7, così recita: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell’accertamento di cui ai commi 3, 4, o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c). La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione».
L’art. 187, comma 8, dispone che, in caso di rifiuto, «il conducente è soggetto alle sanzioni di cui all’art. 186, comma 7», rinviando quindi alla corrispondente fattispecie contravvenzionale di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti previsti agli effetti della verifica dello stato di ubriachezza per colui che si ponga alla guida di veicolo.
Entrambe tali disposizioni fanno rinvio, pertanto, “alle pene” e, relativamente a quelle accessorie, esse postulano che all’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni; sanzione, quest’ultima, la cui durata è raddoppiata se il veicolo appartiene a persona estranea al reato.
Il quesito, alla luce della disamina delle norme, non è di semplice soluzione; la Corte deve, in sostanza, interrogarsi sulla natura del rinvio operato dalla norma, alla luce della distinzione tra rinvio recettizio (o statico) e rinvio formale (o dinamico) che ha trovato riconoscimento nella giurisprudenza di legittimità (v. Sez. U, n. 26268 del 28/03/2013, Cavalli, Rv. 255582): il primo recepisce per intero, senza che ne sia prodotto il testo, il contenuto di un altro articolo, vale a dire la stessa normativa (si tratta in sintesi, di una tecnica di stesura della norma, ispirata al principio di “economia redazionale”); il secondo, invece, fa riferimento alla norma in sé, cioè al principio contenuto nella formula verbale dell’articolo e ne segue, inevitabilmente la eventuale evoluzione, di talché, mutato il contenuto della norma di riferimento, muta inevitabilmente il significato della norma di rinvio.
Le Sezioni Unite, dopo una lunga ed attenta ermeneutica dell’evoluzione normativa dell’art. 186 del codice della strada, perviene alla conclusione che il rinvio che l’art. 186, comma 7, effettua al comma 2, lett. c), dello stesso articolo, sia con riferimento alla pena principale sia con riguardo alle “modalità e procedure” afferenti alla confisca del veicolo deve qualificarsi, come rinvio formale (o dinamico).
Ne consegue che “la durata della sospensione della patente di guida, quale sanzione amministrativa che accede al reato di rifiuto, compresa, ai sensi dell’art. 186, comma 7, secondo periodo, tra il minimo di sei mesi ed il massimo di due anni, non deve essere raddoppiata nel caso in cui il veicolo appartenga a persona estranea al reato”.
Pur nella sua giustezza sostanziale e correttezza formale, la sentenza delle Sezioni Unite qui recensita fa rabbia e inocula un certo fastidio nei confronti del legislatore che, dopo tanta varianza di ritocchi all’art. 186 del codice della strada, per abuso d verbosità, crea effetti ingiustamente favorevoli per personaggi meritevoli di peno robuste. Nel caso di specie che aveva dato corso alla vicenda il Tribunale aveva inteso quantomeno aggravare la sanzione accessoria (per l’amor del cielo, sbagliando, alla luce della legislazione vigente!) a carico di un “personaggio” che s’era rifiutato di sottoporsi al test alcolemico; automobilista definito “personaggio” poiché -leggendo la sentenza- pare che questi si fosse reso attore di “cinque precedenti condanne per guida in stato di ebbrezza” nelle epoche passate.
Il Giudice di prime cure ha sbagliato, e con lui quella parte delle sezioni singole della Cassazione che propendevano per un’interpretazione più severa della norma.
Cosa dire?
Speriamo che le Leggi future siano scritte in maniera meno contorta.
Pino Napolitano